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16 Novembre 2020

Lotta alle dipendenze: «Il Covid-19 non ci ferma»

Durante la pandemia il consumo di sostanze stupefacenti non ha visto un rallentamento: ora più che mai è necessario dare la possibilità a chi lo chiede di uscire dalle dipendenze patologiche.
Lotta alle dipendenze: «Il Covid-19 non ci ferma»
Foto di Lechenie Narcomanii
Daniele Casadei, del centro di accoglienza per le dipendenze patologiche Apg23: «Chi vende sostanze e chi le usa non si è fermato. Non possiamo fermarci nemmeno noi».
Come sta incidendo e ha inciso la pandemia da coronavirus sul mondo delle dipendenze? Durante lo scorso lockdown si sono fermati o almeno rallentati i traffici illegali? Lo abbiamo chiesto a Daniele Casadei, responsabile del Centro di Accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, che riceve e gestisce le richieste delle persone che vogliono uscire dalla dipendenza da alcol, sostanze stupefacenti e gioco d’azzardo.
 
Il Covid-19 ha rallentato l’abuso di sostanze stupefacenti che provocano dipendenza?
«Purtroppo nemmeno durante il lockdown il consumo di sostanze che portano alla dipendenza, come ad esempio eroina, cocaina, hashish ecc., è diminuito. Gli spacciatori si sono inventati nuovi modi per poter vendere la loro merce, ad esempio durante i mesi di lockdown si davano appuntamento all’interno dei supermercati, posti in cui alle persone era consentito andare per reperire generi alimentari, oppure spedivano le sostanze stupefacenti tramite posta o attraverso corriere. Quindi sia chi vende sostanze, sia chi le usa non si è fermato».
 
Quindi avete ricevuto più richieste del solito?
«Durante i primi mesi della pandemia, appena finito il lockdown, cioè nel periodo maggio-giugno-luglio abbiamo ricevuto più richieste del solito perché i Servizi pubblici (servizi sociali e SerD), avevano l’esigenza di inviarci tutte quelle persone con problemi di dipendenza che vivevano in strada: durante il lockdown non potevano continuare a stare in strada, i dormitori di vari enti si sono subito riempiti, mentre altri sono stati chiusi perché non potevano più permettere l’accesso solo di sera.
Purtroppo abbiamo potuto rispondere solamente ad una parte di queste richieste e solamente dopo maggio, perché prima non avevamo un sistema che ci permettesse di farlo.
Anche negli ultimi mesi abbiamo notato un leggero aumento della richiesta di ingressi: non è una tendenza spiccata rispetto agli anni precedenti, però le persone che chiedono aiuto per uscire dalla dipendenza patologica sono aumentate».
 
Che conseguenze ha avuto e continua ad avere la pandemia di coronavirus sulle realtà impegnate nella prevenzione e nella lotta alle dipendenze?
«Per quanto riguarda il mondo delle comunità terapeutiche, il lockdown ha imposto un temporaneo “congelamento” degli ingressi nelle strutture. Infatti per alcuni mesi non è stato possibile accogliere le persone che ci chiedevano di iniziare un percorso terapeutico, perché dovevamo creare un sistema che ci permettesse di recepire la normativa sanitaria e quindi ricominciare con le accoglienze».
 
Come siete riusciti a rispondere a quest’emergenza?
«Durante i mesi di lockdown abbiamo strutturato un percorso apposito, prendendo in gestione delle strutture alberghiere dove predisporre gli isolamenti preventivi fiduciari, che non sono altro che una precauzione: la persona che voleva entrare in comunità terapeutica doveva fare un tampone naso-faringeo prima dell’ingresso e attendere l’esito che nei primi mesi (maggio ad agosto) arrivava in 1 o al massimo 2 giorni; se l’esito era negativo, la persona era idonea ad entrare e quindi faceva un isolamento di 14 giorni in queste strutture alberghiere che avevamo in gestione. Se poi alla fine dei 14 giorni non emergevano sintomi, la persona poteva entrare in comunità terapeutica come prestabilito».
 
Attualmente come stanno andando le cose?
«Il sistema di cui ho parlato prima è ancora oggi in uso nella Comunità Papa Giovanni XXIII. Purtroppo in questo ultimo periodo, cioè da quando sono aumentati i contagi, abbiamo dovuto cambiare alcune cose. Infatti ad oggi gli esiti dei tamponi non arrivano più in tempi rapidi, perché il sistema ASL non riesce a dare una risposta immediata. Una persona che oggi fa il tampone riceve l’esito dopo 5 giorni Questo risultato, per quanto ci riguarda, è invalido perché è un periodo troppo lungo, soprattutto per queste persone che hanno problemi di dipendenza, perché solitamente continuano a fare uso di sostanze fino all’ingresso in comunità terapeutica, quindi non sappiamo chi abbia frequentato, dove sia andato, ecc.
Per questo motivo abbiamo adottato alcuni accorgimenti in più: subito dopo aver effettuato il tampone o al massimo il giorno successivo, la persona entra in isolamento nella struttura alberghiera che attualmente abbiamo in gestione, aspettando l’esito del tampone. Questo però crea delle difficoltà qualora l’esito sia positivo: la nostra lista d’attesa è già lunga, ma qualora una persona risulti positiva, si blocca il procedimento, perché chi è positivo non può uscire dall’isolamento dopo 10 giorni (ora la normativa prevede 10 giorni e non più 14), ma deve rimanere finché non diventa negativo. Questo sta creando un po’ di disagio e sta allungando la lista d’attesa per le persone che vogliono iniziare un percorso terapeutico».
 
Quante persone avete accolto in questi ultimi mesi?
«Appena finito il lockdown abbiamo preso in gestione un paio di strutture alberghiere che ci hanno permesso di predisporre l’isolamento preventivo fiduciario per una trentina di persone alla volta. Man mano che il periodo di isolamento terminava, le persone sono state inserite nelle realtà terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII oppure di altri enti, che si appoggiavano a noi per questo servizio. Attualmente abbiamo in gestione una struttura che dispone di una decina di posti.
Come Comunità Papa Giovanni XXIII gestiamo 22 comunità terapeutiche in tutta Italia. Ci sono alcuni posti liberi, ma ogni volta che una persona in isolamento fiduciario risulta positivo, la lista d’attesa viene bloccata e i tempi di ingresso si allungano».
 
Coronavirus e dipendenza da alcol. Che legame c’è?
«Durante la pandemia, in particolare durante il periodo di lockdown, è aumentato molto l’uso degli alcolici, non solo per chi ha problemi di alcolismo, ma in generale si è registrato un aumento della vendita di alcolici e questo sicuramente può aver creato altri tipi di problemi a livello familiare».

Un Open day per conoscere meglio le comunità terapeutiche 

Per chi volesse approfondire la tematica legata alle dipendenze patologiche, segnaliamo un importante evento che si svolge nei giorni 14-15 novembre e 21-22 novembre: l’Open Day delle comunità terapeutiche.