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14 Dicembre 2021
Ultima modifica: 14 Gennaio 2022 ore 13:41

Polonia-Bielorussia: lettera dal confine

Fine novembre, in una foresta del nord est. La testimonianza di Marta
Polonia-Bielorussia: lettera dal confine
Foto di Unhcr
Piove. Né la luna, né una stella. La pioggia è l'unico rumore nella foresta, un ticchettio dolce sul tetto dell’auto, una dolcezza che contrasta con la tensione che invece contrae lo stomaco. Lo schermo del telefono illuminato è la sola luce visibile nel buio, fioca, per ora nessun messaggio di pericolo turba l’immobilità della schermata aperta sulla chat dei volontari.
Una zona rossa larga 3 chilometri divide la Polonia dalla Bielorussia, l’ennesima tappa di uno dei viaggi della speranza intrapresi da siriani, afghani, iracheni, curdi a tanti altri. Una speranza, che qui, ai confini d’Europa, diventa un incubo. Molte persone per arrivare in questa foresta maledetta, come è stata soprannominata, hanno comprato un biglietto aereo nel proprio paese, vendendo terra, casa, ogni cosa. Il sogno è di raggiungere la Germania, l’Europa, un viaggio che costa in tutto 10000 euro.

L’Europa accusa il presidente bielorusso Lucasenko di aver organizzato i voli attraverso agenzie pubbliche, richiamando migliaia di migranti dal Medio Oriente per costringere l’Unione europea a sospendere le sanzioni imposte al suo paese. L’esercito bielorusso accompagna i migranti con dei pullman alla frontiera spingendoli ad attraversare il confine, dall’altra parte quello polacco li respinge brutalmente. E rimangono in mezzo, in questa terra di nessuno, intere famiglie con bimbi piccoli, vagando nel boschi, per giorni, settimane, tra freddo fame e stenti.

Unhcr, Iom e Croce Rossa riescono a portare beni di prima necessità, ma molte Ong sono escluse dalla zona rossa: i volontari vengono fermati, perquisiti e minacciati, con il rischio di essere accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

Stessa sorte per la stampa, è impossibile documentare la situazione. A fine novembre un gruppo di volontari di Operazione Colomba è partito per il confine, per portare aiuti umanitari d’emergenza e fare azioni di monitoraggio dei diritti umani: ai due estremi di una rotta ideale che parte dai campi profughi del Libano, dove Operazione Colomba vive da 5 anni.

La testimonianza di Marta, volontaria di Operazione Colomba

Piove. Né la luna, né una stella.
La pioggia è l'unico rumore, un ticchettio dolce sul tetto dell’auto, una dolcezza che contrasta con la tensione che invece contrae lo stomaco.
Lo schermo del telefono illuminato è la sola luce visibile nel buio, fioca.

Siamo arrivati solo poche ore fa in questa regione della Polonia: partiti di corsa, i biglietti presi con tre giorni di anticipo sul volo. Ci ha spinti una certa urgenza.
Gli ultimi reportage e articoli sulla situazione dei migranti bloccati al confine tra Bielorussia e Polonia ci hanno interrogato parecchio come Operazione Colomba, come europei, forse più che altro come esseri umani... e noi ci siamo lasciati provocare volentieri.
Il sostegno è arrivato subito: sì, è giusto e urgente gettare le prime basi, è opportuno partire, non lasciamo decantare il senso di ingiustizia che ci smuove di fronte a violazioni così palesi dei Diritti Umani.


Non vogliamo abituarci alla strumentalizzazione a fini politici delle persone più fragili e indifese, non vogliamo assuefarci agli abusi perpetrati contro la disperazione di chi fugge, ancora oggi, dalla guerra, dall’oppressione e dalla mancanza di prospettive per il futuro proprio e dei propri figli.
E’ così che siamo scesi dall'aereo e il primo respiro d'aria ci ha gelato subito le narici.
Siamo rabbrividiti dentro pensando che la foresta che circonda l'aeroporto di Modlin è uguale a quella in cui, a tre ore di macchina, migranti siriani, iracheni, curdi e afghani trascorrono notte e giorno, fronteggiando le condizioni meteorologiche tipiche del clima continentale in questa stagione: pioggia e freddo.

Operazione Colomba è nuova in questo contesto, non sappiamo ancora bene come muoverci: dall'Italia avevamo cominciato a recuperare qualche contatto, attivisti e cittadini polacchi impegnati sul loro territorio.
Siamo partiti per Varsavia dove ci ha accolto un'attivista straniera, molto intraprendente e accogliente, che ci ha chiesto subito di fare un intervento di emergenza: un gruppo di persone, a pochi minuti di auto dalla località in cui abbiamo preso alloggio, ha bisogno di aiuto.
Siamo corsi dunque a fare una spesa coi beni di prima necessità che potevano essere loro utili, aggiungendo anche dei cappelli, dei guanti e delle calze pesanti che avevamo portato appositamente da casa.

A Varsavia nevicava.
Preparati i pacchi ci siamo messi in viaggio con la macchina carica.
E’ già buio e piove quando riusciamo a consegnarli.
Mentre torniamo ci solleva il pensiero che alcune persone potranno finalmente ristorarsi un poco, ma l’amarezza di non aver potuto scambiare con loro nemmeno uno sguardo di conforto, non ci abbandona.
Nei giorni seguenti cerchiamo di renderci utili preparando altri pacchi di viveri e vestiti pesanti.
Notiamo il grande dispiego di forze armate, anche nell’area appena fuori la zona rossa (una zona interdetta ad Associazioni e non residenti, che corre lungo il confine bielorusso).

Oltre queste azioni dirette proviamo ad aprire il più possibile gli occhi sul contesto che abbiamo intorno.
Riusciamo ad incontrare un’attivista polacca il giorno della partenza per rientrare in Italia; grazie a lei riusciamo ad apprendere altre dimensioni del fenomeno migratorio che interessa l’area, come il problema dei centri di detenzione in condizioni estremamente precarie. Ci sottolinea in particolar modo l’effetto della propaganda mediatica che polarizza sempre di più in maniera razzista il Paese; ci racconta che il governo in crisi trae beneficio da questo pugno duro con i migranti, così acquisisce consensi e si dimostra forte agli occhi della popolazione.
Proviamo a chiederle dove potremmo essere utili ma la relazione di fiducia con i locali, che è sempre uno dei nostri principali obiettivi, è ancora acerba e purtroppo non riceviamo risposte molto incoraggianti.

Pensiamo insieme a quali prospettive può e deve avere questo primo viaggio.
Intanto altri volontari sono già pronti a partire e tutto quello che scopriremo e impareremo servirà per capire come possiamo essere Corpo Nonviolento di Pace anche qui, oggi.