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27 Giugno 2019

Sea Watch: Appello al Presidente del Consiglio

Dalla Chiesa Cattolica, con Azione Cattolica e Papa Giovanni XXIII, alle realtà sociali, si moltiplicano i messaggi di solidarietà per i migranti
Sea Watch: Appello al Presidente del Consiglio
Foto di Azione Cattolica Italiana
Il Decreto Sicurezza si forma su presupposti non dimostrati; tutte archiviate le accuse alle Ong. L'appello di Ramonda

La Comunità Papa Giovanni XXIII rivolge un appello al Presidente del Consiglio Conte affinché si consenta lo sbarco immediato delle 42 persone a bordo della Sea Watch.

«Chiediamo alle istituzioni il coraggio di rinunciare a una inutile prova di forza, dimostrando un sussulto di umanità che renderebbe orgogliosi gli italiani», chiosa il Presidente Comunità Giovanni Paolo Ramonda, che rende proprio l'analogo appello lanciato dall'Azione Cattolica Italiana.

Intanto stasera in provincia di Rimimi, alle 23, in unione con le città di Bologna, Torino e Roma, ci sarà un presidio sul sagrato della collegiata di Santarcangelo di Romagna. La Comunità Papa Giovanni XXIII sarà presente con i suoi volontari e con il corpo di pace Operazione Colomba.

Altre iniziative sono previste nei prossimi giorni.
 

La Chiesa Cattolica è con i migranti

Il 24 giugno, nel giorno dedicato a san Giovanni Battista (patrono di Torino), al termine della messa l’arcivescovo Nosiglia, a sorpresa, nella cattedrale gremita di gente, ha lanciato una proposta (accolta da un lungo applauso) per sbloccare la situazione dei migranti sulla Sea Watch 3: accoglierli in diocesi.

“Desidero esprimere la mia solidarietà a quanti in Italia e anche nella nostra città stanno dimostrando pacificamente per richiamare l’attenzione sulla situazione di grave e ingiusta sofferenza in cui si trovano 43 persone sulla nave Sea Watch al largo di Lampedusa. La Chiesa di Torino è disponibile ad accogliere senza oneri per lo Stato questi fratelli e sorelle al più presto, se questo può servire a risolvere il problema”.

Già nel primo giorno d’estate, dalla collina di Posillipo, dove lo sguardo si perde nel travagliato Mediterraneo papa Francesco ha alzato una voce forte, nella Napoli culla del meticciato, della mescolanza di razze, dagli stessi odori dell’Africa e del Medio Oriente. Il Papa ha indicato spazi concreti in cui costruire fratellanza tra culture e religioni e orizzonti per una “pentecoste teologica”, una teologia concreta fondata su dialogo, incontro, accoglienza, che non possono essere concetti vuoti, ma si traducono in azioni e significati precisi, “Il dialogo può essere un metodo di studio, oltre che di insegnamento”. Il dialogo – per il Papa – ha anche un tempo e un luogo specifico. “Nel nostro caso: il Mediterraneo all’inizio del terzo millennio”.

Un tempo e un luogo specifico, il Mediterraneo

Con la mente e il cuore fissi sul "Dio misericordioso e pietoso", come possono la Chiesa e la società civile aiutare l’incontro, l’accoglienza, il dialogo con i tanti naufraghi migranti, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria? Come possiamo farci toccare il cuore “dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo mare comune”?
Piuttosto che gestire un tema politico, i paesi europei hanno cancellato il problema nel modo più brutale possibile, voltando le spalle alle tragedie in mare e delegando l’attività di polizia a uno dei peggiori partner, la Libia, nonostante una delle 35 raccomandazioni del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Dunja Mijatovic, reciti testualmente “gli Stati membri della Ue devono sospendere ogni collaborazione con la Libia finché non sarà provato che non sono violati i diritti umani delle persone sbarcate sulle sue coste”. Una raccomandazione che cerca di contemperare il giusto equilibrio tra il diritto di controllare i confini e il dovere di proteggere le vite e i diritti delle persone soccorse nel Mediterraneo.

I limiti del Decreto Sicurezza Bis

In Italia Il 15 giugno 2019 è entrato in vigore il cd decreto “sicurezza bis” (decreto legge 53) contente “disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”.

Sia il decreto che le direttive emanate negli scorsi mesi dal Ministero dell’Interno si fondano su una serie di presupposti indimostrati – anzi ripetutamente smentiti dalla Nazioni Unite - ovvero che gli interventi in determinate aree di mare da parte di imbarcazioni private non siano mere operazioni di salvataggio, ma diano luogo a un’intenzionale trasporto dei migranti per favorirne l’ingresso illegale sul territorio nazionale e incentivino gli attraversamenti via mare di stranieri irregolari.

Donna africana con figli
Foto di DANIEL DAL ZENNARO - ANSA


Tutto questo creerebbe un grave rischio che soggetti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, o peggio coinvolti in attività terroristiche, entrino nel nostro Paese. Insomma una “presunzione di colpevolezza” delle Ong che compiono salvataggi in mare, di conseguenza viene dato al ministro dell’Interno ampio potere di chiudere le nostre acque territoriali. Eppure ogni inchiesta aperta dalla procura di Catania a carico delle navi umanitarie delle ONG (accusate di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) in seguito al salvataggio di persone al largo della Libia è risultata completamente infondata ed è stata archiviata.

Altra anomalia è che sul tema del trasporto dei migranti il governo ricorra a un decreto-legge, cioè a un provvedimento basato su necessità e urgenza, a fronte di un’oggettiva diminuzione degli sbarchi. Dai dati diffusi dal Viminale vediamo che dal 1 gennaio al 10 giugno 2019 sono arrivati in Italia 2.144 stranieri, l’85% in meno rispetto al 2018, il 96% in meno rispetto al 2017. Dov’è il presupposto di necessità e urgenza?

La società civile si mobilita

Durissima la presa di posizione sul decreto delle maggiori Associazioni e Ong: “viola – sostengono in molti – i principi del diritto e l’etica e bisogna opporsi in ogni modo!”.

La Comunità Papa Giovanni XXIII, attraverso il presidente Giovanni Paolo Ramonda, dichiara che “Il rafforzamento sociale della capacità di rispondere in maniera nonviolenta alle difficoltà e dell’attitudine alla solidarietà giocano un ruolo fondamentale nel prevenire e risolvere i conflitti. La cultura della dignità di ogni essere umano in qualunque condizione, in qualsiasi stato, e la solidarietà, sono la chiave per la coesione sociale. Ogni politica di migrazione deve partire da questi presupposti. Riteniamo la scelta dell’accoglienza imprescindibile. I profughi in mare vanno soccorsi, salvati e integrati, privilegiando i corridoi umanitari. Ribadiamo con forza che  quando questi fratelli e sorelle sono in pericolo, sono in mare, il diritto alla vita e a essere salvati è sacro e non è possibile criminalizzare la solidarietà. L’Italia anzi dovrebbe diventare una superpotenza della nonviolenza, istituendo un ministero della Pace e tagliando le spese militari.

Negli ultimi tre anni abbiamo più che triplicato la vendita di armi, in particolare armi utilizzate nei conflitti che insanguinano Africa e Medio Oriente. E’ una vergogna! Vendiamo armi all’Arabia Saudita che le utilizza contro lo Yemen, in una catastrofe umanitaria che si consuma nel silenzio generale: oltre seimila morti, 2,5 milioni di sfollati, abusi, crimini di guerra. Ospedali, scuole, fabbriche e campi profughi bombardati. e la maggior parte delle vittime sono bambini. Come possiamo far finta di niente?”

Auspichiamo - continua Ramonda - che in sede di conversione del decreto sicurezza bis si rivedano le norme mettendosi in ascolto delle tante voci della società civile che si stanno alzando, insieme, in questi giorni. Chiediamo, come dice il Papa, dialogo, cuori e porti aperti verso chi arriva qui per cercare un futuro migliore”.

Io Accolgo, la campagna per la solidarietà

La Comunità aderisce alla campagna “Io accolgo”, promossa da numerose organizzazioni sociali italiane ed internazionali, per dare visibilità a tutte le esperienze diffuse di solidarietà che contraddistinguono il nostro Paese: dalle famiglie che ospitano stranieri che non hanno più un ricovero alle associazioni che organizzano corridoi umanitari, dai tanti sportelli legali e associazioni di giuristi che forniscono gratuitamente informazioni e assistenza ai migranti, a chi apre ambulatori in cui ricevere assistenza sanitaria gratuita, a chi coopera a livello internazionale per accompagnare le migrazioni forzate e ridurre l’insicurezza umana nei paesi di origine e transito.
Centinaia di esperienze diverse che la Campagna vuole mettere in rete, perché vengano condivise e riprodotte, perché finalmente vengano conosciute, se ne dia notizia e l’opinione pubblica ne prenda consapevolezza. Perché sicurezza è vincere la paura dell’altro costruendo ponti di dialogo.