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16 Marzo 2021
Ultima modifica: 16 Marzo 2021 ore 16:39

L'Europa introduce il diritto alla riparazione

Per porre fine all'obsolescenza programmata e per rendere la nostra economia più circolare, dal 1° marzo l?Europa prevede nuove regole per la riparazione dei dispositivi elettronici.
L'Europa introduce il diritto alla riparazione
Foto di Andrea Pacquadio
Riparare gli elettrodomestici significa allungarne il ciclo di vita e, dunque, ridurre l'impatto ambientale derivante dai rifiuti elettronici. Esclusi smartphone e pc portatili.
Secondo un sondaggio Eurobarometro, il 77% dei cittadini dell’Unione europea preferirebbe riparare i propri dispositivi elettronici piuttosto che sostituirli. Il 79% ritiene che dovrebbe vigere l'obbligo pei produttori di semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione di singole parti.
 
La buona notizia è che dal 1° marzo 2021, il Parlamento europeo ha introdotto proprio il diritto alla riparazione: d’ora in poi, le aziende che vendono elettrodomestici, come frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici o televisori, dovranno garantire all’utente la possibilità di ripararli entro un periodo di tempo di dieci anni. 

Allungare il fine vita agli elettrodomestici

L’obiettivo dell’iniziativa è chiaro: si cerca di contrastare l’obsolescenza programmata, ovvero la strategia industriale volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato, supportando invece un’economia più circolare ed ecosostenibile. 
Questo perché riparare gli elettrodomestici significa allungarne il ciclo di vita e, dunque, ridurre l’impatto ambientale derivante dai rifiuti elettronici.

Foto di Rachel Claire


Secondo il report “Global E-waste Monitor 2020” delle Nazioni Unite, nel 2019 i consumatori europei hanno prodotto oltre 53 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e potrebbero raggiungere le 74 milioni di tonnellate entro il 2030. I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) sono quelli che aumentano più rapidamente in Europa, eppure questi vengono riciclati con una percentuale inferiore al 40 per cento
 

Obbligo di fornire i pezzi di ricambio

 
Ma cosa prevede la normativa? Il regolamento approvato dalla Commissione europea prevede che tutti «i produttori o gli importatori saranno ora obbligati a mettere a disposizione dei professionisti addetti alla riparazione una serie di pezzi di ricambio di un articolo per almeno 7-10 anni dall’immissione sul mercato Ue dell’ultima unità di un modello». 
 
Le aziende sono obbligate pure a rendere disponibili i manuali tecnici per i professionisti e istruzioni comprensibili anche per i riparatori amatoriali. Inoltre, il diritto alla riparazione prevede la possibilità di aggiornare sia i componenti hardware che i software dei prodotti, sempre con l'obiettivo di ritardarne il fine vita.
 

Non si applica agli smartphone
 

Sebbene la norma rappresenti un primo passo verso la fine dell’obsolescenza programmata, diverse sono le critiche mosse a questo provvedimento. Prima di tutto il fatto che le nuove regole si applicano solo ad alcune categorie di prodotto e tra queste non rientrano smartphone e computer portatili, forse tra i più soggetti all’obsolescenza pianificata.
 
Altra criticità riguarda i pezzi di ricambio: non c’è alcun riferimento ai prezzi e i tempi di consegna possono risultare molto lunghi (che per un frigo o una lavatrice rotti sono decisamente troppi). 
 
Infine, come sottolinea Altroconsumo, sarebbe realmente efficace andare verso la standardizzazione di alcuni componenti, limitandone così la variabilità, in modo da agevolare i riparatori che oggi hanno bisogno di diversi strumenti anche solo per smontare gli apparecchi e accedere alle parti da sostituire. In questo senso, un design più attento all’aspetto della riparabilità, renderebbe di fatto questi oggetti molto più sostenibili.