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9 Luglio 2021
Ultima modifica: 20 Aprile 2023 ore 08:49

L'uomo della casa senza muri

E altre storie che curano l'anima
L'uomo della casa senza muri
Foto di Lunatictm
«Ho voluto raccontare alcuni dei più significativi insegnamenti di vita che hanno saputo darmi i piccoli e i poveri della terra» spiega l'avvocato pesarese Laila Simoncelli. Dieci racconti avventurosi, situazioni a volte drammatiche vissute durante missioni umanitarie, in cui sono proprio le persone apparentemente più insignificanti a imprimere una svolta nella storia. In libreria.
Esce oggi nelle librerie L’uomo della casa senza muri, una raccolta di 10 racconti scritti da Laila Simoncelli, avvocato originaria di Pesaro.
Il suo cammino personale e spirituale inizia molto giovane: già durante l’università vive nelle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII mettendosi a servizio dei più poveri. Negli anni '90 è impegnata in ex Jugoslavia, al fianco delle vittime del conflitto dei Balcani con Operazione Colomba, il corpo civile nonviolento dell’associazione Giovanni XXIII.

Partita come missionaria in India nel ’95, Laila diventa la responsabile di una Casa di accoglienza per bambini in Tanzania per un decennio, svolgendo la sua attività a favore della tutela delle donne e dell'infanzia.
Attualmente esercita la professione forense con particolare impegno a favore dei più deboli, delle persone vulnerabili, delle donne sfruttate e dei migranti. Collabora con la rappresentanza a Ginevra della Comunità Papa Giovanni XXIII per la tutela dei diritti umani.
È stata in varie parti del mondo, Niger, Camerun, Libano e Grecia accanto ai più abbandonati dalla società per farsi voce delle violazioni dei diritti umani nei diversi contesti sociali ed istituzionali, sia nazionali che internazionali.

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Intervista all'autrice Laila Simoncelli

Da dove nasce l’idea di scrivere "L’uomo della casa senza muri"?

«Questi racconti sono stati scritti per fissare sulla carta, durante il lockdown dovuto alla pandemia, alcuni dei più significativi insegnamenti di vita che hanno saputo darmi i “piccoli e i poveri” della terra. Vissuti reali che hanno curato la mia anima in tante occasioni e hanno saputo essere vere e proprie icone misteriose del divino che agisce nella storia di ciascuno e che, nella mia, si è rivelato attraverso la debolezza. Vere e proprie epifanie personali. Momenti della mia vita che mi hanno fatto sentire concretamente e profondamente amata.
Il testo è stato scritto inizialmente senza uno scopo particolare se non quello di farne una memoria, una sorta di sigillo scritto di gratitudine per la luce ricevuta sul senso della Vita. Una lode a coloro che mi hanno guarito dalla mia cecità!  
Poi un carissimo amico scrittore, che in un mio slancio di confidenza, li ha letti, mi ha raccomandato di adoperarmi per farli pubblicare perché avrebbero potuto essere, a suo dire, di una qualche utilità ad altri; così ho preso coraggio, vincendo il pudore, e li ho proposti alla casa editrice. Spero davvero che qualcun altro possa gioire con me di questa riconoscenza che si è tradotta in un balbettio di rivoli d’inchiostro.»

Qual è il fil rouge dei 10 racconti contenuti nel libro?

«È senz’altro questo rivelarsi di Dio e dell’umanità nelle pieghe di eventi che letti con uno sguardo pulito, libero da pregiudizi e disinteressato aprono a riconoscere i poveri, gli ultimi come maestri di umanità, profeti di speranza anche quando sono sfigurati.
Il libro è una lezione di vita appresa a piccoli passi, lo svolgersi di insegnamenti offertimi inaspettatamente su ciò che è più profondo nel cuore umano: lo slancio verso la vita, la capacità di superare le difficoltà, la forza nelle situazioni che sembrano insuperabili, la grande capacità di amare iscritta ed innata nell’essere umano.
È la testimonianza, in me provata, che si può essere felici, di quella gioia che fa nuove tutte le cose, solo se si vince l’egoismo e l’individualismo per varcare la soglia della gratuità e del dono di sé.»

A chi è rivolto questo libro?

copertina libro L uomo della casa senza muri
«Questo libro è rivolto a tutti, proprio a tutti coloro che desiderino cimentarsi nella lettura di storie realmente accadute, un po' diventarne partecipi addentrandosi nel mistero del cuore umano.
Il testo è volutamente molto semplice, lo stile dei racconti è popolare, un po' come delle favole reali che possono essere lette da chiunque e proposte anche ai ragazzi, ai giovani. Un libro che è fatto di emozioni profonde, ma narrate nel modo schietto tipico della genuinità dell’esperienza vivida che ho vissuto.
I riferimenti spirituali dei racconti appartengono a valori di quell’umanità universale in cui ciascuno si può riconoscere, e, in ogni singolo racconto, possono essere colti laicamente da qualunque lettore.»

I racconti narrano alcune vicende che ti sono accadute realmente. Quale di questi episodi ricordi con maggior emozione e perché?

«Gli episodi che narro sono solo quelli che sono materialmente riuscita a scrivere, ma tanti altri mi sono incisi nell’anima e chissà un giorno ne scriverò altri! Nel Talmud, testo sacro dell’ebraismo, è scritto: "Chi salva una vita salva il mondo intero" e sempre in esso si parla di "trentasei giusti nel mondo" capaci di riconoscere in ogni momento della storia la sofferenza e farsene carico.
Ecco tra tutte le vicende vissute l’emozione è stata immensa e la gioia indelebile, in tutte quelle occasioni che, a volte anche mio malgrado, sono stata indegno strumento per la salvezza di una vita solo perché ho detto un sì genuino; risposta autentica a quell’imperativo di amore inscritto nel mio cuore senza remore, paure e senza nascondermi dietro troppi ragionamenti di convenienza. Una vera grazia per la quale, ne ho ben consapevolezza, non ho alcun merito, perché scritta già dentro di me e a cui non ho opposto resistenza.»

Sei stata missionaria per tanti anni, poi hai avuto modo di viaggiare in diversi Paesi: cosa ti ha regalato questa esperienza “di mondo”?

«Il mio vivere in altri Paesi ha arricchito profondamente il mio essere, mi ha aperto gli occhi sul mondo e soprattutto il condividere la mia vita con gli esclusi della terra e della storia, ha aperto uno squarcio preciso sulla nostra esistenza come uomini e popoli sul pianeta.
L’interdipendenza tra i singoli e tra popoli non è un’idea buonista riservata a pochi, ma una realtà che non possiamo negare e la sola vera prospettiva della convivenza possibile, la chiave per affrontare la grande sfida del vivere assieme. Un valore imprescindibile alla convivenza pacifica tra gli uomini. E per citare Papa Francesco: "Ascoltare il grido dei poveri che risuona dentro di sé, lasciarsi provocare dalla sofferenza degli altri e decidere di andare lontano per toccare le loro ferite – che sono le ferite di Cristo – non solo ci fa partecipare alla costruzione di un mondo più bello, più fraterno, più evangelico, ma rafforza la Chiesa nella sua missione di affrettare l’instaurazione del Regno di Dio", quello stesso Regno che, per chi non è credente, è comunque il luogo di relazioni umane di giustizia, di pace e di fratellanza universale poste alla base del patto di convivenza umana universale.
Ho ricevuto il regalo della consapevolezza della non rinunciabilità dell’opzione preferenziale per i poveri se vogliamo davvero un mondo che voglia restare abitabile per l’uomo e per le generazioni future.»

Andare in missione secondo te è per pochi o per tutti? Perché?

«È assolutamente per tutti, perché la creatività dell’amore e del dono di sé non ha limiti, ognuno secondo le proprie attitudini, le proprie capacità ed in mille modi possibili. Ogni terra poi è oggi terra di missione, non possiamo più confinare la missione di ogni uomo a creare legami di solidarietà, fratellanza, di cura ad un luogo, tutta la nostra esistenza è missionaria là dove siamo o là dove ci rechiamo! Questo “noi” che ci lega gli uni agli altri è grande come l’umanità! Madre Teresa diceva: "Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quando amore mettiamo nel dare". Ecco la missione di tutti: mettiamo l’amore! Arrendiamoci e non resistiamo all’amore!»


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Intervista a cura di Chiara Bonetto