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28 Dicembre 2022
Ultima modifica: 25 Gennaio 2023 ore 20:34

Aborto: una storia vera

La nascita del nipotino fa esplodere il trauma che non aveva mai superato
Aborto: una storia vera
Foto di Charles Deluvio
Il 28 dicembre la Chiesa cattolica ricorda i santi innocenti, bambini di pochi mesi di vita fatti uccidere dal re Erode. Oggi uno dei fenomeni che più immediatamente si associa alla strage degli innocenti è l'aborto volontario. Per questa occasione vi raccontiamo la storia di Grazia, rimasta incinta a 18 anni che, anche se è molto combattuta, alla fine decide di abortire. È una scelta che non le darà pace per più di 40 anni. E ora Grazia la vuole raccontare.
Ci sono delle esperienze dolorose che continuano a scavare dentro anche dopo tanto tempo. 
È il caso di Grazia, che oggi è mamma di due figlie e nonna di un nipotino di 3 anni.
«È successo il 15 dicembre del 1980. Anche se sono passati 42 anni, è stata un’esperienza che mi fa ancora male. Quello era il periodo in cui era appena stato approvato il referendum sull’aborto. A quel tempo mi ero messa insieme al mio primo ragazzo. Io avevo 17 anni, lui aveva 7 anni più di me. Io non volevo avere rapporti, perché temevo di rimanere incinta e perché ero contraria all’aborto. Poi però mi ci sono trovata… pensi che queste cose capitino sempre agli altri, invece è successo anche a me: sono rimasta incinta che avevo 18 anni. Mi son vista crollare addosso il mondo. In quel momento mi sembrava che fosse finita la mia vita, tutto mi sembrava problematico, insormontabile. Non volevo assolutamente dirlo ai miei genitori, sono sicura che non mi avrebbero punito, magari si sarebbero arrabbiati all’inizio, ma poi le cose si sarebbero risolte. Però avevo troppa paura di deluderli. Ora so che un bambino sarebbe stato una gioia, ma in quel momento non sono riuscita a vedere tutto questo. E neppure ho avuto accanto a me le persone giuste che mi dicessero: “Cosa stai facendo? Attenta, riflettici bene”».
 
Grazia ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa sentirsi impaurita, sola di fronte a una decisione importantissima: doveva decidere tra la vita e la morte. 
«Il mio fidanzato ha scaricato su di me la responsabilità di questa decisione. Mi ha anche buttato lì questa proposta: “Se vuoi ne parlo coi tuoi genitori e ci sposiamo”, ma l’ha detto in un modo che si vedeva che non era convinto. Anche lui, come me, voleva la sua libertà e non si sentiva ancora pronto per il matrimonio. Le mie compagne di classe, che in quel momento erano le persone più vicine che avevo, dicevano che secondo loro per avere un figlio dovevo sposarmi, ma che era troppo presto per farlo. La ragazza più femminista del gruppo, che ha avuto il sopravvento su tutte, mi diceva: “Un figlio bisogna deciderlo, non è giusto che la tua vita cambi per una cosa successa per caso. E poi ancora non c’è niente, non puoi considerarlo un bambino”. Mi sono aggrappata a questi suoi ragionamenti perché mi faceva comodo, mi sono lasciata convincere e ho abortito».

«Sono riuscita a confidarmi con mia mamma solo dopo 5 anni» 

Pur essendo legale abortire, un conoscente la mette in contatto con una persona che privatamente effettuava aborti a pagamento.
«È avvenuto il 15 dicembre mattina. Lì per lì pensavo di essermi liberata di un peso. Il Natale era vicino, ma non ricordo niente di quel periodo: le mie giornate erano solo grigie. 
All’inizio pensavo di essere tornata quella di prima, continuavo a ripetermi che non era successo niente, ma non era così. Quel bambino c’era e ci sarà per sempre: un essere umano dal momento in cui si incarna è eterno. Continuavo a pensare a come sarebbe stato, mi dicevo: A quest’ora sarebbe nato, a quest’ora avrebbe avuto un mese, a quest’ora avrebbe compiuto un anno…».
 
Per Grazia inizia un lungo periodo, che dura anni, in cui non riesce a prendere coscienza di quanto quella singola scelta avesse ripercussioni sulla sua vita presente.
«Per 2 anni non sono riuscita a rendermene conto pienamente, pensavo di averlo superato. Sì, sentivo il dolore per aver fatto quel gesto, ma cercavo di giustificarlo, di dargli un senso. Ma più cercavo di dargli un senso, più mi tornava indietro: non c’è niente che può giustificare un aborto. Per la vita bisogna sempre lottare, non si può uccidere, non c’è nulla che vale la vita di un bimbo. Poi, a un certo punto, sono crollata e ho ammesso di essere stata una vigliacca, di aver fatto una cosa terribile. Sono riuscita a confidarmi con mia mamma solo dopo 5 anni. L’ho fatto per cercare un po’ di conforto, perché avevo sempre questi tormenti continui, soprattutto la mattina quando mi alzavo presto - io facevo i turni, tutt’ora lavoro come turnista in aeroporto -e tutte le mattine, quando mi alzavo alle 4, all’alba, nel silenzio, con i colori del cielo, mi tornava alla mente il ricordo del mio bambino, e mi crollava il mondo addosso».

«Non potevo più rimediare al mio sbaglio e mi sembrava di impazzire 

Quella scelta, fatta per continuare a godere della propria giovinezza, fatta per andare incontro ai desideri e alle aspettative dei genitori e del fidanzato, si rivela un boomerang capace di distruggere l’autostima e i rapporti interpersonali. 
«Con quel ragazzo poi sono venuti fuori dei problemi, io ero innamoratissima, lui però era libertino e ho scoperto che mi tradiva. Dopo che mi ero concessa, dopo che gli avevo dato tutta me stessa, scoprire i suoi tradimenti mi ha provocato troppo dolore e l’ho lasciato. Tutto ciò ha causato una caduta della mia autostima. Se prima pensavo: “Io merito una persona che non mi tradisca” perché come persona sapevo di valere qualcosa, arrivati a quel punto invece pensavo: “A che titolo dovrei meritare la felicità quando ho tolto la vita a mio figlio, all’essere più indifeso di questo mondo? Proprio io che dovevo difenderlo e proteggerlo, gli ho tolto la vita. Quindi chi sono io per dire: Non merito questo?”. Dentro di me si era creata una frattura tra la parte buona e quella cattiva».
 
Il tormento interiore era a tratti così profondo che a Grazia sembra di essere in un tunnel senza via d’uscita:
«Dopo i primi 2 anni le cose sono peggiorate, ho pensato anche al suicidio ma quello che mi tratteneva era che se mi suicidavo non avrei potuto incontrare il mio bambino, volevo abbracciarlo almeno dopo questa vita, volevo chiedergli perdono, volevo dargli tutto l’amore che non gli ho dato in vita. Il mio bambino era già nella gloria eterna e se io mi suicidavo andavo a finire da un’altra parte e non l’avrei potuto incontrare. Tutti i giorni pensavo a quello che avevo fatto, non trovavo via di scampo perché non potevo più rimediare al mio sbaglio, mi sembrava di impazzire. L’aborto è un gesto irreversibile. È peggio di un omicidio qualunque, perché in un omicidio la persona aveva già vissuto, invece con l’aborto tu neghi la vita a un bambino. A volte mi prendeva questo dolore che toglie il respiro e mi ritornavano quelle domande: “Come ho potuto farlo? Come ho potuto essere così cieca, così egoista?”».

Il lungo percorso di guarigione interiore 

Dopo aver lasciato il suo ragazzo, Grazia prova ad andare avanti, a voltare pagina.
«Qualche anno dopo che ci eravamo lasciati, il mio ex si è sposato e così io ho iniziato ad avere delle storie che non potevano avere un lieto fine con persone sposate oppure storie impossibili con ragazzi lontani. Forse mi buttavo in queste storie sbagliate perché dentro di me mi sentivo indegna di costruire una famiglia vera dopo quello che avevo fatto. Poi mi sono messa con un mio compagno di università, anche lui era un po’ libertino. Sono rimasta incinta nuovamente. Lui voleva che abortissi, ma io mi sono opposta, ero decisa a portare avanti la gravidanza. Mi sentivo felice di essere rimasta incinta, era come se Dio mi avesse dato l’opportunità di riscattarmi. A quel tempo avevo 28 anni, quasi 29. Nel 1992 sono rimasta incinta e nel 1993 è nata mia figlia. L’ho cresciuta da sola, ma ero felicissima. Poi ho avuto anche una seconda figlia, sempre con lo stesso uomo, che era ritornato da me. Ci siamo sposati, ma lui si è rivelato un uomo violento e dopo un mese sono scappata con le mie figlie e sono tornata nella mia città di origine».
 
La vita va avanti: il lavoro, le due figlie che crescono, gli anni passano. Tutto sembra ritornato alla normalità, ma il dolore si ripresenta in modo inaspettato.
«Mia figlia è rimasta incinta prima di sposarsi e io ho visto con quanto amore ha iniziato subito a pensare a mettere su casa, per far spazio a questo bimbo in arrivo. Ho pensato: “Vedi? Lei sta facendo tutto quello che potevo fare anch’io, ma non ho fatto”. Ho visto in mia figlia tutto ciò che potevo essere io e non sono stata. Questo mi ha commosso tantissimo. Quando poi è nato questo bambino, solo a guardarlo mi sembrava di vedere gli occhi del bimbetto che non era mai nato. Ogni volta che il mio nipotino mi guardava, mi commuovevo profondamente perché pensavo sempre al bimbo che non era nato. Sentivo un dolore profondo, il trauma di quello che avevo vissuto stava tornando fuori potentemente. A quel punto ho cercato aiuto e ho trovato La vigna di Rachele, un’associazione che aiuta i genitori che hanno fatto l’esperienza dell’aborto. Ho partecipato a un weekend con loro per riuscire a superare questo trauma. Mi è servito molto perché ho potuto incontrare altre mamme e papà che vivono come me questo dolore grande, si instaura una grande fratellanza in questo dolore comune. Durante il ritiro si sente molto la presenza di questi bambini, si dà loro anche un nome e si finisce con una sensazione di pace. Adesso sono felice che questo bambino ci sia stato e non vedo l’ora, un domani, di poterlo incontrare e abbracciare. Adesso prego con lui, parlo con lui, gli do la buonanotte, è una cosa che mi rincuora, sto costruendo un rapporto con questo bambino, che è un tesoro in cielo. A volte mi sento spiritualmente più vicina a questo bimbo piuttosto che con le figlie che ho qui vicine fisicamente».

«Vorrei dare questo messaggio ai giovani» 

Grazia oggi ha 2 figlie e un nipotino di 3 anni e si commuove ancora pensando al suo primo figlio, che la aspetta in Cielo. Dopo questo lungo percorso di guarigione interiore, vuole portare a tutti la propria testimonianza, desidera che la sua esperienza possa essere un messaggio per altri.
«Vorrei dare un messaggio ai genitori: rassicurate le vostre ragazze e i vostri ragazzi, i vostri bambini e le vostre bambine, che qualunque cosa succeda voi ci sarete sempre al loro fianco, che non li abbandonerete mai, che il vostro amore non cambierà mai, qualunque cosa succeda. Un figlio deve sapere che può contare sui suoi genitori. È importante che i genitori dicano questa cosa, che non la diano per scontata perché nei momenti di crisi i figli potrebbero pensare: “Ho paura di dare una delusione ai miei genitori, magari mi buttano fuori di casa”. Il messaggio che vorrei dare ai ragazzi invece è questo: non fate mai scelte affrettate, non abbiate la convinzione che l’aborto sia la scelta giusta, ma valutate ogni possibile strada. Le soluzioni ci sono sempre, a volte non riusciamo a vederle, ma al di là del buio c’è sempre una luce, anche se magari noi non riusciamo a vederla. Dio non ci abbandona mai al buio. Quello che a noi sembra buio, in effetti non lo è, perché dopo la mezzanotte inizia a sorgere il sole, bisogna solo attendere che arrivi una nuova alba a rischiararci la mente e il cuore. Il senso della mia vita ora è questo: testimoniare tutto il male che c’è dietro all’aborto. Non è vero che l’aborto ci rende libere, ci rende semplicemente madri di un bambino morto, che ormai non c’è più, un bambino che avremmo potuto abbracciare, coccolare, un suo sguardo ci avrebbe ripagato di tutte le sofferenze. Voglio dar voce a questo bimbo per dargli una dignità e l’unico modo è di gridare a tutti, a testa alta dicendo il male che c’è dietro l’aborto».