Topic:
27 Maggio 2022
Ultima modifica: 6 Giugno 2022 ore 12:18

Andrea Canevaro. Morto il padre della pedagogia speciale

All'avanguardia nell'integrazione scolastica in Italia e maestro della pedagogia speciale. Professore emerito dell'Università di Bologna, è stato il padre della scuola inclusiva
Andrea Canevaro. Morto il padre della pedagogia speciale
Foto di Riccardo Ghinelli
Studioso di fama internazionale sempre attento all'inclusione, soprattutto dei disabili.
È tornato al Signore a 82 anni Andrea Canevaro, considerato il padre della pedagogia speciale in Italia, fin dall’inizio all’avanguardia nell’inserimento scolastico e sociale dei disabili. Proveniente dall’esperienza scout, dopo una Laurea in Lettere e Filosofia inizia ad occuparsi di educazione nel campo della disabilità divenendo presto professore ordinario di Pedagogia speciale presso l’Università di Bologna.

Canevaro con la Scuola del gratuito

In questo ambito acquisisce fama e diventa punto di riferimento a livello internazionale. Il suo lavoro non poteva non incrociarsi con le lotte della Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha seguito fin dall’inizio dando il suo prezioso contributo di idee e di esperienza all’azione di rivendicazione.
Ne è testimone l’articolo pubblicato da “Sempre” nel 1981 in cui espone alcune idee molto avanzate per l’epoca e di cui parleremo più avanti.
Il suo rapporto con la Comunità Papa Giovanni non si è limitato all’inserimento dei disabili, ma è continuato anche quando è iniziata l’esperienza della Scuola del gratuito e già nel succitato articolo vi sono momenti in cui si prendono le distanze dalla “scuola tradizionale” e dalla sua competitività. Ha dato il suo contributo come relatore al primo convegno sulla Scuola del gratuito e successivamente è stato attivamente partecipe del lancio della Scuola “Don Oreste Benzi” di Forlì.
Vanno ricordati anche suoi contributi nel campo del recupero dei carcerati e della non violenza.

Il padre dell'inserimento scolastico dei disabili 

Rileggere quanto scrisse per il giornale “Sempre” nel 1981 ci sembra buon un modo per ricordarlo. Abbiamo mantenuto il linguaggio dell’epoca, quando “handicappato” non aveva una connotazione offensiva. Erano passati appena quattro anni dalla legge che aboliva le classi differenziali per alunni disabili e stabiliva che dovessero essere inseriti nelle normali classi con l’ausilio di un insegnante di sostegno. Naturalmente la novità aveva portato con sé dubbi e riserve, anche perché una cosa simile non era mai stata tentata prima nel Mondo.

Nel suo articolo Canevaro non si mette a discutere sui paventati effetti negativi, ma avverte subito:
«Se diventa integrazione, allora significa cambiamento della scuola, sua trasformazione per diventare una comunità educativa capace di ristrutturarsi in base alle presenze ed ai segnali che le vengono dal suo interno e dalla realtà circostante. È per questo che ritengo la presenza degli handicappati una delle poche reali trasformazioni della scuola, una delle poche realizzazioni di un miglioramento della qualità dell'educazione nella scuola.»

Se muove delle critiche non sono all’integrazione, ma alla “scuola tradizionale”:
«Nella scuola che di solito siamo abituati a chiamare "tradizionale", i bambini sono educati alla passività, ed ogni loro iniziativa deve corrispondere al progetto didattico dell'insegnante; diversamente, le attività dei bambini sono considerate incidenti e ostacoli. I bambini, in genere, sono sollecitati a lavorare ognuno per conto proprio, e quindi a considerarsi in gara o in competizione fra loro.»

Un ragazzino disabile in classe aiuta i compagni a diventare più solidali

Con l’integrazione, invece:
«La presenza di un compagno handicappato può essere l'occasione perché un gruppo di bambini impari ad essere solidale, e perché ogni bambino si "alleni" ad esercitare una responsabilità nei confronti degli altri.»
Osserva che le scelte richieste ai bambini di solito erano relegate all’ambito dei consumi: merendina, cinema ecc… e non comportavano mai un’assunzione di responsabilità. Ma di fronte ad un compagno disabile:
«Sono stati capaci di discutere con il compagno handicappato e non di lui in sua assenza o facendo come se non capisse. E nella discussione, i bambini hanno capito come i problemi potevano essere affrontati con l'impegno di ciascuno e di tutti, Questi impegni erano esattamente il contrario di quel pietismo che a volte circonda il bambino handicappato, e che non fa il bene né suo né degli altri bambini.»
«L'impegno dei suoi coetanei può trasformare la vita di una classe e formare tutti i bambini, ma anche gli insegnanti, all'esercizio di responsabilità controllabili dal gruppo.»
Ma i benefici non si fermano ai bambini:
«Se l'impegno dei coetanei diventa strutturazione della classe e della scuola, migliora la professionalità degli insegnanti.»
«E per questi bambini, un rinnovamento della professionalità degli insegnanti, provocata e voluta dall'integrazione degli handicappati, diventa una vera e propria liberazione.»
L’inserimento si rivela benefico anche per la società:
Credo che una conoscenza, proporzionata al livello scolastico e collegata alle altre conoscenze del gruppo di bambini. sia molto importante por sviluppare un miglior rapporto umano con l'handicappato, per non rischiare cadute nel moralismo e nel pietismo, e per vincere i pregiudizi che vengono involontariamente trasmessi ai bambini. Si realizzerebbe o cosi anche un contributo concreto alla prevenzione: quei bambini crescerebbero con un'esperienza che lascerebbe il segno, e vi sarebbe meno rischio che, finita la scuote, finisse anche la capacità di convivere con un handicappato, di capirlo e di farsi capire.

L'inserimento in classe esige un progetto

«Credo di avere imparato molte cose dai bambini handicappati. Ma non credo che si possa impararle ad ogni modo: si imparano se sono in una dinamica educativa tale da renderle "conoscenza ". Questo significa che non basta ammettere un bambino handicappato in una scuola. La sua presenza comporta, esige, un progetto.»
«Avviene se vivono un progetto, se gli adulti educatori sanno animarli e stimolarli nella realizzazione di un percorso educativo. Per questo, l'integrazione non può che fare bene alla professionalità degli insegnanti e non può che migliorare la qualità complessiva dell'educazione nella scuola e fuori della scuola.»
Queste parole, pronunciate più di quaranta anni fa, apparivano coraggiose, oggi sappiamo che erano profetiche.