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8 Luglio 2021

Camerun. Fuori dal carcere

Dal degrado ad un lavoro onesto
Camerun. Fuori dal carcere
L’uomo non è il suo errore: una verità che Mauro ha ritrovato anche nelle carceri del Camerun. In mezzo alla disperazione e alla solitudine, lui tende la mano. E cambia la vita.
Maggio 2014, carcere di Dschang. Le guardie portano all’ingresso tre ragazzini, avranno sì e no 12 o 13 anni. Sono incatenati, troppo esili per quelle catene così pesanti che lasciano ferite profonde sulle loro caviglie.
È questa l’immagine che segna l’incontro di Mauro con il Camerun.
«Dovevo verificare la fattibilità di una presenza della Comunità nel paese. – esordisce – Come dire no di fronte a questi ragazzini, privati della dignità?»

Non potevo far finta di non vedere

Tornato a casa in Toscana, Mauro prende tempo per riflettere. 
«Andar giù mi faceva un po’ paura – confida –, da solo, lontano dalla casa famiglia. Non ero mai andato in missione e mia moglie Norina non era molto d’accordo».
Ormai però Mauro non può far finta di niente e così a novembre 2014 parte per il paese africano.
«Il primo carcere in cui sono entrato è stato quello di Mbouda. – ricorda – L’impatto è stato terribile. Oltre alle catene, rimasti molto colpito dallo stato dei minori. Erano una quarantina, tutti stipati in una stanza buia e completamente vuota ad eccezione di qualche letto malmesso. Il cancello che li separava dagli adulti era aperto».

Il degrado

E poi lo sporco, le fogne, le latrine rotte, lo scarico a cielo aperto in mezzo al cortile centrale. 
«È stata dura – ammette – nemmeno le bestie sono trattate così. Per i primi due mesi ho pianto al termine di ogni visita. Poi mi sono calato in questa realtà».
Mauro inizia a parlare con i detenuti, li ascolta e insieme a loro cerca soluzioni per migliorarne le condizioni.
«Negli anni – racconta Mauro – grazie a diversi finanziatori, tra cui la Regione Emilia-Romagna, abbiamo distribuito cibo e materiale igienico-sanitario, realizzato laboratori di formazione professionale e lezioni di igiene».

Il progetto

Un impegno in carcere a cui presto si affianca la gestione di due centri educativi per accogliere chi è interessato a un percorso di recupero e reinserimento sociale a fine pena. 
«Il risultato più importante – conclude Mauro – è che queste persone hanno capito che noi ci siamo e per questo si sentono volute bene. Anche se abbandonate dalla famiglia non si sentono più sole e guardano al futuro con speranza».

Chi è Mauro

Mauro Cavicchioli a destra. A sinistra Stefano Vitali e al centro Florenten, il capo villaggio
Mauro Cavicchioli nasce a Pontremoli (MS) nel 1954. Membro della Comunità Papa Giovanni XXIII dal 1991, due anni dopo dà vita insieme alla moglie Norina a una casa famiglia per accogliere condannati a pene alternative al carcere. Nel 1996 fonda il Servizio Carcere per il recupero della persona, il reinserimento sociale e la lotta allo stigma nei confronti dei detenuti. A fine 2014 parte per il Camerun. 

Aiutiamoli ad avviare un lavoro onesto

Olivier e François sono due ex detenuti accolti nel centro educativo che la Comunità gestisce nella zona rurale di Soukpen. Durante il percorso di recupero si sono distinti per il forte desiderio di cambiare vita e per l’impegno dimostrato nei laboratori di formazione professionale. Olivier si è specializzato in falegnameria, François ha imparato a coltivare la terra e ad allevare gli animali. Chiediamo il vostro aiuto per l’acquisto degli strumenti a loro necessari per l’avvio di piccole attività economiche. Un investimento di 1.000 euro per dare loro un lavoro onesto e dignitoso.
Per maggiori informazioni e per contribuire:
segreteria.condivisione@apg23.org 0541 50622