«Mi chiamo Antonio e ho rubato». Inizia con queste parole la testimonianza di un ex detenuto al convegno L'uomo non è il suo errore. Percorsi di rinascita, organizzato dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna a corredo della mostra Dall’amore nessuno fugge allestita a Bologna.
«Sono stato uno dei tanti che è uscito e poi rientrato in carcere - continua Antonio -. All'inizio ho cercato di fare il bravo ma poi la mia sofferenza mi ha portato a rubare. Sono stato picchiato da bambino, mi sono chiuso dentro me stesso e mi sono costruito un carcere dentro me stesso. Sono stato un mendicante di amore. In comunità invece mi hanno accettato. Cosa ho imparato? A mettermi in ginocchio sulle mie ferite, accettare il mio passato, il dolore che ho subito e quello che ho provocato. Nel percorso fatto in comunità le mie ferite sono divenute feritoie da cui far entrare la luce».
Ad ascoltare lui ed altri ex detenuti, dopo aver visitato la mostra, i vari relatori, moderati dal giornalista Giorgio Paolucci: Emma Petitti, presidente dell'Assemblea, Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia, Debora Serracchiani, componente della commissione Giustizia della Camera (in collegamento web), Federico Amico, presidente commissione Parità, Roberto Cavalieri, garante regionale detenuti, Giulia Segatta, magistrata di sorveglianza, Giorgio Pieri e Matteo Fadda della Comunità Papa Giovanni XXIII.
La rinascita dopo il carcere è possibile, è la verità che emerge dal convegno. Le Comunità Educanti con i Carcerati (CEC) gestite dalla Comunità Papa Giovanni XXIII hanno un tasso di ricaduta nel reato pari al 12% a fronte del 70% di chi vive la detenzione tradizionale. Le CEC sono comunità gestite da educatori e volontari dove i detenuti scontano la pena lavorando, studiando, ricostruendo la capacità di avere relazioni sociali.
Giorgio Paolucci ha introdotto i lavori citando dati sulla situazione delle carceri italiane: «61 mila persone in carcere, indice di sovraffollamento del 130%, in 50 carceri si supera il 150%. Su 10 che entrano in carcere, 6 sono già entrati in precedenza. 150 euro al giorno il costo per ogni detenuto. Invece di far aumentare il carcere, dovremmo farlo dimagrire. Il modello Apac è presente oggi in 23 Paesi del mondo, l'ONU l'ha definito il miglior sistema alternativo al carcere. In Italia il sistema è rappresentato dalle CEC della Comunità Papa Giovanni XXIII»
A fare gli onori di casa Emma Petitti, presidente dell’Assemblea legislativa: «Il lavoro, anche in carcere, è un diritto e un segno di civiltà: occorre favorire percorsi, anche attraverso la presa di coscienza degli errori fatti, che consentano a questi uomini e queste donne di riprendersi in mano la propria vita. Un trattamento pedagogico-risocializzante con obiettivi chiari. Per ripartire, per ricostruire».
«L’Emilia-Romagna - spiega Petitti - è tra le regioni più attive in questa direzione e oggi l’azione educativa in carcere serve a promuovere un cambiamento, non coercitivo, non correttivo, ma di opportunità. A queste azioni, all’interno delle strutture, ne devono poi seguire altre all’esterno, per garantire a queste cittadine e questi cittadini la possibilità di ripartire attraverso la rimozione degli ostacoli che possono essere la causa di possibili recidive».
Roberto Cavalieri: «Parliamo spesso dei suicidi ma in realtà succedono, anche qui in Emilia Romagna, centinaia di caso di autolesionismo. Il modello CEC va sostenuto, abbiamo un brevetto e non ce ne eravamo accorti. Ma servono anche risposte per tutti».
Giulia Segatta: «La sicurezza sociale non è data dalla certezza della pena ma dalla certezza del recupero - ha detto citando il libro di Giorgio Pieri, Carcere, l'alternativa è possibile -. Incontrando le CEC ho trovato attuazione dei principi costituzionali, un luogo in cui la persona è accompagnata nella riscoperta di sé, senza buonismi. Serve una comunità educante. Il lavoro di chi serve lo Stato penso sia anche riconosciere i punti della società civile in cui i principi su cui si fonda il nostro Stato prendono dignità di vita».
Al convegno è intervenuto Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Siamo contrari alla cultura dello scarto: vogliamo potenziare il modello della casa comunità perché abbiamo visto che funziona. Fra i nostri obiettivi c'è quello di ricostruire relazioni sociali per le persone accolte perché vediamo la persona come soggetto da recuperare e non per il danno che hanno fatto».
«Il problema del carcere italiano è il sovraffollamento a cui si aggiunge il dramma dei suicidi fra i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria» spiega Debora Serracchiani, deputata del Pd e componente della commissione Giustizia della Camera.