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1 Dicembre 2023
Ultima modifica: 2 Dicembre 2023 ore 09:20

L'incredibile storia di Dong Dong. Sul tatami il buio non conta

L'atleta paralimpico di judo Paolo Camanni incontra il Presidente della Repubblica italiana al Festival della Cultura Paralimpica: "Sport, linguaggio universale", per diffondere una diversa percezione della disabilità e un messaggio di inclusione e integrazione
L'incredibile storia di Dong Dong. Sul tatami il buio non conta
Forza di volontà e determinazione sono i punti chiave per realizzare i suoi sogni. Dong Dong Paolo Camanni guadagna punti per le Paralimpiadi di Parigi 2024.

Dong Dong Paolo Camanni, campione paralimpico di Judo, cieco dalla nascita, il 14 novembre 2023 ha portato la sua storia di atleta paralimpico alla quarta edizione del Festival nazionale della Cultura Paralimpica promosso dal Comitato Italiano Paralimpico a Taranto.

Il judoka ha provato grande emozione nel stringere la mano al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che nel suo discorso al Festival ha ribadito: Siete la sollecitazione a tanti giovani a impegnarsi nello sport paralimpico, a far vedere che ci si può realizzare manifestando talenti di cui il Paese ha bisogno».
Sulla sua pagina  Instagram Paolo Camanni ha ringraziato tutte le autorità e tutti coloro che gli hanno permesso di partecipare a questa bellissima iniziativa. «Ringrazio di cuore tutti gli atleti paralimpici che come me hanno portato le loro storie di vita piene di volontà e determinazione.»

 

il judoka Dong Dong Paolo Camanni stringe la mano del Presidente della Repubblica al Festival della Cultura Paralimpica

 

Chi è Don Dong Paolo Camanni

«La bellezza di svegliarsi con l'alba è la consapevolezza che c'è sempre un nuovo inizio per chiunque, un obiettivo da raggiungere ed una meta da superare, la forza di volontà e la determinazione sono le chiavi per realizzare i sogni. Questo sarà probabilmente l'ultimo allenamento in spiaggia e l'ultimo bagno di quest'estate: le vacanze finiscono ma i sogni continuano.»

Sul suo profilo Instagram Dong Dong Paolo Camanni descrive così gli effetti del risveglio all’alba: il senso di forza e fiducia che lo pervade, le nuove sfide da affrontare. L’alba, però, lui non la vede, ma la sente tutta.  Dong Dong è il suo nome cinese e significa “cielo d’inverno” dato che è nato il 5 dicembre, ma per tutti è Paolo.
Cinese di origine, 19 anni, classe 2003, è un atleta azzurro paralimpico non vedente che in tutto ciò che fa mette passione, forza e determinazione. Qualità che lo hanno portato in agosto sul podio ai Mondiali di Judo International Blind Sport Federation (IBSA) a Birmingham 2023 conquistando la medaglia di bronzo nella categoria J1 -73 kg, eguagliando il risultato ottenuto ai Mondiali di Baku in Arzerbaigian nel 2022. A settembre ottiene un’altra bella soddisfazione, sempre nella capitale dell’Azerbaigian, vincendo l’argento al Grand Prix di Judo. Impresa che va ad arricchire il suo medagliere. 
Negli ultimi due anni ha vinto altri tre bronzi (Gran Prix di Almada, Portogallo 2023, Europei di Cagliari e Grand Prix di Antalya, Turchia, 2022) e la medaglia d’oro in Finlandia agli EPYG 2022, i Giochi Europei Paralimpici Giovanili.
Continuando con questo trend positivo, arriverà dritto alle Paralimpiadi di Parigi dal 28 agosto all'8 settembre 2024

Paolo Camanni è di Bevagna (PG). Attualmente vive a Bologna dove frequenta Ingegneria elettronica e delle telecomunicazioni.
Il suo arrivo in Italia dalla Cina è alquanto rocambolesco. A causa di un retinoblastoma bilaterale che lo ha reso cieco completamente, ha bisogno urgente di cure, troppo costose in Cina. Ma non ha i documenti necessari per arrivare nel nostro Paese, perché le suore che lo hanno accolto non sono riconosciute dal governo. Si interessa al suo caso il giornalista Luca Vinciguerra che prima della diretta Rai sulla visita del presidente Ciampi in Cina nel 2003, dichiara di essere pronto a mettere il bimbo in braccio alla moglie di Ciampi se non arrivano i documenti. Così Dong Dong giunge in Italia e dopo aver trascorso alcuni mesi a casa del giornalista viene adottato ancora piccolissimo da una famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII che lo sprona a mettersi in gioco.

Paolo Camanni con il suo cane da guida Peggy, assieme a Bebe Vio, campionessa paralimpica mondiale ed europea di fioretto.


Paolo è una forza della natura. Ogni giorno lo aspettano gli allenamenti sul tatami anche con persone normodotate, senza nessuna esclusione.
Ha molteplici interessi e nella sua breve vita ha già fatto un sacco di esperienze. Oltre ad essere un super sportivo, prima di passare in maniera assoluta al judo praticava anche atletica. È impegnato nello scoutismo e suona molto bene il pianoforte, strumento che ha iniziato a studiare a 4 anni. 
Un carico di impegni notevole anche per una persona che ha la vista, figuriamoci per chi la vista non ce l’ha.
Certo convivere con la disabilità è tutto un programma, ma, sostiene, «a volte ci imponiamo limiti che spesso non esistono facendoci delle paranoie.» 

Paolo, come si sta ad essere medaglia di bronzo mondiale? 

«È un enorme soddisfazione e sono veramente contento. Nel judo, che sia paralimpico o normodotato, si combatte alla pari. L'unica differenza in quello paralimpico è che si parte con le prese standard convenzionali all’inizio e poi si lavora in libertà. È una cosa bellissima perché ti permette di metterti in gioco ovunque con chiunque.»

Il rispetto vince su tutto. Non si è campioni nel judo se non si è una persona con dei principi nella realtà
Paolo Camanni

Dove sta la difficoltà?

«La difficoltà più grossa non è nel fare un risultato, ma confermarlo. Ho incontrato avversari molto forti e me la son giocata ad armi pari.»

Come sei arrivato al judo? 

«L’incontro è stato casuale e improvviso. Ho sempre fatto sport. Sono partito dal nuoto a 4 anni. Quando avevo 8 anni la mia piscina ha chiuso per ristrutturazione e io senza sport non ci potevo stare. Così, con l’aiuto dei miei genitori, mi sono avvicinato al judo. E alla fine si è rivelata la mia strada a livello sportivo».
 

Che ruolo ha giocato la tua famiglia in tutto questo? 

«Mi ha sempre spinto, mi ha indirizzato verso una vita piena di esperienze. È una cosa importantissima poter fin da bambini sperimentare, fare tante cose diverse, soprattutto quando c’è una disabilità. Questo ti permette di essere sempre attivo e di sviluppare una tendenza a superare i limiti.»

Come sei riuscito ad ottenere questi risultati nel judo?

«Il judo è uno sport che si porta avanti molto con la testa oltre che con il fisico. La mentalità fa tanto la differenza: è quella che ci aiuta e che ci abbatte nel momento in cui si va in competizione, in cui c'è un confronto. Dopo la medaglia di bronzo in Turchia nel 2022 ho cambiato la visione del judo: non copio la tecnica del mio maestro ma la rendo mia, adattandola al mio corpo.»  

Paolo Camanni: «Sono stato fortunato a crescere in Casa famiglia». 

Dongdong Paolo Camanni con il suo cane guida Peggy

Quali caratteristiche servono per essere un bravo judoka?

«Il rispetto vince su tutto. Non si è campioni nel judo se non si è una persona con dei principi nella realtà. Ci saranno sempre difficoltà da affrontare: la cosa importante è avere uno spirito combattivo in qualunque situazione della vita tenendo il rispetto, non si guadagna nessun vantaggio nel vantarsi o nell’essere pieni di sé.» 

Una persona con disabilità che riesce ad ottenere dei risultati eccezionali può essere considerata un “supereroe”, come il  Daredevil della Marvel.

«Sinceramente non mi sento nessuno. Non mi rispecchio nel supereroe, anzi. Cerco di fare quello che mi si presenta davanti e di credere nell'obiettivo, nulla di più. Lavoro per obiettivi sia nella vita che nello sport.»

Dong Dong Paolo Camanni. Qual è la ragione di questa accoppiata di nomi?

«Sono nato in Cina. Il mio nome cinese originario è Tian Dong Dong, che significa “cielo d'inverno” perché sono nato a dicembre. La mia storia vede un sacco di persone e di casi fortunati, o la mano di Dio da un altro punto di vista, perché c'è stato tanto bene nella mia vita, a partire dalla nascita. Mi hanno abbandonato davanti a un monastero di suore a 5 mesi a causa della mia malattia. Avevo bisogno di un intervento che costava tantissimo in Cina e, grazie a loro, ho potuto conoscere un giornalista italiano, Luca Vinciguerra – l’ho rincontrato l'anno scorso, dopo 17 anni – che mi ha preso a casa sua insieme ai suoi figli e mi ha permesso di trovare una famiglia adottiva della Comunità Papa Giovanni XXIII.»

Come è stato crescere in una famiglia allargata come la casa famiglia?

«Sono stato fortunato perché poter crescere in una casa famiglia vuol dire poter fare esperienza di un bene che spesso si dà per scontato. È un bene che si sviluppa non esclusivamente tra marito, moglie e figli, che è già bellissimo, ma tra tutti, in maniera incondizionata, anche con chi viene da una situazione difficile. Tutto questo è veramente importante nella mia crescita.»


Tu l’hai riconosciuta la mano di Dio nella tua vita? 

«Ci sono tante cose che sono state una sequenza di bellezza e di bene che se non ci fosse stato qualcuno dall'alto non me le spiegherei. Ancora Dio non lo conosco ma sono in ricerca. Anche solo l’idea di perseguire il bene perché c'è un Dio buono che ci aiuta e ci perdona sempre, porta a cercare il bene del prossimo. Vivere con questa consapevolezza ci porta a fare del bene.»
 

Oltre ai tuoi genitori Guido e Francesca, chi fa parte della tua famiglia?

«Ho una sorella più piccolina e due fratelli più grandi. Poi ho avuto un sacco di fratelli: mia sorella che viene dalla Nigeria che ha un anno più di me e poi tante persone che considero fratelli perché sono state tanti anni con noi.»

E Peggy?

«Lei è il mio cane guida. 

Dong Dong Paolo Camanni: «Il primo passo per poter vivere bene con la propria disabilità è accettarla.»

Dongdong Paolo Camanni con la sua famiglia
Paolo Camanni in basso a sinistra in una foto d'infanzia con la sua grande famiglia multietnica
Foto di Daniele Calisesi

Quando ti sposti come lo fai?

«Mi muovo sia con il bastone bianco che con il mio cane Peggy. Muoversi con un cane ti dà una grandissima libertà perché ti permette di non dover pensare agli ostacoli, ma concentrarti sulla strada, mentre muoversi col bastone vuol dire fare sempre attenzione a qualsiasi cosa, perché l'ostacolo per sentirlo lo devo toccare, percepire anche con la punta del bastone. Sono due modi di muoversi molto diversi, importanti tutti e due, però è ovvio che muoversi con il cane ti dà una sicurezza e una libertà maggiore.» 

Una delle tue massime è «a volte ci imponiamo limiti che spesso non esistono», ne sei sicuro?

«La gestione di una disabilità non è mai facile. Ma a volte ci si fanno delle paranoie che non sussistono. I miei genitori sono stati sempre molto realisti, diretti al punto. Questo fa la differenza perché si mette la persona sempre prima della disabilità: è la chiave di tutto.»

Che tipo di soluzioni hai trovato per affrontare concretamente la tua disabilità?

«Il primo passo per poter vivere bene con la propria disabilità è accettarla. La disabilità è anche una nostra caratteristica e può diventare un punto di forza in alcuni casi. È ovvio che vorrei guidare anch'io l'automobile o preferirei vedere, ma il mio percorso sarebbe stato diverso, magari non sarei in Italia. Potevo essere una persona completamente diversa: non sarei vissuto in casa famiglia con i miei genitori, non avrei sperimentato questo bene che ho ricevuto.»

Studiare all'università com’è per un cieco?

«Il problema è proprio la mancanza di materiale. Non siamo in tanti non vedenti che approcciamo le materie scientifiche a livello ingegneristico: il materiale è un po' insufficiente e gli aiuti che vengono dati dall'università non sono granché. Quest'anno ho ricevuto 20 ore di tutorato per tutto l'anno. Mi servirebbe qualcuno che mi aiutasse a lezione. Le materie di ingegneria sono molto visive, ci sono molti schemi, grafici e avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a trasformare i grafici in testuale.» 

Una bella sfida, forse pari alla competizione sportiva? 

«Sì, una sfida importante. Dipende da quanta forza di volontà e determinazione hai verso quello che vuoi raggiungere. Se si parla insomma di fare un'università, senza credere a quello che si vuole diventare, a quello su cui si vuole lavorare, difficilmente si farebbe questo sforzo.»

Come riesci a fare tutto?

«È che sono cose che mi piace fare, e mi piace essere una persona attiva. E so che se lasciassi indietro qualcosa, adesso che ho le forze per farlo, sicuramente poi rimpiangerei determinate scelte. Il segreto è l’organizzazione.»

La tua energia è veramente contagiosa. Ci sveli il tuo segreto?

«L’importante è perseguire le nostre aspettative, ma passo dopo passo. Questo ci permette di tenere sempre la testa sulle spalle e di essere sempre sul pezzo. Non puntiamo a raggiungere la vetta ma a volare per farlo.»