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5 Novembre 2020
Ultima modifica: 5 Novembre 2020 ore 10:06

Il Cile vuole una nuova Costituzione

Il Covid-19 e lo stato d'emergenza dichiarato dal Governo non sono riusciti a fermare la mobilitazione sociale.
Il Cile vuole una nuova Costituzione
Foto di Camila Andrea Mondaca Luman
Dopo mesi di tensioni e scontri di piazza, con il plebiscito del 25 ottobre scorso, il popolo cileno ha scelto di riscrivere la Costituzione che era stata approvata sotto la dittatura di Pinochet. Una giovane cilena fa una ricostruzione lucida dei fatti che hanno portato a questo importante risultato.
Sembrerebbe che il 25 ottobre sia diventata una data importante nella vita del Cile, il nostro Paese. Il 25 Ottobre 2019 ci fu la marcia più grande mai realizzata in Cile dall'Estadillo Social, cioè dallo scoppio delle massive proteste e manifestazioni iniziato il 18 dello stesso mese. E un anno dopo, il 25 Ottobre 2020, ci troviamo a celebrare il plebiscito nel quale si è votato per approvare o rifiutare la creazione di una nuova Costituzione.
Come siamo passati nel giro di un anno dal prenderci tutte le strade del Paese a recarsi alle urne? Ebbene è stato un processo molto lungo, costante, arduo e a volte doloroso, che tuttavia non è finito, anzi al contrario, potremmo dire che è iniziato solo di recente.
Da quando ha preso avvio la rivolta il 18 Ottobre 2019, siamo testimoni della più grande mobilitazione sociale degli ultimi decenni, con marce e raduni di gruppi di manifestanti in tutto il Paese che, grazie alla tecnologia, hanno raggiunto una coordinazione e una portata inedita.
Senza dubbio, questo processo è andato creandosi negli anni attraverso continue richieste settoriali - educazione pubblica, salute, previdenza sociale, ambiente, diritti delle donne e dei popoli originari, fra i molti - con un alto livello di organizzazione e partecipazione da parte del popolo. La maggioranza delle mobilizzazioni sono state trasversali fra le classi e, a dispetto di questa eterogeneità, tutte accumunate da una critica profonda del modello economico e politico neoliberale e del ruolo ausiliario dello stato, istituito forzatamente durante la dittatura di Pinochet.

Il Cile verso una nuova Costituzione

Scontri civili in Cile
Foto di Camila Andrea Mondaca Luman

Aver conquistato la possibilità come popolo di votare per decidere una nuova Costituzione (non una sua riforma bensì una creazione dal principio) è un primo passo molto importante perché la democrazia sia realmente rappresentativa del potere popolare. Uno dei temi centrali del movimento e di noi giovani è stata la domanda: «Come è possibile dire di vivere in una democrazia se la Costituzione in vigore nel Paese è stata scritta e instaurata in dittatura, nel silenzio, in una stanza di quattro pareti, sotto la minaccia di un colpo di stato e di uccisioni, in un clima di sottomissione e paura?». Ancor oggi questa stessa Costituzione, a causa di tutte le sue restrizioni neoliberali, non ci permette di progredire nella creazione di un Paese più giusto, meno diseguale, nel quale pensare la natura come lo spazio che abitiamo e che ci permette di vivere, e non solo come fonte di sfruttamento di risorse da parte di imprese straniere; uno spazio nel quale poter immaginare un'educazione, una salute e un sistema assistenziale per la terza età come responsabilità dello Stato; un Cile in cui vengono riconosciute le culture ancestrali che lo abitano, nel quale si possa creare una politica per le persone diversamente abili abbandonando la mera carità...potrei stilare una lista interminabile delle richieste e delle necessità per le quali il popolo ha lottato in tutto questo tempo di proteste di strada.

Violenze, scontri, morti e feriti non hanno fermato la mobilitazione del popolo

Scontri in Cile
Foto di Camila Andrea Mondaca Luman

Pertanto cambiare la Costituzione ha rappresentato il primo passo fondamentale nella costruzione del Paese che vogliamo, passo che non è stato facile da raggiungere. Dall'inizio della rivolta fino al 18 Febbraio 2020, infatti, si sono registrati 33 morti all'interno dello Stato d'Emergenza dichiarato dal Governo cileno. Si rilevano inoltre più di 10mila detenzioni per partecipazione alle manifestazioni, 1249 minori, più di 3000 feriti tra i quali 359 con traumi oculari che almeno nel caso di 2 persone -Gustavo Gatica e Fabiola Campillay- ha causato la cecità. Anche L'INDH (Istituto Nazionale dei Diritti Umani) ha sporto denuncia per 458 casi di tortura e 208 di violenza sessuale da parte delle forze di polizia, con un totale di 1140 vittime in causa.
Quindi, che l'apruebo (il sì) abbia vinto il referendum con un 78,27%, rappresenta una gran vittoria per il popolo cileno che, attraverso un'azione collettiva, ha percepito nelle proprie mani la possibilità di realizzare cambiamenti; ha percepito inoltre che il Paese gli appartiene, appartiene a tutti e tutte, non a pochi eletti; si è percepito che con questo risultato possiamo far crollare l'ultimo e grande baluardo della dittatura, perché il timore, la paura e il silenzio che le appartenevano, li abbiamo già annientati. Significa che siamo tornati ad incontrarci con i nostri vicini, a renderci conto che la povertà non è una condizione di vita, a comprendere che insieme siamo più forti. Siamo comunque consapevoli che questo risultato è solo un primo passo essenziale, e che da qui in avanti continueremo a discutere gli spazi di potere istituzionali e sociali, e che non abbandoneremo né le proteste di strada né ci lasceremo, ora che siamo tornati ad incontrarci.
Sappiamo che la lotta continua e che questo processo è appena iniziato, che cammineremo ricordando e ricordandoci di tutte quelle persone che non ci sono più, però soprattutto procederemo con speranza, consapevoli che stiamo aprendo un cammino pieno di possibilità e futuri cambiamenti.