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14 Dicembre 2022

Il premio Planco d'oro a Mara Rossi

A 17 anni conosce don Benzi e decide di diventare medico missionario. Ora lotta contro le ingiustizie alle Nazioni Unite.
Il premio Planco d'oro a Mara Rossi
Maria Mercedes Rossi, originaria di Coriano (RN), è stata per 20 anni medico missionario in Zambia, specializzata in malattie infettive. Dal 2009 porta la voce dei poveri alle Nazioni Unite a Ginevra con la Comunità Papa Giovanni XXIII
Il 10 dicembre al Grand Hotel di Rimini è stato consegnato a Maria Mercedes Rossi il prestigioso premio Jano Planco d'oro, indetto dall’Ordine dei medici Rimini.
Medico missionario, nata a Coriano e specializzata in malattie infettive, la dr.ssa Rossi è stata per 20 anni accanto ai poveri a Ndola in Zambia con la Comunità Papa Giovanni XXIII, impegnandosi nella lotta contro l’Aids. Dal 2009 promuove i diritti umani alle Nazioni Unite a Ginevra.
Il comitato che decide l’assegnazione del premio ha scelto all’unanimità di consegnarlo alla dr.ssa Rossi: «È un premio che diamo ad una collega che nella sua attività medica è stata sempre vicina agli ultimi, ai poveri e agli emarginati scegliendo i Paesi del terzo mondo dove operare e mettere in pratica le sue tante e qualificate conoscenze scientifiche» ha dichiarato Maurizio Grossi, presidente dell'Ordine dei medici.
 
«È stata una cosa inaspettata – dice la dr.ssa Rossi - perché è dal 2009 che ho smesso di fare il medico clinico, anche se sono rimasta iscritta all’Ordine. Io l’ho colta come una bella opportunità per far conoscere meglio la Comunità Papa Giovanni XXIII, i valori che portiamo avanti, tutta la passione per la giustizia e la profezia di don Oreste sulla società del gratuito». 
 
“Dr. Mara”, come tutti la chiamavano in Zambia, ha saputo restituire con generosità ai poveri i talenti e i doni che ha ricevuto nella sua esistenza.
Per approfondire meglio le esperienze e gli incontri che l’hanno segnata durante la sua vita, mettiamo di seguito il discorso che la dr.ssa Rossi ha rivolto ai presenti durante l’evento in cui ha ricevuto il premio Jano Planco d’oro.

«Innanzitutto, desidero ringraziare tanto l’Ordine dei Medici di Rimini, il suo Presidente, Dr. Maurizio Grossi e il Consiglio direttivo, per questo premio davvero cosi’ inaspettato. Dico inaspettato perchè, pur essendo rimasta iscritta all’Ordine, sono ormai tredici anni che non esercito la professione medica, anche se continuo ad impegnarmi nell’advocacy alle Nazioni Unite per il diritto alla salute.

L'incontro con don Benzi

A 17 anni ho incontrato Don Oreste Benzi e la Comunità Papa Giovanni XXIII di cui faccio tuttora parte, e ho scoperto la mia chiamata a condividere la vita di coloro che sono considerati ultimi nella società. Mi ha colpito in maniera particolare una frase del Vangelo “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Questa frase è stata e continua ad essere il motore del mio impegno.

Sin da piccola, volevo fare il medico, affascinata com’ero dalla mitica figura di mio padre, il Dr. Guido Rossi, medico di base e ufficiale sanitario a Coriano ; nell’ultimo anno di liceo pero’mi era venuta l’ansia e la paura dell’enorme responsabilità che la professione medica in se’ comporta.  Quando si è trattato di scegliere la facoltà universitaria ho pregato il Signore di farmi capire quale strada prendere e ho sentito chiara attraverso il Vangelo la chiamata  a «curare i malati e sanare il lebbrosi», quindi ad essere medico missionario. Mi sono iscritta a Medicina e Chirurgia all’Università di Bologna con l’intenzione di vivere la professione come spazio per amare, condividere e mettere a disposizione le competenze acquisite nei paesi cosiddetti in via di sviluppo ma che sarebbe meglio definire impoveriti…

Per prepararmi a questo, subito dopo essermi laureata, ho fatto un tirocinio volontario all’Ospedale di Rimini. Avevo intenzione di fare esperienza nei reparti di chirurgia, ginecologia/ostetricia e ortopedia…ho cominciato dalla chirurgia dove in poi in realtà sono rimasta come medico volontario per tre anni visto che la mia partenza per l’Africa venne rimandata per vivere il servizio di responsabile di zona della comunità a Rimini. Ho imparato tanto in quegli anni stando a fianco del Prof. Forlivesi, del Dr. Cardelli, del Dr. Maggiore, del Dr Giorgi, del Dr. Massimo Montesi, del Dr. Francioni, del Dr. Leonardo Manzo, del Dr. Canuti, della Dottssa Pari e del Dr. Pivi; con me c’erano anche altri tirocinanti come la Dott.ssa Montanari, il Dr. Alfonzo, il Dr. Foschi, è stato davvero un bella esperienza di apprendimento e amicizia!

Medico missionario in Zambia

In seguito, dopo essere stata a Londra per imparare l’Inglese e frequentare il corso di Medicina Tropicale e Igiene, sono partita nel novembre 1988 per andare in Zambia, nella città di Ndola, dove si è aperta la prima presenza in terra di missione della comunità. Due anni prima mi ero iscritta alla specializzazione di Malattie Infettive a Bologna ma ho potuto ugualmente completare gli studi pur essendo già partita. 
Appena arrivata in Zambia, ho cercato di imparare la lingua locale e approfondire la cultura del popolo zambiano per essere in grado di comunicare meglio con la gente e inserirmi nel contesto che mi circondava in punta di piedi e con rispetto, cercando di liberarmi un po’ dalla mia logica occidentale.

Per 6 mesi sono stata nell’ospedale missionario Santa Teresa di Ibenga, dove ha lavorato per tanti anni la nostra cara e mitica dott.ssa Marilena Pesaresi. Successivamente mi sono messa al servizio della Diocesi di Ndola esercitando la mia professione di medico sul territorio dove c’era più bisogno e vivendo come sorella/zia nella casa famiglia Holy Family dove abbiamo accolto tanti bambini malnutriti, bambini disabili sia dal punto di vista fisico che mentale, bambini rimasti orfani, bambini malati di AIDS e di Tubercolosi. E' stata una vita di condivisione tanto intensa, arricchente e conservo un ricordo vivissimo dei tanti volti di questi bimbi e delle tante persone e volontari passati in casa-famiglia che mi hanno donato tanto e fatto crescere nella capacità di amare.

Lo Zambia è un paese molto bello, pacifico, pieno di risorse naturali, con circa 19 milioni di abitanti di cui piu’ del 50 % sotto i 18 anni, e circa i due terzi della popolazione che vive nella povertà. E` uno dei paesi più poveri del continente africano, con un tasso di malnutrizione del 50% e di disoccupazione pari al 13%. Da quasi 3 anni l’elettricità viene razionata e il paese subisce blackout fino a 14 ore al giorno che rendono pressappoco impossibile sostenere qualsiasi tipo di impresa commerciale o produttiva. Nel  2019 è stato dichiarato lo stato di emergenza che ha portato la FAO a destinare fondi alimentari per contrastare la crisi e andare incontro ai 2 milioni di zambiani che rischiano di morire di fame. La maggior parte di queste persone vive nei cosiddetti shanty compounds, aree periurbane che sorgono attorno alle grandi città. Qui la gente si affolla in abitazioni costruite con mattoni di fango e tetti in lamiera, che contano due o tre vani e ospitano fino a 15 persone. Non vi sono servizi igienici in casa, non vi è elettricità né acqua corrente, che viene attinta giornalmente dai pozzi artesiani o dalle fontane.
 
Ecco, io ho svolto il mio servizio di medico sul territorio in particolare in queste aree, dapprima offrendomi come medico volontario partime al Distretto governativo nel Centro della salute del compound di Chifubu (52.000 abitanti), poi iniziando e portando avanti per cinque anni un progetto di cura dell’Epilessia nelle città del Copperbelt per il programma di riabilitazione comunitaria della Diocesi di Ndola e contemporaneamente visitare regolarmente i bambini dei vari Centri nutrizionali aperti dalla nostra comunità sia in zona rurale che nei compounds peri-urbani, facendo anche educazione sanitaria alle mamme. Lavorando sempre sul territorio, ho dovuto contare, a livello diagnostico, soprattutto sulla semeiotica, senza avere sempre a disposizione esami di laboratorio o la radiologia (a parte il mio microscopio per la diagnosi della malaria e gli esami delle feci). 

L'impegno per i malati di AIDS

Vorrei parlarvi anche della mia attività nel programma diocesano di assistenza domiciliare per le persone affette dall’HIV e AIDS.
Lo Zambia è anche fra i Paesi più colpiti dall’epidemia dell’HIV nell’Africa Sub-Sahariana, anche se negli ultimi dieci anni, grazie ai programmi di prevenzione e all’introduzione dei farmaci anti-retrovirali, la prevalenza è scesa in media dal 25% al 11%. Il 14.6% dei bambini sono sieropositivi.
Per 10 anni ho coordinato prima come assistente coordinatore e poi come primo responsabile un programma molto esteso di assistenza domiciliare che copriva le cinque città della provincia del Copperbelt e seguiva più di12 mila malati e le loro famiglie con una rete di 34 infermiere e 750 volontari di comunità. Per prepararmi ad assumere questa responsabilità, sono andata ad Anversa, in Belgio, per prendere il Master in Salute Pubblica.

Ho vissuto come medico le due ere dell’AIDS: quella senza i farmaci anti-retrovirali, dove, nell’impotenza di curare potevo solo accompagnare i nostri pazienti con cure palliative e nel giro di uno, due, al massimo tre anni, vederli morire e quella coi farmaci che, pur non essendo la cura definitiva, cambiano drasticamente la quantità e qualità della vita trasformando l’infezione da HIV in una condizione cronica con cui si convive.
Negli ultimi 6 anni della mia permanenza in Zambia, ho portato avanti un ambulatorio medico nel nostro progetto Cichetekelo per i ragazzi di strada a Misundu, area rurale di Ndola. L’ambulatorio serviva i 250 ragazzi accolti nel Progetto e le loro famiglie, i lavoratori del progetto e le zone rurali limitrofe molto povere. Avevamo piu’ di 4000 pazienti registrati e due gruppi di supporto per persone sieropositive a cui potevamo garantire, grazie all’assistenza del Fondo Globale, i farmaci antiretrovirali e anche iniziative di microcredito.

Sono rimasta in Zambia 20 anni vivendo un’esperienza indimenticabile e preziosa. Sicuramente ho ricevuto molto di più di quello che ho potuto dare. Potrei raccontarvi tante storie di sofferenza, di coraggio, di solidarietà, perle preziose di cui mi han fatto dono soprattutto persone che vivevano nella povertà estrema.

Il poliambulatorio gratuito La filigrana

Vorrei anche parlarvi brevemente del Poliambulatorio del gratuito «La Filigrana» di cui sono stata all’inizio il presidente e ora da alcuni anni sono presidente onorario.
Il poliambulatorio vuole realizzare attraverso il suo intervento la Società del Gratuito, una grande profezia di Don Oreste, nella consapevolezza che la terra e tutte le risorse sono un “dono” e che in essa gli uomini si riconoscono come unica Famiglia Universale che vive in comunione, dove l’uomo non è visto come Homo oeconomicus, ma come homo Amans.
Il poliambulatorio è portato avanti da professionisti (psicologi e medici) e si pone come  espressione dell’ Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha come specifico l’attenzione  all’uomo in tutte le situazioni di disagio e marginalità. Si pone come finalità di prendere in carico la persona nella sua globalità attraverso l’offerta di più ambiti disciplinari (sanitario, psicologico, legale, pedagogico, spirituale…). L’intento è l’accoglienza della persona in quanto tale offrendo la massima professionalità  soprattutto per chi non può accedere ai servizi locali; non si vuole sovrapporre ai servizi già operanti sul territorio, ma agire in collaborazione e sinergia con essi.

A Ginevra portavoce della Papa Giovanni XXIII all’ONU

Ora sono da tredici anni a Ginevra a rappresentare la Comunità Papa Giovanni XXIII alle Nazioni Unite e portare avanti l’azione di advocacy, cercando di essere voce di chi non ha voce. E’ stato un salto enorme (a piu’ di 360 C°) il passare dai sobborghi poverissimi della città di Ndola e dai sorrisi della povera gente, ai palazzi lussuosi di Ginevra e al mondo dei diplomatici. 
Non faccio più il medico clinico, ma cerco di impegnarmi (fra le altre nostre priorità…) affinché il diritto alla salute e l’accesso ai farmaci siano garantiti per tutti. Grazie alla Caritas Internationalis, con cui lavoriamo in network su queste tematiche, sono riuscita negli anni scorsi a partecipare all’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e al suo organo esecutivo. 

Don Oreste ci diceva sempre che è importante essere presenti nelle stanze dei bottoni e portarvi la voce dei poveri. Le Nazioni Unite, anche se hanno bisogno sicuramente di essere riformate, sono l’unica istituzione super partes dove gli Stati del mondo possono dialogare e prendere decisioni che poi dovrebbero passare nelle legislazioni nazionali. Non è facile incidere in tale ambiente, ci vuole tanta preparazione, studio, lavoro certosino, tanta pazienza nel fare avanzare la giustizia a piccoli passi secondo i tempi della diplomazia ; i risultati che si ottengono incidendo sulle risoluzioni e i rapporti del Consiglio dei Diritti Umani o altri meccanismi in cui siamo presenti, avranno un effetto benefico sulla povera gente solo quando gli Stati membri trasferiscono i contenuti di tali risoluzioni nelle loro legislazioni nazionali, ma sicuramente vale la pena esserci e occorre sostenere tale istituzione.    

La storia di Martin

Vorrei raccontare, in conclusione, la storia di Martin, un mio paziente Zambiano di 8 anni, orfano di entrambi i genitori morti di AIDS. Ho avuto il privilegio di essere il suo medico curante per due anni, quando non erano ancora disponibili i farmaci anti-retrovirali. Nell’ultimo stadio dell’infezione HIV, quando ormai le difese immunitarie erano annullate, Martin contrasse la meningite criptococcica e fu ammesso all’ospedale dei bambini di Ndola. Andai a trovare Martin in ospedale prima che entrasse in coma e morisse e gli dissi: «Martin, tornerò a trovarti anche domani, vuoi che ti porti qualcosa? Della frutta, delle caramelle, una bibita?»
Martin mi guardò coi suoi occhi grandi nella faccia smunta e mi disse: «Dr. Mara, portami le medicine!».
Ecco, sono alle Nazioni Unite perché il grido di Martin e dei tanti poveri della terra venga ascoltato. Sono all’ ONU per dire che i poveri del mondo non possono aspettare, non devono aspettare.

Vorrei dedicare questo premio a mio babbo Guido, mia mamma Laris e ai miei fratelli Paolo e Marco che sono tutti passati ad altra vita ; alla mia famiglia estesa, la Comunità Papa Giovanni XXIII ; a tutte quelle persone, considerate « ultime » dalla nostra società, con cui ho condiviso il cammino in questi anni e da cui ho ricevuto tanto! Grazie!»