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14 Ottobre 2022
Ultima modifica: 14 Ottobre 2022 ore 13:16

Chi sono i russi vincitori del Nobel

Premio Nobel per la Pace all'organizzazione dissidente Memorial
Chi sono i russi vincitori del Nobel
Foto di Archivio Operazione Colomba
Il racconto di Andrea Pagliarani, di Operazione Colomba, che conobbe Memorial in Cecenia. Lì un primo ministro di nome Vladimir Putin, ancora "alle prime armi", comandava efferatezze spietate.
Il Nobel per la Pace non poteva non fare riferimento alla terribile guerra scoppiata all'inizio di quest'anno. E così il Comitato per il Nobel ha assegnato l'ambito premio ad un dissidente bielorusso e a due organizzazioni, una russa ed una ucraina per il loro “impegno in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere, di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere, per aver documentato crimini di guerra”.

Il vincitore bielorusso si chiama Ales Bialiatski, un attivista per i diritti umani, obiettore di coscienza e tra i fondatori dell'ong bielorussa Viasna. Non potrà ritirare il premio il prossimo 10 dicembre perché in carcere, arrestato dal regime bielorusso per presunta “evasione fiscale”, in realtà una condanna politica per le sue denunce. 

L'ONG ucraina vincitrice è il Center for Civil Liberties che si occupa di documentare i crimini di guerra commessi dalle forze di occupazione russe in Ucraina. Una realtà pressoché sconosciuta fino a pochi giorni fa.

Infine, ha vinto l'associazione russa Memorial. Fondata dal famoso fisico e dissidente Andrei Sakharov nel 1989 per studiare e denunciare le violazioni e i crimini commessi durante il terrore imposto dal regime di Stalin. L'associazione si è poi occupata del rispetto dei diritti umani nelle zone di conflitto. In seguito alla legge approvata in Russia contro le ONG, nell'aprile di quest'anno il governo russo ha considerato Memorial un “agente straniero” e l'ha dichiarata fuorilegge, costringendo i suoi dirigenti ad abbandonare la Russia. 

L'incontro con l'associazione russa Memorial

Operazione Colomba, Don Oreste Benzi vicino a carroarmato
Foto storica di Operazione Colomba, ad un check point israeliano insieme a Don Oreste Benzi
Foto di Archivio Operazione Colomba
La Comunità Papa Giovanni XXIII ha collaborato in passato con questa importante organizzazione russa quando Operazione Colomba aprì una presenza nel Caucaso tra il 2000 ed il 2001, durante la seconda guerra cecena. Uno dei conflitti più terribili della storia recente. Inaccessibile a giornalisti ed osservatori internazionali. Da una parte un paese distrutto, Grozny, la capitale, fu rasa al suolo.

Uno sconosciuto Putin, allora primo ministro di Eltsin da pochi mesi, aveva comandato prima l'assedio della città, poi il suo bombardamento colpendo deliberatamente i profughi che cercavano di scappare. Dall'altra parte una guerriglia, quelle cecena, che si macchiò poi di stragi inenarrabili: su tutte quelle del teatro Dubrovka a Mosca e quella della scuola di Beslan. Secondo alcune stime una guerra che causò oltre 50mila vittime.

Per raccontare questa collaborazione, abbiamo raggiunto Andrea Pagliarani, oggi operatore umanitario in Kenya, dove vive con la sua famiglia, storico volontario di Operazione Colomba sin dalla sua nascita, che partecipò a tutte le missioni nel Caucaso. 

Ci puoi raccontare come avete conosciuto Memorial?
Abbiamo conosciuto Memorial durante la guerra in Cecenia portata avanti dalla Russia per contrastare la secessione della Repubblica ribelle.

Andrea Pagliarani con bambini nella missione in Uganda
Andrea Pagliarani con alcuni bambini nella missione in Uganda
Foto di Archivio Operazione Colomba
Qual'era la situazione? 
La zona era completamente inaccessibile agli occidentali. Sia l'esercito russo che i guerriglieri ceceni impedivano agli occidentali di muoversi liberamente sul terreno. C'era il pericolo di essere rapiti ai fini di un riscatto economico. C'erano molte ONG umanitarie presenti ma chiunque andasse ad operare in quel contesto doveva munirsi di una scorta armata. Questo per noi non era possibile non solo in termini finanziari ma soprattutto perché contro il nostro stile che prevede condividere la vita delle vittime. Tradotto significa vivere nello stesso tipo di abitazioni oppure usare gli stessi mezzi di trasporto.

Dove siete andati?
Nonostante le notevoli difficoltà burocratiche e i rischi, riuscimmo ad andare in Inguscezia, Repubblica confinante con la Cecenia, dove si era riversata la maggior parte dei profughi - 180 mila persone. Poi entrammo anche direttamente in Cecenia, a Grozny e nei campi profughi limitrofi, per verificare le disperate condizioni di vita dei sopravvissuti: le persone erano state abbandonate alla mercé della violenza senza nessun tipo di assistenza alimentare e igienico-sanitaria. A causa della situazione di rischio eccessivo per gli occidentali, non siamo riusciti a mantenere per maggiore tempo una presenza continuativa.

Come avete fatto ad entrare in una zona inaccessibile?
Quello che abbiamo fatto è stato di contattare l'unica organizzazione russa che lavorava sui diritti umani in Cecenia. Ed era proprio Memorial. Abbiamo spiegato chi eravamo e che lavoro intendevamo fare. Visto che non era possibile realizzare un tipico progetto di Operazione Colomba in quel contesto così pericoloso, allora loro si resero disponibili a collaborare con noi e farci da apripista in quei campi di battaglia.

Che impressione hai avuto del loro lavoro?
Mamorial lavorava nel Caucaso con tutto personale ceceno. Persone molto in gamba, molto preparate che avevano una conoscenza perfetta del territorio. Anzitutto ci hanno spiegato la situazione e poi si resero disponibili ad accompagnarci nei viaggi che facevamo.

In cosa è consistita la collaborazione?
L'ufficio di Memorial non era in Cecenia ma nella vicina Inguscezia, vicino al confine, sempre all'interno della Federazione Russa. Anche noi vivevamo in una città vicino al confine. Quando facevamo le sortite in Cecenia andavamo sempre insieme a loro. A più riprese siamo stati ad Urus-Martan, Grozny e le altre città di questo piccolo territorio, dove potevamo incontrare personale locale. Con loro andavamo anche nei campi profughi presenti in Inguscezia. Grazie alla loro mediazione abbiamo potuto essere in contatto con la popolazione locale.

Qual è il tuo giudizio sul Nobel per la Pace a loro assegnato?
Sono molto contento. Ripeto. Nella nostra esperienza Memorial era composta da persone molto in gamba, estremamente motivate. In quel terribile contesto erano l'unico punto di riferimento per la tutela dei diritti umani.
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