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12 Ottobre 2023
Ultima modifica: 13 Ottobre 2023 ore 09:01

Ricercatrice italiana in Israele: salva per amore

La testimonianza di Valentina Vanghi, una giovane ricercatrice italiana, che da un anno vive e lavora a Tel Aviv, e del suo fidanzato israeliano.
Ricercatrice italiana in Israele: salva per amore
«Quando sono arrivati i missili di Hamas ero in vacanza in Italia con il mio fidanzato - racconta Valentina -. Ora il volo di ritorno, previsto per ieri, è stato annullato, e anche la famiglia di Tal dovrà scappare all'estero. Non sappiamo cosa accadrà.»

Si trovava a Napoli con il fidanzato israeliano, conosciuto a Tel Aviv, quando il 7 ottobre Hamas ha attaccato a sorpresa Israele. Approfittando delle festività ebraiche, gli aveva voluto regalare un viaggio in Italia per il suo compleanno, per poi tornare insieme in Israele, ma il sopraggiungere della notizia li ha sconvolti e ogni progetto è saltato.

È quanto racconta Valentina Vanghi, 37 anni, ricercatrice originaria di Firenze, partita un anno fa per Tel Aviv. Dopo essere stata alcuni anni in Australia e in Corea del Sud, sempre per progetti di ricerca scientifica, era volata nella città israeliana per seguire un progetto di ricerca in un laboratorio di antropologia molecolare sul Dna antico.
Lei e il suo ragazzo, Tal, si sentono fortunati, ma non possono fare a meno di pensare ai genitori di lui, ai colleghi ed amici che invece sono in Israele.
Annullato il volo di ritorno, previsto per ieri, al momento hanno trovato ospitalità presso la famiglia di origine di Valentina, a Firenze. Ma è come stare in un limbo in attesa di qualcosa, senza sapere quando e cosa arriverà. Navigano a vista, attendendo nuovi sviluppi su quella che oramai è una guerra a tutti gli effetti.

Valentina a che tipo di progetto stavi lavorando fino a qualche giorno fa?

«Stavo studiando il Dna antico che troviamo nei siti archeologici, nei fossili, per ricostruire la storia delle popolazioni tramite il loro genoma. Tal invece è un musicista e programmatore di software.»

Un centinaio di razzi sono stati lanciati anche su Tel Aviv, la vostra città. Qual è stato il primo sentimento quando vi è arrivata la notizia?

«A Tal è arrivata una notifica sul cellulare, per cui lui viene a sapere in tempo reale quando ci sono lanci di missili. Io subito ho cercato di sdrammatizzare, pensavo fosse uno dei tanti allarmi che a volte sentiamo nei momenti di tensione tra Israele e Palestina. Poi invece abbiamo capito che questa volta era una cosa diversa.»

Valentina e Tal si trovavano in Italia per una breve vacanza approfittando delle festività ebraiche, quando il 7 ottobre Hamas ha colpito Israele.

Come in un limbo in attesa di qualcosa che non si sa cosa sia

Tal, la tua famiglia come sta affrontando questo momento?

«È abbastanza forte e resiliente. Sa che in queste situazioni deve scappare nei rifugi. La gente sa che il sistema antimissilistico israeliano "Iron Dome" è in grado di intercettare la gran parte dei missili, ma non si sta tranquilli sapendo che ci sono missili puntati sulla tua città, lanciati per ucciderti. Ora la mia famiglia spera di lasciare la città di Tel Aviv per luoghi più sicuri.»

È la prima volta che dovete abbandonare la vostra casa?

«È successo un’altra volta quando ero piccolo, durante la Guerra del Golfo. Ci siamo dovuti rifugiare nella città di Ashkelon, nel sud di Israele, molto vicina alla striscia di Gaza, che ora però è una delle zone colpite dai terroristi di Hamas. Stavolta dovranno scappare all’estero.»

Gli italiani presenti in Israele stanno tornando in Italia, e voi che siete qui non potete certo tornare in Israele. Cosa succederà adesso?

Valentina: «Il nostro volo è stato annullato. Non sappiamo cosa succederà ma ci concentriamo a vivere giorno per giorno. La cosa importante adesso è che la famiglia di Tal se ne vada in un luogo sicuro.»

A Tel Aviv hai lasciato tutte le tue cose, le tue ricerche, adesso cosa pensi di fare? Riesci a comunicare con l’Università?

«Tutti i giorni sento la mia responsabile che è ancora a Tel Aviv. Lei è israeliana e il suo compagno è un ragazzo italiano. Hanno anche una bambina molto piccola di tre anni. Subito pensava di rimanere ma non ne possono più di questi continui allarmi. L'asilo è chiuso e stanno pensando di venire anche loro in Italia. Una mia collega turca, invece, è scappata. Tutte le mie attrezzature, tra cui il computer, sono a Tel Aviv. Con l’Università non ci sono contatti, e non posso lavorare in remoto in quanto sono stati interrotti tutti i collegamenti web per motivi di sicurezza, temendo attacchi cibernetici. Sto aspettando di capire cosa succederà.»

Com’è a Tel Aviv la convivenza tra etnie e culture diverse?

«Per quello che ho visto io durante questo primo anno di presenza, Tel Aviv è una città cosmopolita e sembra che la convivenza sia possibile. Poi dipende dalle persone singole creare il dialogo. Certo c’è anche separazione. Gli arabi israeliani generalmente vivono in paesi arabi o in quartieri arabi nelle grandi città. Si convive, magari si lavora assieme, arabi e israeliani, ma poi ognuno torna nel suo ambiente.»

Ci sono esperienze di dialogo e collaborazione, ad esempio nel tuo campo scientifico?

«Il nostro laboratorio è multiculturale. In campo scientifico questa divisione non l'ho mai percepita. La tecnica di laboratorio, ad esempio, è una ragazza arabo palestinese. Lei ha il velo, io no, ma sul piano operativo si collabora anche se culturalmente siamo diverse. L’ambiente scientifico è sicuramente un laboratorio di pace e convivenza.»

Ognuno di noi israeliani conosce qualcuno che è stato ferito, ucciso, violentato o rapito.

Una convivenza che ora viene messa a dura prova. Tal, da israeliano pensi che questa guerra creerà ancora di più una frattura tra israeliani e palestinesi?

«Noi ebrei conviviamo con gli arabi israeliani, ma il danno di questa guerra, oltre alle uccisioni e alle distruzioni, è che ora ci sarà più sospetto verso gli arabi israeliani. Ci vorrà molto tempo per sanare le ferite. Ognuno di noi israeliani conosce qualcuno che è stato ferito, ucciso, violentato  o rapito. Tanti miei amici sono stati richiamati nell’esercito e stanno per andare al fronte. Fino ad ora, molti esterni ad Israele pensavano ad Hamas come ad un gruppo poco organizzato, ma con il loro atto devastante iniziale hanno dimostrato di essere un gruppo ben preparato e dotato di intelligence accurata e armi sofisticate.»

Come si potrà distinguere tra i terroristi di Hamas e i palestinesi che vogliono vivere in pace?

«Israele lotta per la vita, mentre Hamas vuole la morte e l’annientamento totale di Israele, e poi del resto del mondo occidentale. Spero vivamente che i soldati israeliani mantengano la loro morale più elevata e non si comportino da barbari come Hamas, non agiscano per pura vendetta.»

In tutto questo dramma c’è un filo di speranza a cui vi aggrappate?

Valentina: «È difficile in questo momento per me vedere questa speranza. Il mio lavoro di ricercatrice mi ha portato a vivere in vari Paesi del mondo e ho visto che la convivenza tra etnie e culture e orientamenti religiosi diversi è possibile, sia pure non sempre facile. In Israele ho visto una grande frammentazione, anche tra gli ebrei stessi, e mi sembra un po’ più complicato.»
Tal: «Il mio incubo più grande è che non siamo più in grado di convivere. Quando tutto finirà la priorità sarà quella cercare di restaurare un dialogo, la comunicazione con tutte le parti.»

La musica arriva dove le parole falliscono

Tal, tu sei un musicista. Anche la musica, come la scienza, può essere un laboratorio di dialogo e collaborazione?

«Io credo nella forza della musica. Ho già lavorato in progetti che avevano l’obiettivo di unire attraverso la musica diverse culture. Io faccio musica con tutti: ebrei ortodossi, arabi israeliani... Studio all’Accademia della musica a Gerusalemme e dentro c’è di tutto». 

La musica può riuscire dove le parole falliscono?

«Sì. E ora ancor più di prima cercherò di creare una musica unificante, una musica di pace.»