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15 Dicembre 2025

Stop ai fondi CER: regole cambiate in corsa

Comunità Energetiche, arriva la scure sui fondi: tagliato il 64% delle risorse a un passo dalla scadenza.
Stop ai fondi CER: regole cambiate in corsa
Foto di Foto di Solarimo da Pixabay
La dotazione scende a sorpresa a 795 milioni, lasciando scoperti progetti per oltre 400 milioni di euro. L'annuncio via social del GSE spiazza imprese e piccoli comuni che ora temono di veder vanificati i propri investimenti.

Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) erano state presentate come una delle grandi leve della transizione energetica italiana. Produzione locale, autoconsumo, cittadini e imprese coinvolti in prima persona: un modello che prometteva bollette più basse, più energia pulita e più autonomia per i territori. Per sostenerle, nel 2021 il governo aveva stanziato 2,2 miliardi di euro del PNRR.
Tre anni dopo, però, lo scenario è cambiato all’improvviso.

Il taglio inatteso del 64%

Con la sesta revisione del PNRR, la dotazione destinata alle CER è scesa a 795,5 milioni: un taglio del 64%. La comunicazione non è arrivata con un decreto, ma con un post su LinkedIn del presidente del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), Paolo Arrigoni. Un annuncio informale che ha colto di sorpresa operatori, imprese e amministrazioni locali che da mesi lavoravano ai progetti.
«Un tema così importante non può essere gestito con annunci improvvisati», ha detto il Coordinamento FREE, una delle principali reti italiane delle rinnovabili. «Questa scelta è arrivata a ridosso della chiusura del bando e crea grave incertezza in migliaia di realtà che avevano già investito tempo e risorse».
Il bando si è chiuso il 30 novembre e già prima della scadenza il fondo era insufficiente.

Le domande superano il miliardo: mancano almeno 400 milioni

Secondo i dati del GSE, al 25 novembre le richieste presentate ammontavano a oltre 1 miliardo di euro. Questo significa che, con una dotazione da 795,5 milioni, almeno 200 milioni di euro di progetti risultavano già “scoperti”.
Alla chiusura del bando, la stima condivisa dagli operatori parla di un buco di circa 400 milioni. Le conseguenze sono state immediate: molte CER rischiano di non ricevere alcun contributo, nonostante abbiano seguito tutte le procedure e sostenuto spese significative.

Il problema non è solo il taglio, ma la macchina inceppata

Il Ministero dell’Ambiente (MASE) ha difeso la scelta come un “riallineamento responsabile”, spiegando che i 2,2 miliardi del 2021 erano stati calcolati su un sistema diverso, basato su prestiti a tasso zero. Quando nel 2023 la misura è passata a contributi a fondo perduto, secondo il MASE sarebbe sceso anche il fabbisogno reale.
Ma gli operatori contestano questa lettura. «A pochi giorni dalla comunicazione del taglio, le domande avevano già superato la nuova dotazione di quasi 400 milioni», ricorda il Coordinamento FREE. «Significa che la mappatura dei fabbisogni non è stata adeguata».
In più, resta il nodo dei ritardi del GSE. Molti progetti approvati non hanno ancora ricevuto i fondi. Le istruttorie si sono accumulate, le richieste documentali sono diventate sempre più complesse e in molti casi non c’è stata risposta per mesi. Il risultato è un sistema che rallenta proprio mentre la richiesta cresce.

Famiglie, PMI e piccoli comuni rischiano di rimanere indietro

Le CER non sono grandi impianti industriali, ma realtà distribuite nei territori: cooperative, condomìni, associazioni, piccole imprese, comuni sotto i 50.000 abitanti.
Sono loro che oggi si trovano esposti al rischio maggiore. «Molte amministrazioni e piccole imprese hanno anticipato risorse proprie nella convinzione che i fondi fossero disponibili», spiega FREE. «Ora rischiano di vedere vanificati i propri investimenti».
Alcuni operatori stanno già predisponendo ricorsi al TAR. L’accusa è sempre la stessa: non si possono cambiare le regole a partita in corso.

Un’occasione persa?

L’Italia aveva a disposizione 2,2 miliardi per sostenere un modello che, almeno sulla carta, mette insieme ambiente, partecipazione e sviluppo locale. Di quei fondi, ne verranno utilizzati meno di 800 milioni. Il resto è stato spostato altrove.
Per una misura che – per la prima volta – stava funzionando davvero, il ridimensionamento sembra una contraddizione difficilmente spiegabile. «Il rischio», conclude il Coordinamento FREE, «è compromettere la fiducia dei cittadini nelle politiche pubbliche e frenare uno dei pochi strumenti capaci di coniugare energia pulita e benefici sociali».
La transizione energetica ha bisogno di certezze. Questa vicenda dimostra quanto siano ancora fragili.