La riconquista della capitale del Sudan e la nomina del nuovo Ministro non hanno messo fine agli scontri e gli aiuti umanitari restano bloccati, generando la più grave crisi umanitaria al mondo. Ecco cosa sta accadendo e cosa è necessario fare per aiutare queste persone.
Il Sudan è devastato da una guerra civile iniziata nell'aprile 2023 tra l'esercito regolare (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), generando una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Più della metà della popolazione affronta carestia, con milioni di bambini malnutriti e senza accesso a cure mediche. Dopo la riconquista da parte dell’esercito regolare di Khartoum, il generale Abdel-Fattah Burhan ha nominato un nuovo Primo Ministro, Kamil al-Taib Idris, un ex funzionario delle Nazioni Unite. La sua esperienza in diritto internazionale porta una nuova speranza per il futuro del Sudan e l’Unione Africana accoglie con queste parole la sua nomina: «un passo verso la restaurazione dell’ordine costituzionale e un governo democratico». Al momento però la pace resta lontana e le violenze continuano, soprattutto nel Darfur. Entrambe le fazioni sono accusate di gravi crimini e mentre la comunità internazionale fatica a trovare una soluzione, i civili continuano ad essere le vittime di questo conflitto.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi: il blocco degli aiuti umanitari
Dopo gli scontri di marzo 2025, Saf ha conquistato i punti strategici di Khartoum, spingendo le RSF e i gruppi di mercenari alleati a ritirarsi verso i territori del Darfur (provincia a sud-ovest del Sudan). La riconquista della capitale non ha messo fine agli scontri e gli aiuti umanitari restano bloccati. Nel confinante Ciad i soccorsi riescono a raggiungere i rifugiati che sono riusciti a lasciare il Paese, ma in Sudan «la ripresa da parte delle forze sudanesi di Khartoum non ha cambiato la situazione umanitaria, oltretutto l'80% degli ospedali e centri sanitari non sono attualmente attivi e gli aiuti internazionali entrano a fatica.» spiega Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione (Fondazione Pime Onlus) specializzata in tematiche africane. «I Medici Senza Frontiere sono ancora presenti nel Paese con grandi difficoltà, perché ogni tanto vengono bombardati anche i presidi sanitari, e pochissimi altri sono ancora presenti. È problematico oggi far entrare aiuti, soprattutto nelle zone controllate dalle RSF, dove ci sono ancora tantissime e gravissime violenze e violazioni dei diritti umani, di una brutalità inenarrabile.», commenta Anna Pozzi. Inoltre, la decisione del presidente statunitense Donald Trump di chiudere USAID, la più grande agenzia di cooperazione al mondo, aggrava ulteriormente la situazione per mancanza di fondi e risorse: ad esempiosono state chiuse più di 1100 mense comunitarie d'emergenza (80% delle presenti).
La crisi umanitaria più grave a livello globale, con quasi 13 milioni di sfollati
Pozzi, tornata da poco da un viaggio in Sud Sudan, descrive la situazione al confine con il Sudan come un’emergenza umanitaria di enorme portata. «Quella del Sudan è probabilmente la più grande catastrofe umanitaria al mondo, attualmente ci sono circa 13 milioni di persone che sono dovute scappare dalle proprie case.», commenta, tra le quali più di 8 milioni sono sfollati interni e le altre sono riuscite a fuggire negli stati confinanti, principalmente Egitto, Ciad e Sud Sudan. Dopo aver affrontato lunghi viaggi, violenze gravi e, spesso, aver perso le proprie famiglie negli attacchi o durante la fuga, le persone sfollate che non riescono a lasciare il Paese cercano rifugio in grandi campi profughi che non hanno a disposizione i beni necessari per la sopravvivenza di così tante persone.
L' Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha stimato che circa 30,4 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari, 25 milioni di queste stanno affrontando una grave crisi alimentare.
Le persone sfollate interne che sono rimaste nei campi profughi subiscono, oltre che fame e mancanza di assistenza medica, gli attacchi violenti delle RSF, come accadde al campo profughi di Abu Shouk e a quello di Zamzam. Inoltre, «In particolare nel Darfur, le forze di supporto rapido e le milizie a loro alleate stanno commettendo delle vere e proprie azioni di pulizia etnica e di vero e proprio genocidio, in particolare contro l'etnia dei Masalit. Già nei mesi scorsi Human Rights Watch e anche la Corte Penale Internazionale hanno fatto denunce e delle indagini.»
Oltre il confine del Sudan: milioni di persone cercano riparo in Ciad, Sud Sudan ed Egitto
Foto di DIEGO MENJIBAR STR
Le persone che sono fuggite oltre il confine arrivano quasi a 4 milioni: un grafico mostra che le persone registrate come rifugiati arrivate dal Sudan nei Paesi confinanti sono passate da circa 50 persone nel 16 aprile 2023 a 3,94 milioni a maggio 2025 (registro dei nuovi arrivi di UNHCR). Molti sono stati registrati come returnees (circa 780 mila persone), ovvero coloro che erano scappati in Sudan dal loro Paese ma sono stati costretti a ritornarvi a causa della guerra in corso. I paesi riceventi (principalmente Egitto, Ciad e Sud Sudan) sono a loro volta caratterizzati da forte instabilità politica ed economica e difficilmente dispongono delle risorse necessarie per aiutare le centinaia di migliaia di persone che giungono dal confine del Sudan.
«I Paesi non rifiutano i rifugiati, fanno quello che possono. Sono appena stata in Sud Sudan, al confine con il Sudan nella zona quella di Bentiu, nello Unity State, dove ci sono circa 800 mila profughi sfollati e returnees. La gente sopravvive solo grazie alle distribuzioni, altrimenti non avrebbe nessuna possibilità di sopravvivere.»
Il bisogno di pace e di un intervento efficace della comunità internazionale
Le organizzazioni internazionali come l’UNHCR, UNICEF, IOM e molte altre di natura non istituzionale hanno lanciato campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi per aumentare l’arrivo di aiuti umanitari nei paesi limitrofi al Sudan, dove i profughi sudanesi riescono a fuggire e passare il confine. Significativo è il messaggio della direttrice generale di IOM Amy Pope che denuncia «non possiamo nemmeno chiamarla “crisi dimenticata”, perché è stata ampiamente ignorata dal suo inizio.» afferma, incitando ad un cambiamento immediato e ricordando che i diritti umani devono essere applicati anche in Sudan, dove «le persone sono resilienti e piene di risorse, ma ora hanno bisogno di aiuto». Anna Pozzi invece porta la testimonianza dell’impegno Pime nei campi profughi in Ciad: «I missionari presenti nel Paese si sono subito attivati per portare aiuti di prima necessità e promuovere successivamente azioni che permettono di migliorare le condizioni di vita dei profughi, in grandissima maggioranza donne e bambini, con la creazione, ad esempio, di piccoli orti. Per sostenere queste attività Fondazione Pime ha attivato un fondo di emergenza che permette di far arrivare aiuti sul posto»
Infine, ricorda che è assolutamente necessario e prioritario mettere fine alla guerra e alle violenze contro la popolazione civile, un risultato che sembra lontano, anche per gli enormi interessi in gioco, legati anche particolare alla produzione di armi, ma che può essere raggiunto attraverso un impegno e una mediazione più efficaci da parte della comunità internazionale.