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7 Novembre 2025

«Questa è la nostra terra: scegliamo di resistere per costruire la pace»

Roviro racconta il coraggio della Comunità di Pace di San José de Apartadó in Colombia
«Questa è la nostra terra: scegliamo di resistere per costruire la pace»
José Roviro Lopez Rivera, 38 anni, membro del consiglio interno della Comunità di Pace di San José de Apartadó racconta come 300 persone siano disposte a morire per cercare la pace in modo nonviolento, con coraggio e nonviolenza per difendere la propria terra e i diritti umani, minacciata dai gruppi paramilitari e dagli interessi economici. Nonostante le violenze, le uccisioni e gli sfollamenti, la comunità di pace resta un simbolo di speranza e resistenza contro la guerra e lo sfruttamento ambientale.
Questa è una storia di speranza e resistenza nonviolenta.
Si svolge nella Regione dell’Urabá, nella parte più meridionale del Mar dei Caraibi.
Siamo nel nord-ovest della Colombia, in una zona di frontiera ricchissima di risorse minerarie e agroalimentari – tra cui anche le coltivazioni illecite di coca.
Un territorio strategico, per decenni conteso tra diversi attori armati: la guerriglia delle FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), l’esercito regolare e i gruppi paramilitari, spesso al servizio di latifondisti, multinazionali e narcotrafficanti.
Ancora oggi qui si respira un’aria pesante di guerra.
Nemmeno la firma del Nuovo Accordo di Pace del 2016 tra le FARC-EP e il governo colombiano – che ha ufficialmente segnato la fine di cinquant’anni di conflitto armato – è riuscita ad alleggerirla.
 
Nelle aree rurali, la popolazione civile continua a essere vittima di minacce e omicidi mirati da parte dei gruppi neo-paramilitari, determinati a mantenere il controllo del territorio di cui si sono impossessati dopo che la guerriglia è uscita dall’area.
Chi difende i Diritti Umani e l’Ambiente vive costantemente nel mirino.
Tra loro José Roviro Lopez Rivera, 38 anni, membro del consiglio interno della Comunità di Pace di San José de Apartadó: un’organizzazione nata nel marzo 1997 da famiglie contadine che hanno scelto la nonviolenza per affermare il proprio diritto di vivere, lavorare e proteggere la terra in cui sono nate.
Leader campesino e difensore dei Diritti Umani e dell’Ambiente, Roviro ha recentemente trascorso tre settimane tra Italia, Svizzera e Germania per raccontare l’esperienza della sua Comunità e sensibilizzare sull’importanza della solidarietà internazionale verso una realtà troppo spesso taciuta dai media.
Roviro ONU
José Roviro a Ginevra, dove, insieme alla delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII alle Nazioni Unite, ha avuto due incontri con rappresentanti dell’ONU e dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani a ottobre 2025
Foto di Operazione Colomba

 
Invitato all’Assemblea ONU dei Popoli di Perugia (9–12 ottobre), insieme a Operazione Colomba – che accompagna la Comunità dal 2009 – ha incontrato numerose amministrazioni comunali e partecipato a incontri pubblici in Umbria, Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Lombardia.
Poi è arrivato a Ginevra, dove, insieme alla delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII alle Nazioni Unite, ha avuto due incontri con rappresentanti dell’ONU e dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani.
Prima che riprendesse il viaggio, gli abbiamo rivolto alcune domande.
 
Hai sempre fatto parte della Comunità di Pace?
«Quando la Comunità è nata, ero un bambino di dieci anni. I miei genitori erano stati sfollati dalla loro terra e, insieme ad altre famiglie contadine, hanno dato vita a questa realtà.
Crescendo, ho scelto di restare, non senza difficoltà. Le uccisioni, le minacce e le sparizioni erano quotidiane, e noi bambini soffrivamo molto per questa situazione.
Siamo una famiglia di sette persone. Oggi alcuni dei miei fratelli e sorelle hanno lasciato la Comunità in cerca di opportunità in città. In Comunità ognuno è libero di scegliere se restare o cercare altrove il proprio cammino.»
 
Quali sono le principali difficoltà che affrontate ogni giorno?
«Vivo sotto costante minaccia di morte da parte dei gruppi paramilitari. Questo crea tante difficoltà, non solo a me ma anche alla mia famiglia.
Molte imprese vogliono appropriarsi del territorio, operano nel settore minerario o nella coltivazione delle banane. Non hanno ancora potuto iniziare a estrarre perché necessitano delle licenze ambientali e, soprattutto, di una regione “senza contadini”, i veri proprietari di queste terre.
Per questo si servono dei paramilitari: per minacciare, uccidere, espropriare o costringere i contadini a vendere. Stanno insanguinando la nostra terra.
Oggi i gruppi paramilitari controllano quasi completamente la regione e i contadini e le contadine che ci abitano. Vivere qui, rinnegando la violenza, significa pensare in modo diverso. Ed è per questo che siamo costantemente minacciati: perché vogliamo costruire un futuro diverso per i nostri figli e difendere la terra.
Come Comunità, ci sentiamo prigionieri nel nostro stesso territorio. Non possiamo muoverci liberamente tra le veredas (piccoli villaggi).
Riceviamo tante minacce, soprattutto alle donne, che i paramilitari fanno arrivare con messaggi scritti e portavoce umani. Usano le donne come strumento di terrore per la Comunità, perché si convinca a non intromettersi nei loro progetti per la regione.
Noi denunciamo pubblicamente queste barbarie, e proprio per questo subiamo ritorsioni.
Vogliono sterminarci perché siamo l’unica organizzazione che chiede rispetto per la vita e per il diritto di restare sulla propria terra (La Comunità di Pace conta circa 300 membri; più di 300 sono stati assassinati dalla sua fondazione). Possiamo contare solo sull’appoggio dei gruppi di accompagnamento internazionale. Grazie alla loro presenza possiamo spostarci, coltivare la terra, andare in città.
Usciamo sempre in gruppo, per ridurre il rischio di attentati. Dallo scorso anno, quando ci hanno assassinato Nalleli ed Edison, abbiamo dovuto affrontare lo sfollamento e abbandonare alcuni spazi comunitari. Ci torniamo per brevi periodi solo con l’accompagnamento internazionale e un gruppo grande della Comunità.»

Roviro e comunita pace colombia
Foto di Operazione Colomba

 
Perché, nonostante tutto, scegliete di restare?
«Perché questa è la terra in cui siamo nati, la terra delle nostre famiglie. Anche se ci minacciano, ci uccidono e ci costringono alla fuga, noi cerchiamo di sopravvivere. Amiamo profondamente questo territorio e non vogliamo abbandonarlo. In un momento in cui la violenza – sostenuta da interessi economici e non punita dalle istituzioni – cerca di cacciarci, noi scegliamo di resistere per difendere la vita.
Da 28 anni sopravviviamo, e molte persone sono morte per questo. È il prezzo della nostra resistenza pacifica. Ci dà forza l’unione che abbiamo costruito nella Comunità e la memoria di chi non c’è più, di chi ha dato la vita per darci un futuro diverso. Vogliamo continuare a costruire un futuro di pace per i nostri figli e le nostre figlie.
Rischiamo ogni giorno, ma restiamo perché crediamo nel cambiamento. Abbiamo speranza. Sogniamo un futuro in cui potremo vivere liberi, perché oggi viviamo come prigionieri nella nostra terra.»
 
Cosa può insegnarci la vostra esperienza?
«Cerchiamo di essere un esempio per la Colombia e per il mondo. Siamo contadini e contadine che vogliono costruire un mondo diverso.
In un Paese in cui abbiamo sempre vissuto l’oppressione, in questi 28 anni siamo riusciti a creare una comunità solidale, fondata sul rispetto reciproco e sul rifiuto della violenza, dell’odio, della vendetta e della guerra.
Abbiamo cercato alternative per andare avanti, incontrando la società civile colombiana perché conosca la nostra realtà e ci accompagni in questa lotta per la terra – non solo per noi, ma per tutta la regione.
Siamo anche difensori dell’ambiente. In questa zona, le imprese devastano le terre con lo sfruttamento minerario, e i paramilitari distruggono ciò che conquistano.
Noi invece lottiamo per la vita – umana e naturale. Difendiamo la terra, l’acqua e gli animali in un mondo che si sta distruggendo con l’inquinamento e l’abuso di prodotti chimici (La Comunità produce anche cacao biologico).»

Roviro in Colombia con Silvia
Al centro: Roviro, membro della Comunità di Pace di San José de Apartadò in Colombia. Nella foto è insieme a Silvia De Munari e a un altro membro della comunità di pace.
Foto di Operazione Colomba

 
Come possiamo aiutarvi?
 «Potete sostenere i gruppi di accompagnamento internazionale come Operazione Colomba che collaborano con la Comunità e che ci accompagnano, sia fisicamente che con iniziative di pressione sul governo. Non ci sentiamo soli: sentiamo la forza della solidarietà internazionale che condivide il nostro dolore e la nostra speranza.
Grazie a tutte le persone che ci aiutano e sostengono in questo percorso. Rendete visibile il nostro lavoro e la nostra resistenza.»
 
Quale messaggio vuoi lanciare ai lettori?
 «La pace si costruisce insieme, quando costruiamo una comunità e scegliamo di credere che un mondo diverso è possibile. La pace si costruisce senza odio, senza vendetta e senza armi. Perché quando si sceglie l’odio, segue la vendetta, e poi l’uso delle armi.
Lottiamo per il bene comune, per il territorio in cui viviamo e per l’ambiente. Solo consumando in modo consapevole e rispettoso della natura potremo salvare la vita umana in futuro.»