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23 Febbraio 2023

Ucraina un anno dopo l'invasione. Un progetto di pace tra le bombe

Mentre USA ed Europa parlano di pace ma inviano armi, una rete di organizzazioni della società civile ha avviato un nuovo approccio al conflitto e anziché distruggere hanno già iniziato a ricostruire.
Ucraina un anno dopo l'invasione. Un progetto di pace tra le bombe
Foto di Marco Di Marcantonio
«Tutti scappano dall'Ucraina, perché voi volete entrare?» è la domanda che un anno fa si sono sentiti rivolgere i volontari di Stop the war now. Ora, a un anno dalla prima "carovana di pace", si preparano a ripartire.
Un anno fa, il 24 febbraio 2022, le forze armate di terra russe entravano in Ucraina, puntando verso la capitale, mentre il cielo era solcato da 160 missili e 75 incursioni aeree nelle sole prima 24 ore. Era l’inizio, drammatico, inaspettato sebbene vi fossero da tempo dei segnali, di una guerra destinata a cambiare gli assetti internazionali.
Una guerra che tutti, a parole, vorrebbero fermare il prima possibile, ma nessuno sa come. L’Onu e l’Unione Europea approvano inefficaci risoluzioni di condanna nei confronti della Russia. Intanto si inviano armi all’Ucraina sperando che il sacrificio dei resistenti alla lunga fiacchi gli aggressori. E dilagano morte e distruzione.
Al momento in cui scriviamo i negoziati tra le parti in conflitto sono inesistenti, per l’impossibilità di trovare un punto d’incontro da due obiettivi incompatibili: quello russo, che non prevede la restituzione dei territori già annessi; quello ucraino, che non rinuncia al ripristino della piena integrità territoriale.
A un anno dall'invasione, e dopo aver ascoltato in questi giorni le dichiarazioni di Putin, Zelensky, Biden, la situazione sembra senza via d’uscita.

Vi vogliamo però raccontare un’altra storia, nata tra le macerie di questa guerra, che ci dice come, attraverso percorsi imprevedibili, il seme del bene possa germogliare anche nei luoghi più impervi. Come quelle piante che sbucano in montagna da cumuli di sassi e ti chiedi dove abbiano trovato il terreno per affondare le loro radici. E anche se tutto attorno c’è una distesa di rocce grigie e inanimate, il tuo sguardo va a quel punto di colore, a quella vita che cresce tra i sassi.

Una telefonata da Leopoli

Il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione, arriva a Gianpiero Cofano, il segretario della Comunità Papa Giovanni XXIII, una telefonata. È il figlio di un missionario della Comunità, che da tempo vive con la famiglia in Ucraina. Vorrebbe scappare ma le frontiere sembrano inaccessibili. Partono le telefonate, i contatti e alla fine la famiglia viene portata in salvo. Missione compiuta, ma è solo l’inizio.
«Quando la vita interpella – era l’insegnamento del fondatore della Papa Giovanni, don Oreste Benzi – riunisci la comunità e rispondi alla vita con la vita.»
Prima di agire, però bisogna capire cosa fare. E questo, per una associazione che fa della condivisione diretta il proprio stile operativo, significa essere là dove si trovano le vittime dell’ingiustizia.
Gianpiero chiama Alberto Capannini, volontario di Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace della Comunità, abituato ad “abitare i conflitti”, che in quel momento si trova in Libano in un campo di profughi siriani (altro conflitto che sembra senza fine, ora reso ancora più drammatico dal recente terremoto). Lo va a prendere all’aeroporto e insieme partono per la Polonia, Paese confinante e primo luogo di fuga dei profughi ucraini. Il giorno dopo li raggiunge Kristian Gianfreda, assessore del Comune di Rimini, dove da anni è presente una numerosa comunità ucraina.
Alla frontiera la polizia polacca li ferma: «Tutti scappano dall’Ucraina, perché voi volete entrare? È pericoloso.»  «Siamo venuti proprio per questo» spiegano. Alla fine riescono a passare, e fanno salire in auto anche una troupe del TG3 incontrata alla frontiera che era venuta a documentare la situazione.
Arrivano a Leopoli, e lì iniziano i contatti con alcuni rappresentanti delle chiese e delle istituzioni locali per capire le necessità. Ma l’intuizione era arrivata già alla frontiera. «Vedendo quella colonna di auto in fuga dall’Ucraina abbiamo pensato che bisognava organizzare una colonna che andasse in direzione opposta – spiega Cofano –. Una carovana pace.»
Distribuzione dei compiti in una missione di pace in Ucraina con Cofano
Distribuzione dei compiti durante una delle missioni di pace. Al centro Gianpiero Cofano, coordinatore della rete.

La carovana della pace

Così, rientrati in Italia, iniziano a progettare. «Come erano decine di migliaia le persone che scappavano, altrettante avrebbero dovuto entrare – prosegue – e visto che non era possibile, l’idea era che a questa carovana di pace avrebbero potuto partecipare i parlamentari europei, in rappresentanza dei loro popoli.»
La proposta viene formalizzata e inviata alle segreterie dei partiti, italiani ed europei. Molti pensano a una provocazione, invece le adesioni arrivano. «Eravamo già a 40 parlamentari, sarebbe stato un fatto dirompente». Troppo, per la diplomazia italiana.
Appena la notizia inizia a diffondersi, interviene l’allora ministro degli esteri Luigi Di Maio, prima convocando la Comunità alla Farnesina, poi scrivendo direttamente ai presidenti di Camera e Senato per “sconsigliare vivamente” l’adesione da parte dei parlamentari. Il timore era che, se un rappresentante di uno Stato aderente alla Nato fosse stato in qualche modo aggredito, si sarebbe potuto scatenare un conflitto mondiale.
A questo punto, succede però un fatto imprevedibile. «Grazie all’intervento di Di Maio, il progetto aveva avuto una visibilità enorme sui media, e così, mentre i parlamentari iniziavano uno ad uno a ritirarsi, venivamo contattati da organizzazioni della società civile a cui non stava bene restare a guardare quando tutti parlavano di pace e mandavano armi.»
E così, il 1° aprile, 70 pulmini carichi di alimentari e cure mediche partono da varie parti d’Italia e si radunano a Gorizia per formare la prima Carovana di pace della neonata rete Stop the war now. Attraversata la Polonia, raggiungo Leopoli dove incontrano la popolazione e le autorità locali, per tornare poi in Italia carichi di persone in fuga dalla guerra. Soprattutto anziani, disabili, mamme con bambini. «Ci siamo concentrati su quelli che da soli non sarebbero riusciti ad evacuare – spiega Cofano, divenuto nel frattempo coordinatore della rete – mentre in Italia grazie alle tante organizzazioni che hanno aderito si assicurava l’accoglienza di queste persone fragili». 
Quella che si è creata, ci tiene a precisare, è un’esperienza nuova rispetto a quanto si è visto finora nel mondo pacifista. «L’obiettivo è di coniugare l’azione di sensibilizzazione per la pace con la condivisione diretta di vita con coloro che subiscono la guerra».
Fondamentale, in questo senso, l’esperienza di Operazione Colomba, i cui volontari hanno garantito una presenza continuativa sul territorio Ucraino, condividendo i drammi e i rischi della popolazione locale, prima a Leopoli, poi a Odessa e Nicolayv, seguendo l’evolversi del conflitto.

Un nuovo approccio alla pace

Fino ad oggi sono quattro le Carovane di pace che hanno portato aiuti in Ucraina e sono tornate con persone in fuga. Oltre a diversi interventi minori, per risolvere specifiche situazioni. Un migliaio le persone evacuate e 450 le tonnellate di aiuti umanitari consegnati.  «Ma preferiamo considerarli aiuti di pace  – precisa Cofano –. Altre organizzazioni sono più brave di noi a raccogliere e inviare beni materiali. Noi attraverso questi aiuti puntiamo a instaurare relazioni. Ognuno dei 500 volontari che sono venuti con noi in Ucraina, tra cui sacerdoti, vescovi, politici, ha toccato con mano la carne viva di chi soffre, come invita a fare papa Francesco, e una volta tornato in Italia diventa un testimone che può contribuire a costruire una cultura di pace.» Quella pace, ne è convinto, che va costruita dal basso, «altrimenti i nostri governi continueranno ad offrire solo armi».

«Saremo in Ucraina per la Domenica della Palme»

Per queste ragioni, prosegue, «a un anno dalla nostra prima carovana saremo nuovamente in Ucraina, in centinaia di persone, dal 28 marzo al 3 aprile. Vivremo assieme ad alcune comunità la Domenica delle Palme che, nella tradizione cristiana, cattolica ed ortodossa, è caricata di un forte significato simbolico di pace. Non ci rassegniamo alla guerra e per questo, insieme ai generi di prima necessità, consegneremo le palme agli abitanti di Odessa, di Mykolaiv, Kherson ed altre città e deporremo ramoscelli di ulivo sulle tombe delle vittime di questa follia».
Persone che raccolgono acqua in Ucraina
Tra gli effetti della guerra c'è la mancanza di acqua potabile. Per questo la rete Stop the war now sta raccogliendo fondi per realizzare dei desalinizzatori.

Nel frattempo la rete continua ad agire nella concretezza. «Al di là delle carovane ufficiali, promuoviamo continuamente piccoli interventi per rispondere alle emergenze – racconta Cofano –. Come quando ci hanno chiamato perché una persona aveva bisogno di una operazione urgente. Abbiamo diffuso l’appello nella rete, una associazione si è resa disponibile ed è partito un pulmino con la solita modalità: portare aiuti, riportare persone».
Un altro progetto concreto è quello di realizzare desalinizzatori a Micolayv, al fine di garantire alla popolazione l’acqua potabile, e generatori di corrente necessari per fornire energia elettrica e fonti di riscaldamento durante il freddo inverno ucraino (info: www.stopthewarnow.eu).
Mentre c’è chi continua a distruggere, altri hanno già cominciato a ricostruire.