Daniela Brncic, 37 anni è la Tutor del progetto Albergo sociale. Ogni giorno si fa carico delle persone che vengono accolte. Fa in modo che il progetto che si ha su ciascuno venga realizzato.
Attualmente le stanze messe a disposizione per singoli o nuclei familiari in emergenza sono sei.
«In una stanzina di sotto possono cucinare, scaldarsi qualcosa. Non ci sono troppe comodità per fare sì che ognuno possa darsi da fare. Se però arrivano con bambini piccoli mettiamo a disposizione qualcosa in più, c’è un parco giochi. Poi essendo all’interno di una Casa Vacanze, una o due volte la settimana viene offerta la pizza per stare insieme ai turisti. In questo luogo chi è solo può vivere insieme anche la Pasqua e il Natale o altri eventi importanti.»
Come vi arrivano le famiglie all’Albergo sociale?
«Dal Comune di Rimini e dalle assistenti sociali che mandano una relazione sulle persone o sul nucleo. A volte capitano delle persone che hanno perso il lavoro ed hanno avuto uno sfratto. Nel periodo che sono qui diamo a loro la possibilità di ricominciare».
Quanto ci possono stare all’Albergo sociale?
«Il tempo minimo di permanenza è di una settimana. La permanenza massima prevista è di tre mesi rinnovabili. L’accoglienza deve dare il tempo utile per togliere le famiglie dal disagio e trovare una risposta alla condizione che ha causato una fragilità all’interno del nucleo. Ma abbiamo avuto persone accolte anche per due anni».
A volte le persone che arrivano qui all’Albergo sociale devono ritrovare fiducia nelle proprie capacità, devono reimparare ad orientarsi nel mondo del lavoro, per questo Daniela li affianca in tutti questi piccoli passaggi, accompagnandoli anche al Centro per l’impiego.
«A volte li devo accompagnare per i vari uffici, altre volte qualcuno riesce ad arrangiarsi. È stata una bella soddisfazione quando un cuoco di 55 anni, che viveva qui all’albergo è riuscito a trovare lavoro. Ha preso la prima busta paga e poi è andato a vivere da solo».
Quali sono gli obiettivi?
«Dipende dal Comune di Rimini che ci segnala e richiede di accogliere le persone in stato di emergenza. C’è quella persona che deve trovare lavoro, allora la aiuti per questo. O la mamma con bambini che sta qui fino a quando le danno la casa popolare. Queste persone arrivano allo sportello sociale del Comune dove fanno dei colloqui. Poi attraverso il lavoro che facciamo qui i servizi sociali hanno la possibilità di conoscerle di più. È una buona collaborazione che va oltre lo sportello sociale».
Che tipo di problematiche ti sei trovata ad affrontare?
«Per il 50% sono persone sole, padri soli con figli, anche madri, ridotti sul lastrico a causa della separazione dal coniuge».
Cosa viene chiesto alle persone che rientrano nel progetto?
«Confrontarsi sempre su tutto. Qui sono state mandate dal Comune per un progetto e non possono fare di testa loro. Certo la riuscita dipende molto da loro».
Hai una storia in particolare che ricordi?
«Quella di un cameriere di 61 anni che aveva perso il lavoro. Se non lo avessimo aiutato non si sarebbe ripreso. Certo che la sua situazione non era semplice; malattia, acciacchi fino a quando ha avuto un’emergenza abitativa: non riusciva più a pagare le bollette. Poi, attraverso uno dei progetti in risposta al disagio abitativo, come l'housing first, presenti nel Comune di Rimini, ha trovato una soluzione.
Ma sono veramente tante le storie che porto nel cuore. Ancora mi commuovo pensando ad un babbo con il figlio di 4 anni. In pratica la mamma li aveva abbandonati, il babbo era in dialisi perciò andava a lavorare part time e il figlio a causa del trauma che la mamma se n’era andata, aveva smesso di parlare. Io gli tenevo il figlio quando lui andava al lavoro. Piano piano questo bimbo si è aperto e alla fine è tornato dalla mamma. In seguito lei si è riavvicinata».
Ci sono problemi di integrazione tra gli ospiti dell’Albergo sociale e i turisti della Stella Maris?
«È un’esperienza positiva perché alle persone dell’Albergo sociale viene data la possibilità di fare amicizia. Fare due chiacchiere, trascorre momenti di svago. Vedere i diversi gruppi di giovani che arrivano qui: scout, parrocchie li fa sentire meno soli. Vivono già una situazione personale pesante e vedere che qui invece c’è movimento, c’è vita, gli fa molto bene. Tutto sommato sono persone molto discrete».
Un risultato straordinario
«Quella che era una casa per vacanze estive si è trasformata in un vero albergo aperto tutto l'anno – ha dichiarato Carlo Fabbri – dove tanti giovani possono condividere una serata, una vacanza, o un evento in un luogo che non ha barriere ed è aperto a tutti».