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28 Marzo 2023

Hikikomori. Il mondo in una stanza

Il fenomeno viene dal Giappone, ma si sta sviluppando anche in Italia
Hikikomori. Il mondo in una stanza
Foto di Rhett Noonan
Volontario ritiro sociale, ansia da realizzazione sociale, paura del giudizio e generale un disagio nell'adattamento. Questo spinge molti giovani a tagliarsi fuori dal mondo.

Hikikomori è il termine riferito sia al fenomeno che alle persone che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi vivendo nella loro stanza. Letteralmente in lingua giapponese significa “stare in disparte, ritirarsi, chiudersi”.
In Italia l’attenzione al problema è aumentata a seguito della Pandemia. Gli Hikikomori iniziano il loro ritiro soprattutto in adolescenza ma spesso la loro situazione diventa cronica, rischiando di perdurare in questa condizione e scelta di vita anche in età adulta.
Consociamo meglio il fenomeno attraverso un’intervista a Marco Crepaldi, presidente dell’associazione Hikikomori Italia che ci spiega gli elementi chiave della situazione.

Quando è iniziato il fenomeno nel mondo e in Italia? Qual è la stima attuale secondo i dati della vostra associazione?

«Il fenomeno è apparso in Giappone negli anni ‘80, in Italia si è iniziato vedere negli ultimi 20 anni. La situazione attuale è in peggioramento, ogni anno abbiamo nuovi Hikikomori tra i 13 e i 17 anni. La stima iniziale dell’associazione era di 100.000 persone in base alle richieste d’aiuto nazionali, ma adesso il numero è in crescita, soprattutto tenendo conto anche dei ragazzi e ragazze che sono isolati da qualche mese ma da meno di 1 anno.»

Quali sono le cause che spingono un ragazzo o una ragazza a chiudersi nella propria stanza?

«Le cause sono l’ansia da realizzazione sociale, la paura del giudizio e in generale un disagio adattivo. Gli Hikikomori hanno una difficoltà ad adattarsi alla società perché hanno delle caratteristiche spesso comportamentali e caratteriali che li portano a subire i giudizi negativi, a soffrire particolarmente per il giudizio negativo degli altri. Di solito sono ragazzi molto intelligenti ma con una scarsa intelligenza emotiva e basse competenze sociali, inoltre hanno difficoltà ad integrarsi in classe, con i compagni, e quindi di conseguenza soffrono nell’ambiente sociale e fuggono in casa.»

Affinché si possa parlare di Hikikomori quanto tempo la persona deve stare chiusa in casa?

«Il governo giapponese ha definito che per essere un Hikikomori la persona deve stare chiusa in casa per 6 mesi, in realtà però il tempo è relativo perché l’aspetto più importante sono le motivazioni per cui la persona sta chiusa nella sua stanza, magari può anche andare a scuola però rimane isolata per tutto il resto del giorno e avere comunque l’intenzione di abbandonare la scuola; a questo punto possiamo parlare di un “pre Hikikomori”. In generale si parla di un isolamento prolungato e cronicizzato pertanto deve durare qualche mese e con delle cause specifiche.»

Quali sono i segnali d’allarme che i genitori possono osservare?

«I segnali dall’allarme per i genitori sono la tendenza del figlio ad abbandonare tutte le attività extrascolastiche (sportive, uscite con gli amici) e stare molto tempo online, inversione del ritmo sonno veglia per cui preferiscono stare svegli di notte e dormire di giorno e una cadenza regolare nelle assenze da scuola (es. uno o due giorni a settimana di assenza con l’unica motivazione di non voler incontrare i compagni e l’ansia di stare con loro per le vessazioni che sente di ricevere).»

È possibile prevenire? Cosa possono fare i genitori e cosa la scuola?

«Bisogna intervenire prima che il problema si cronicizzi, quindi nei primi mesi. É importante creare una rete sociale ampia, che includa genitori, scuola, psicologi, educatori che possono identificare le motivazioni ed agire in sinergia in modo multidisciplinare. Soprattutto la scuola e i genitori devono trovare un modo affinché il ragazzo o la ragazza possa continuare a frequentare la scuola, anche se non presente fisicamente in aula, in modo da poter concludere l’anno. Cose da non fare: non forzarlo ad andare a scuola se non riesce, staccare internet, minacciarlo o ricattarlo. Questi atteggiamenti rovinano l’alleanza genitore-figlio e aumentano la conflittualità e quindi di conseguenza riducono la possibilità che il ragazzo decida di essere aiutato. Una delle componenti fondamentali dell’Hikikomori è che essendo un isolamento che ha una componente volontaria e relazionale spesso queste persone rifiutano di essere aiutate, quindi l’obiettivo è che accettino l’aiuto dalla scuola o dai genitori, dagli psicologi ed educatori. La scuola deve riconoscere un Hikikomori come un BES (bisogno educativo speciale) e insieme al ragazzo creare un piano didattico personalizzato costruito sulle sue esigenze e difficoltà, che gli consenta di proseguire gli studi.»

Come si può aiutare un Hikikomori?

«Se un Hikikomori è cronicizzato e patologizzato (cioè con l’aggiunta di un disturbo come l’ansia, la depressione, dipendenze da videogiochi, sostanze, cibo) bisogna aiutare i genitori, utilizzare gli educatori a domicilio e cercare di coinvolgere il ragazzo o la ragazza in gruppi di supporto tra pari.»

Di cosa si occupa l’associazione Hikikomori Italia?

«L’associazione si occupa di sensibilizzazione e informazione sul fenomeno, crea gruppi di auto mutuo aiuto per i genitori in tutta Italia, sia in presenza che online, si occupa fornire alle persone che chiedono aiuto dei colloqui gratuiti con gli psicologi e la possibilità di partecipare ad un gruppo online gestito dagli psicologi e formato da persone che hanno questo problema.
L’associazione è il primo passo per trovare supporto gratuitamente in Italia, collabora anche con enti territoriali, soprattutto per i casi più gravi che necessitano anche di supporto farmacologico.
Per mettersi in contatto con l’associazione si può consultare il sito internet https://www.hikikomoriitalia.it/»