Topic:
14 Settembre 2022

«Il mare era così grosso che ho pensato: non sopravvivrò»

Su un gommone con 40 persone, un viaggio in mare che dura 6 giorni, 2 dei quali senza cibo
«Il mare era così grosso che ho pensato: non sopravvivrò»
In Nigeria le promettono un lavoro in Europa, ma è solo un inganno: invece di realizzare il suo sogno di potersi iscrivere all'università, si ritrova imprigionata nell'incubo della prostituzione coatta. Ecco la storia di Deborah, che è riuscita a chiedere aiuto e a rifarsi una nuova vita.
Ha lo sguardo fisso verso l’orizzonte, in prossimità di quella linea che fa confondere mare e cielo, assorta nei suoi pensieri.
Mi avvicino e mi siedo accanto a lei, in silenzio, mentre le onde ci bagnano dolcemente i piedi. Dopo qualche istante, a bassa voce, quasi trattenendo i denti, mi dice: «Non sai cosa vuol dire attraversare il mare».
Lei ci ha messo 6 giorni, dalla Libia all’Italia, su un gommone con più di 40 persone. Due giorni senza mangiare e con pochissima acqua.
Deborah (nome di fantasia) ha 27 anni, è in Italia dal 2015. Quando aveva 17 anni ha perso il padre in un incidente. È rimasta con la madre, che fa la sarta, e un fratello e una sorella, più piccoli.
È riuscita ad andare a scuola fino alla fine delle superiori e poi avrebbe voluto fare l’Università, per diventare avvocato o lavorare in banca. «Ma non c’erano soldi, il mio sogno è svanito».
E quindi inizia a fare la parrucchiera, per guadagnare qualche soldo. Poi la proposta di un futuro diverso, un’occasione che sembra essere unica, forse la via giusta per realizzare il suo sogno: lavorare in Europa.
Parte dalla Nigeria, dopo averne parlato con la mamma e i fratelli. «Pensavo che molte cose si sarebbero sistemate, che anche la mia famiglia potesse avere una vita diversa».
Invece inizia il suo incubo.
Il viaggio dura 3 mesi, i primi 2 per arrivare dalla Nigeria alla Libia, poi lì botte dei soldati perché non voleva prostituirsi,poi la barca, il mare, la notte buia che con il mare mosso fa ancora più paura.
Racconta che ad un certo punto il mare era così grosso che pensava di morire: «Ho guardato il cielo e ho pensato: non sopravvivrò». 
 
Di storie simili a questa, ne abbiamo sentite tante, ma come operatrici ormai siamo consapevoli che davvero di questi viaggi che provocano traumi fisici e psichici, non ne sappiamo mai abbastanza. Non ci capita mai di bere solo acqua salata, di non avere almeno un euro in tasca, di essere nella notte buia senza un cellulare e senza una mèta già pianificata. Viaggi in cui è impossibile tornare indietro e impensabile restare nei Paesi di passaggio; viaggi in cui si rischia di essere imprigionati, torturati, violati o direttamente uccisi.
Mare nostrum lo conosciamo più spesso per i bagni in vacanza d’estate oppure quando i politici ne parlano nei talkshow televisivi pensando di accaparrarsi voti liberandolo dai migranti.
Eppure Deborah riesce a sbarcare in Sicilia, dove dopo un breve periodo in un centro di accoglienza, la donna che si rivela essere la sua sfruttatrice la contatta dicendole che è tempo di iniziare a lavorare.
Deborah si sposta in una regione del centro Italia. E fin da subito vorrebbe rifiutare di svendere il suo corpo come le chiede la sua madame, ma la paura delle ritorsioni in Nigeria alla sua famiglia è più forte di tutto.
Il suo corpo è quello che ha sancito il suo giuramento: ha segni sulle spalle e a metà della schiena, sono incisioni sottopelle e bruciature. Me le indica ad una ad una e mi dice che all’inizio pensa che quelle siano la dimostrazione che non potrà fuggire al suo destino.
Un destino fatto di debiti. Deborah paga 7.000 euro, con i proventi della prostituzione coatta, poi rimane incinta di un connazionale, che non appena viene a sapere che sta per diventare padre, scappa in Germania.
La madame di Deborah le dice che fino al nono mese di gravidanza dovrà stare in strada. E che il bambino, a 6 mesi, lo dovrà mandare in Nigeria perché sia la sua famiglia a crescerlo. Deborah è disperata, dice che così non può accettare di vivere così.

Rinascere dalle ferite. Deborah non è più sola

Finalmente chiede aiuto ad uno sportello di ascolto della città dove abita e viene inserita in un progetto di accoglienza, in protezione. Quando partorisce il suo bambino, V., che ora ha 3 anni e che durante la gravidanza aveva provato più volte ad abortire, si rende conto che questo piccolo che aveva in pancia voleva nascere a tutti i costi ed è stato più forte di tutto. E di tutti. 
Mentre racconta, Deborah guarda suo figlio, che con i braccioli sguazza avanti e indietro nell’acqua: è la sua prima volta al mare.
«Non è mai stato così felice. A me il mare fa ancora paura, c’è troppo male a guardarlo, ma voglio che lui diventi amico dell’acqua, perché potrebbe salvarsi se gli succedesse qualcosa come a me», mi dice nel suo inglese misto a dialetto.
«Quando sarà grande gli racconterò tutta la verità. Di cosa ho vissuto io e di come è nato. Sarò la sua mamma forte, che ha resistito davvero per lui. Ma se quel giorno non avessi chiesto aiuto allo sportello d’ascolto non credo che sarei qui a raccontarti quante cose significa il mare per me».
Mentre restiamo in silenzio ancora a fissare l’acqua calma di fine agosto, mi viene alla mente una frase di Tobie Nathan, il più autorevole rappresentante dell’etnopsichiatria in Francia. «Vi sono un insieme di sentimenti di ansia, tristezza, dolore e nostalgia, uniti alle aspettative e alle illusioni piene di speranza, che ogni migrante porta con sé nella valigia».

Una campagna per motivare le donne migranti a chiedere aiuto 



Quella valigia, che ogni migrante porta con sé, è piena di sogni, odori e sapori delle proprie tradizioni, ma anche di pesi e memorie dolorose che richiedono un supporto specializzato. Soprattutto le donne migranti e richiedenti asilo che sono le più esposte alla violenza in tutta Europa. Per questo è significativa la Campagna di sensibilizzazione Break the wall, appena avviata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII su Instagram, il social più usato tra i giovani. La campagna promossa da Comunità Papa Giovanni XXIII, Differenza Donna, Associazione gestrice del Numero nazionale 1522 antiviolenza e antistalking in Italia e Fundacion de solidaridad Amaranta in Spagna, nell’ambito del progetto europeo MIRIAM. Free migrant women from GBV (Gender-based violence) finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione Europea, consiste in immagini ideate da illustratrici che si ispirano alla street art per rappresentare simbolicamente la voce e la forza delle donne di ogni parte del mondo contro ogni forma di violenza.  Slogan chiari in lingua inglese che hanno l’intento di sensibilizzare professionisti dei servizi socio-sanitari e grande pubblico ma soprattutto contano di raggiungere il maggior numero di potenziali vittime, donne e ragazze con background migratorio che non sanno a chi chiedere aiuto o non hanno le condizioni per farlo. 
 
Come Deborah che oggi insieme al suo bimbo e chi l’ha accolta, anche davanti al mare, non è più sola.