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22 Maggio 2021

La coppia simbiotica

È la prima fase, ma occorre farla evolvere
La coppia simbiotica
Foto di Kalim
Essere pazzi d’amore. Condividere tutto. Cercare tutto ciò che accomuna e relativizzare le differenze. L’ideale di ogni amore cela anche la sua profonda fragilità
Tu sei il mio tutto. Tu sei tutto per me. La mia luce sei tu. Senza te, che farei?
È la cosiddetta “fase simbiotica” della relazione, teorizzata da quegli autori (ad esempio Bader e Pearson, per citare un classico) che spiegano del legame di coppia partendo da una prospettiva evolutiva.
Come il bambino che nel rapporto con la mamma attraversa le fasi di simbiosi, differenziazione, sperimentazione, riavvicinamento anche la coppia evolve, e il problema si pone quando si fissa in una fase e non riesce a progredire, ad evolvere appunto.

La coppia simbiotica è un problema

Ma quale sarebbe – si potrebbe obiettare – il problema se una coppia è così legata? Non siamo chiamati – penseranno alcuni cattolici – ad essere “una cosa sola”? Beh, dipende.
La coppia che rimane nella fase simbiotica presenta due gravi criticità di tenore opposto. La prima è un legame vischioso, che impedisce la libertà dei singoli e quindi la loro evoluzione. La coppia si vede sempre come incollata e ogni tentativo da parte di uno dei due di prendersi degli spazi di autonomia verrebbe percepito come una minaccia alla tenuta della coppia. «Ma come? Abbiamo sempre fatto una corsetta insieme e tu ti sei messo in mente di allenarti con i tuoi amici?» «Abbiamo sempre condiviso il tempo libero e tu adesso te ne vuoi andare beata con le tue amiche a fare aperitivo?» Ogni tentativo di guadagnare spazio verrà scoraggiato, e alla fine anche chi lo propone desisterà perché vedrà il proprio (legittimo) desiderio come una minaccia di separazione o della fine dell’amore. I due si costringeranno quindi ad una vita irreale, perché irreale è la continua sintonia rispetto alle attività, ai gusti, ai bisogni di crescita.

Anche litigare sempre può essere segno di simbiosi

La seconda invece – sembra paradossale – è l’inasprirsi del conflitto. È chiaro infatti che il conflitto acceso, disperante, come se ciò che causa l’altro fosse insopportabile, può avvenire solamente se l’altro è considerato privo della sua essenza di individuo, staccato e talmente incastonato nel sé da essere onnipotente.
Soltanto il riconoscimento dell’alterità permetterà alla coppia di transitare verso la differenziazione, tappa necessaria per una relazione ancora più forte, perché reale, libera, attiva.
 

Una lettura mitologica:

Il Simposio

 
“Una mela spaccata a metà”, “Due parti di un tutto”, “Due angeli con un’ala sola che possono volare solo abbracciati”.
Alle origini di queste immagini romantiche c’è un mito, espresso nella spiegazione dell’amore che Aristofane dà nel Simposio di Platone.
Secondo il commediografo, in origine gli umani erano dotati di quattro braccia e quattro gambe, avevano una sola testa con due volti che guardavano in direzione opposta. Erano molto arroganti e volevano misurarsi con gli dei.
Zeus allora, per punirli della loro tracotanza, li divise a metà, indebolendoli e rendendoli bisognosi di ritrovare l’unità. Per questo motivo le persone si innamorano e cercano disperatamente qualcuno che li completi.
In questa descrizione mitologica risulta lampante la dimensione simbiotica della relazione. Per questo motivo il mito ha una particolare presa soprattutto in chi si trova nelle prime fasi della relazione, quando l’altro, l’altra, è l’unico motivo dell’esistenza.