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17 Aprile 2021
Ultima modifica: 17 Aprile 2021 ore 09:46

Un continente in vendita

Il fenomeno del land grabbing sta depredando i terreni e provocando ulteriore povertà alle popolazioni del posto. Cerchiamo di capire perché.
Un continente in vendita
Foto di Aamir Mohd Khan
Il 17 aprile si ricorda la giornata internazionale delle lotte contadine, giorno in cui nel 1996 in Brasile furono trucidati 19 contadini che lottavano per terra e giustizia.
Di chi sono le terre africane? Stando ai numeri, non dei cittadini africani. 
Negli ultimi vent’anni, infatti, più di 35 milioni di ettari di terreni sono stati ceduti dai governi africani a investitori stranieri. Secondo la banca dati dell’Ong Land Matrix, dal 2000 sono state date in concessione decine di milioni di ettari di terre coltivabili: stiamo parlando di un’area grande quanto l’intera Costa d’Avorio. 
Dopo la Russia - che è il primo paese al mondo per cessioni di terre agli stranieri - otto dei primi quindici paesi della classifica sono africani: Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Sud Sudan, Madagascar, Mozambico, Congo, Camerun e Sierra Leone. Addirittura quest’ultima ha ceduto il 25 per cento delle sue terre. 
L’accaparramento di terre africane (fenomeno conosciuto come land grabbing) ha raggiunto il suo picco dopo le due crisi del 2008, quella economico-finanziaria e quella alimentare. I paesi “ospitanti” hanno intravisto in questa crescente attenzione da parte degli investitori, una possibilità per raggiungere l'autosufficienza alimentare, industrializzare la propria agricoltura e ridurre la povertà. Purtroppo, però, i poveri sono stati di gran lunga i primi a perdere questa sfida.

 

Un biocarburante su tutti: la jatropha

Il 92 per cento dei contratti sono stati firmati dai governi africani con aziende private e riguardano colture destinate parzialmente o totalmente all’esportazione. Tra queste ci sono coltivazioni di olio di palma, jatropha, mais. Dal 2000, sono stati firmati almeno ottocento contratti nei paesi africani. Un centinaio di questi sono stati abbandonati e metà riguardavano le coltivazioni di piante destinate ai biocarburanti, come la jatropha. 
I semi della jatropha sono particolarmente adatti per produrre biodiesel: diverse sperimentazioni sono state sviluppate in Europa e in Asia sia per l’uso automobilistico (in particolare da parte di Daimler-Chrysler, Mercedes, Volkswagen), sia per gli aerei: già nel 2008, la Air New Zealand effettuò con successo il primo volo di prova con un Boeing 747 alimentato da una miscela composta al 50% da jatropha. 
Ma a dispetto di qualche anno fa, oggi di jatropha se ne sente parlare sempre meno. Questo perché le coltivazioni non hanno dato risultati di rilievo. Ma il land grabbing non è scomparso, anzi: secondo il terzo e più recente rapporto “I padroni della terra” di Focsiv, la «corsa alla terra» continua con nuovi investimenti su grandi appezzamenti per la produzione di monoculture per l’alimentazione umana e animale, di biocarburanti, per piantagioni e il taglio di foreste, per l’estrazione mineraria, per progetti industriali e turistici, per l’urbanizzazione, tutti realizzati in modo non sostenibile, escludendo le popolazioni indigene, causando migrazioni forzate e degradando la terra.

I compratori di terre

Nella classifica delle nazionalità degli investitori troviamo al primo posto la Cina, seguita da Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Svizzera, Russia, Malesia, Giappone, Spagna e Corea del Sud. Pur non rientrando tra i primi dieci, tra i paesi “arraffa-terra” c’è anche l’Italia, le cui aziende sono coinvolte in casi in Senegal e Madagascar, tanto per citare due esempi. Tra i paesi che hanno ceduto più terre, al primo posto troviamo uno stato sudamericano: il Perù, uno dei paesi più colpiti al mondo dall’attuale situazione pandemica causata dal coronavirus.
Cosa c’entra il land grabbing con il coronavirus? Focsiv sottolinea come molti di questi investimenti non siano realizzati in modo sostenibile, portando alla perdita di biodiversità e contribuendo al riscaldamento del pianeta. Questi due fenomeni creano le condizioni per la mutazione e diffusione di virus che possono sfociare in pandemie, come quella del coronavirus.