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14 Novembre 2023
Ultima modifica: 14 Novembre 2023 ore 09:44

Morta Indi Gregory per volere dell'Alta Corte di Londra

Fallito l'ultimo tentativo per salvare la piccola Indi gravemente malata, che una sentenza del tribunale inglese ha vietato di continuare a curare imponendo il distacco del respiratore contro la volontà dei genitori. L'analisi del bioeticista.
Morta Indi Gregory per volere dell'Alta Corte di Londra
Foto di AdobeStock
Nonostante la concessione lampo della cittadinanza italiana alla piccola Indi di 8 mesi per portarla a Roma all'ospedale del Bambin Gesù dove si erano offerti di offrirle tutte le cure necessarie, l'Alta Corte di Londra ha deciso ieri che la bimba, a causa della sua grave malattia, era meritevole di morire «per il suo miglior interesse». La vicenda evidenzia una drammatica frattura nella relazione medico - paziente.
A nulla è servita la concessione lampo della cittadinanza italiana alla piccola Indi di 8 mesi per la quale l'Alta Corte di Londra aveva disposto la sospensione dei trattamenti vitali. Al Bambin Gesù di Roma erano pronti ad accoglierla per offrirle tutte le cure possibili pur consapevoli della grave patologia di cui soffriva. Seppur inguaribile nessun malato può considerarsi incurabile, ovvero soggetto alle cure mediche e umane possibili e proporzionate al suo stato di salute. Finché c'è vita c'è speranza, recita un vecchio detto di saggezza popolare.

Condannata a morte a 8 mesi. Inquieta il mondo intero la vicenda di Indi Gregory, la bimba  di 8 mesi condannata a morte da un tribunale inglese. Affetta da una malattia mitocontriale ritenuta inguaribile è stata giudicata meritevole di morire «per il suo miglior interesse» da un tribunale inglese.
Dello stesso parere i medici ma non i genitori che si sono opposti con tutte le loro forze alla decisione di interromperle i sostegni vitali.

Anticipando di appena un giorno l’esecuzione della sentenza, il governo italiano le aveva conferito la cittadinanza italiana nella speranza che così i genitori avrebbero potuto ottenere di poterla trasferire a Roma dove l’ospedale Bambin Gesù si era offerto di assisterla offrendole le migliori cure a disposizione. Il principio di fondo sta nel sempre curare anche chi non può guarire. Ciò non significa che si debba adottare qualunque presidio medico utile alla sopravvivenza ma che se ne possano soppesare giorno per giorno l'efficacia con gli effetti collaterali.
 

Quando si interrompe il rapporto medico - paziente

Difficile giudicare dall’esterno tutti i contorni della vicenda. La bioetica si fa al letto del paziente, solo conoscendo direttamente il caso è possibile affrontare il discernimento se si tratti o meno di accanimento terapeutico continuare a curarla piuttosto che di un atto eutanasico interromperle le cure. Non esistono infatti liste predefinite di interventi e situazioni che conducano alluna o all'altra situazione. Costi e benefici di un trattamento medico vanno sempre valutati dal medico in modo oggettivo ma poi è il paziente, in questo caso i genitori, che lo rivalutano soggettivamente, secondo la loro comprensione della situazione, in base alle loro aspettative, con parametri non solo medici. È da questo confronto che ne scaturisce una scelta condivisa.
 
Di certo la vicenda evidenzia una drammatica frattura nella relazione medico- paziente, in questo caso rappresentato dai genitori. L’intervento del tribunale non sana la frattura dando ragione di fatto ai medici a dispetto delle richieste dei genitori. Difficile aspettarsi diversamente, raro che un giudice non tenga in più alta considerazione il giudizio di una equipe di professionisti basando sul loro parere la sentenza.
 
Mamma e papà, già fortemente segnati dalla nascita di una figlia con gravi problemi di salute, si sono visti strappare la figlia da una sentenza che ha vietato nob solo  di continuare a curare e accudire la figlia imponendo il distacco del respiratore, ma persino la possibilità di portarla a casa propria.
Quando nella relazione medico-paziente viene meno la possibilità di una alleanza terapeutica, di un piano condiviso delle cure, è meglio per tutti individuare altre strade piuttosto che incaricare un giudice che dia ragione all’una o all’altra parte.
 
Bene quindi la possibilità offerta dall’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di accogliere e curare la piccola Indi con prospettive terapeutiche più consone alle aspettative dei genitori nel loro desiderio di fare tutto il possibile e meglio possibile per offrire alla figlioletta un presente e un futuro migliore.

Incomprensibile la scelta del giudice che ha di fatto espropriato i genitori delle loro prerogative disponendo la sentenza di morte della piccola Indi.