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26 Febbraio 2024

L'ombra del mobbing al femminile: storie di vessazioni e riscatto

Federica, graphic designer vessata dal suo capo, e Milouda, barista preda di molestie sessuali dal datore di lavoro, raccontano le loro battaglie contro il mobbing al femminile.
L'ombra del mobbing al femminile: storie di vessazioni e riscatto
Foto di Foto di Mohamed Hassan da Pixabay
Cos'è il mobbing? Come riconoscersi vittima di questo sistema di isolamento? Come venirne fuori? Dalla depressione alla rinascita: vittime del mobbing si raccontano.
«Lavoravo anche fuori orario in certi periodi intensi di campagna. Il marketing non è un settore facile ed ero già tanto agevolata a lavorare da casa perché madre single. Ma il mio capo chiedeva davvero troppo». Inizia così il travagliato racconto di Federica, 42 anni, graphic designer in un’agenzia di comunicazione.

Il mio capo denigrava e svalutava il mio lavoro

Quello che mi ha fatto più male però non è stato il sovraccarico di lavoro, ma il fatto che dopo il Covid, quando i miei colleghi erano convocati in ufficio, sebbene fosse a 50 km di distanza da casa mia, mai una volta il capo me l’ha chiesto. Prima invece, almeno ogni 15 giorni facevo il punto della situazione con loro.
Ho iniziato ad avere incubi e attacchi d’ansia quando ho iniziato a capire che mi denigrava e svalutava il mio lavoro ogni volta che una campagna pubblicitaria non raggiungeva il target richiesto. Come fossi io, una semplice disegnatrice di un team di 8 persone, l’unica causa di tutti i fallimenti. Battutine costanti, silenzi alle mie domande. Una volta, due volte, tre volte… Poi ho provato a chiedere di non lavorare solo in smart working. Anche i miei colleghi alle mie richieste sono diventati sempre più evasivi e dietro quello schermo vedevo sempre più sguardi che si incrociavano imbarazzati e incapaci di dire la verità.
Nessuno voleva perdere il posto di lavoro. Il boss non si poteva contraddire. Era tutto drammaticamente cambiato rispetto al 2019. Era come se dovesse usarmi come bersaglio della sua incapacità di stare al passo coi tempi, ai tempi dei committenti.
Ho resistito per due anni, e poi è stato il mio medico di famiglia a dirmi che dovevo pensare alle mie figlie ed era ora di pensare seriamente alla mia salute. Mi sono rivolta ad uno psicoterapeuta e successivamente anche ad un gastroenterologo perché lo stress mi procurava crampi improvvisi e stipsi per lunghi periodi. Finché mi sono decisa e mi sono rivolta allo Sportello disagio lavorativo e Mobbing dell’azienda sanitaria della mia città. Grazie agli specialisti che mi hanno ascoltata e accompagnata per un anno intero, ho finalmente capito che non ero io sbagliata: ero vittima di mobbing».
 

Quali sono i vari tipi di mobbing?

Il termine “mobbing” deriva dall’inglese “to mob” ovvero “isolare" e si riferisce ad una tecnica nella caccia per escludere la preda dal branco. In realtà a livello giuridico in Italia, al momento manca una legge nazionale di prevenzione e contrasto del mobbing. Si ricorre, pertanto, alla legislazione civile e penale esistente, anche se alcune leggi regionali e provinciali (ad esempio, Regione Veneto, Friuli Venezia Giulia; Provincia autonoma di Trento) han fatto passi avanti.
Il mobbing normalmente include un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori sul luogo di lavoro, che perdurino almeno per 6 mesi, con l’intenzione di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima ad opera di colleghi o del datore di lavoro. Esistono diversi tipi di mobbing, a seconda del soggetto che lo esercita: un mobbing verticale, detto anche bossing, che proviene dal datore di lavoro, come nella storia di Federica, e un mobbing orizzontale, che proviene dai colleghi della vittima. Ma anche dietro ad un collega mobber, c’è sempre un capo settore, o addirittura un datore di lavoro che è compiacente, tace o addirittura incita il mobbing tra colleghi.

Come riconoscersi vittima di mobbing?

Il lavoratore che ne è vittima può venire isolato all’interno dell’ambiente lavorativo ed essere ad esempio relegato in una sede o in una postazione particolarmente scomoda o essere escluso da riunioni, progetti, comunicazioni aziendali, corsi di aggiornamento e altre attività. Oppure potrebbe essere bersaglio di battute, pettegolezzi, comportamenti ostili o addirittura essere vittima di una vera e propria campagna diffamatoria portata avanti nei suoi riguardi. Potrebbe vedersi improvvisamente sottrarre delle mansioni oppure essere assegnato a mansioni inferiori e dequalificanti, o ancora, all’opposto, trovarsi a dover gestire da solo carichi di lavoro intollerabili. In altri casi può essere privato di determinati benefit aziendali sino a quel momento goduti o vedersi rifiutare sistematicamente permessi, ferie d'estate, durante le vacanze natalizie e pasquali; nei casi più estremi, potrebbe essere licenziato senza alcuna motivazione. Alcuni dei comportamenti del “mobber” sono considerati illeciti (talora perseguibili anche a livello penale), altri invece isolatamente sono considerati di per sé leciti perché riguardano rapporti di potere connessi alla direzione, al controllo e alla disciplina che spettano al datore di lavoro. Ma sono l’intento vessatorio che anima il persecutore ed il carattere sistematico dell’azione, portata avanti in maniera mirata e prolungata nel tempo per colpire una persona sgradita, temuta oppure ritenuta utile, che caratterizzano il mobbing.
 

Stalking. Le molestie sul luogo di lavoro

Nel caso delle lavoratrici spesso accade che il mobbing si caratterizzi addirittura con forme di molestie e ricatti. Secondo i recenti dati Istat, sono un milione e 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l'8,9% per cento delle lavoratrici. Come il caso di Milouda, una giovane donna tunisina avvicinata quasi ogni giorno dal suo datore di lavoro che allunga troppo le mani dietro al bancone. Al suo primo lavoro da barista, intenzionata ad imparare un mestiere e passo dopo passo a passare da un contratto di apprendistato ad un contratto di lavoro a tempo pieno, inizialmente sceglie di tacere e di evitare il contatto fisico il più possibile. Ma dopo un mese, tra le risatine accondiscendenti di alcuni clienti e i palpeggiamenti che non finiscono e le iniziano a causare un forte stato d’ansia oltre che un principio di vomito indotto, decide di licenziarsi. Nonostante non abbia nessuna intenzione di denunciare il datore di lavoro per paura delle conseguenze con l’agenzia di lavoro che l’aveva aiutata a trovare questa prima esperienza, si rivolge ad uno sportello di ascolto per donne straniere e chiede di iniziare un percorso di supporto psicologico. Milouda riuscirà a riprendere a lavorare con un equilibrio e una serenità conquistate a fatica soltanto un anno dopo, all’età di 24 anni, uscendo dal tunnel della depressione in cui era caduta e dall’ansia di doversi guardare sempre alle spalle.
Fortunatamente, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38448 del 20 settembre 2023, ha stabilito che le molestie reiterate sul luogo di lavoro nei confronti di una collega per instaurare una relazione integrano il reato di atti persecutori ex art. 612-bis del codice penale. Quindi si tratta di stalking!
«La Convenzione OIL sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro del 2021, entrata in vigore per l'Italia il 29 ottobre 2022, chiarisce che per "violenza e molestie nel mondo del lavoro" si intendono un insieme di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente (mobbing), che possano comportare un danno fisicopsicologico, sessuale o economico nel contesto del lavoro, nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali. Così spiega Liliana Ocmin, impegnata al fianco delle vittime tra le lavoratrici, col patronato Inas Cisl nazionale. «Le molestie sessuali sono un illecito plurioffensivo, in quanto vanno a ledere beni giuridici differenti, quali la libertà personale, la libertà sessuale, la dignità umana, l'integrità psico-fisica. Eppure i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, ad “assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro”. I luoghi di lavoro devono essere di fatto ambienti in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza». In questi casi è possibile rivolgersi e prestare denuncia all’ispettorato del lavoro o alle organizzazioni di categoria o avviare un’azione penale facendo denuncia dell’autore delle molestie alle autorità competenti.
 

Cosa fare se si è vittima di mobbing?

In molte aziende sanitarie locali esistono sportelli di ascolto del disagio lavorativo e del mobbing, rivolgendosi al Servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro (SPreSAL).
Ma la richiesta di risarcimento nel caso del mobbing va indirizzata all’Inail che garantisce l’indennizzo in caso di danno biologico ovvero in caso di lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico- legale (il danno morale invece è a carico del soggetto che procura il danno mentre il danno esistenziale, cioè l’alterazione della vita quotidiana e della realizzazione professionale della vittima viene liquidato da un giudice).
Il mobbizzato deve però dimostrare con documentazione dettagliata che la patologia è causata dall’attività lavorativa svolta, con particolare attenzione all’organizzazione del lavoro e alla presenza di eventuali fattori di stress –, del suo stato psicologico, delle indagini psichiatriche e/o neuropsichiatriche effettuate da medici specialisti. Devono essere quindi provati dal lavoratore diversi aspetti tra cui: ambiente di lavoro – la vicenda deve svolgersi sul posto di lavoro; durata – i comportamenti dannosi devono essere in corso da almeno 6 mesi; frequenza – devono essere ripetuti, sistematici e molteplici nel tempo; tipo di azioni ostili – le vessazioni devono appartenere ad almeno 2 di 5 specifiche categorie: attacchi alla possibilità di comunicare; isolamento sistematico; cambiamenti nelle mansioni; attacchi alla reputazione; violenze e/o minacce; dislivello tra gli antagonisti – la vittima deve trovarsi in una posizione costante di inferiorità ovvero confinata nella posizione più debole ed incapace di difendersi dalle strategie di attacco dell’aggressore; andamento secondo fasi successive (la vittima sperimenta) un crescente disagio psicologico e relazionale; intento persecutorio – è necessario provare l’esistenza di un disegno coerente e finalizzato, chiaramente ostile e negativo.