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9 Aprile 2023

Auguri! Ma i cristiani celebrano tre Pasque diverse.

Cosa ci unisce e cosa, a distanza di secoli, ci divide. Tornare a pregare insieme sotto alla stessa Croce è ancora possibile.
Auguri! Ma i cristiani celebrano tre Pasque diverse.
Un appello dell'Assemblea interparlamentare per l'Ortodossia invita i cristiani di tutte le chiese a percorrerere un cammino di avvicinamento in vista di una Pasqua da celebrare insieme nel 2025. Quali sono le sfide che il cammino dell’ecumenismo deve affrontare?
È una sfida interessante: proviamo a leggere la Pasqua alla luce dell’esperienza di fede delle tre principali tradizioni cristiane: la Chiesa Latina (o Chiesa Cattolica Romana), le Chiese orientali e le Chiese della Riforma protestante. Nel corso di complessi processi storici si sono infatti consolidate interpretazioni diverse del significato della Pasqua di Gesù di Nazareth.

Sono letture complementari che solo insieme possono illuminare il mistero della Pasqua cristiana. Nel corso della storia tuttavia queste diverse tradizioni hanno dialogato con fatica e talora hanno alimentato drammatici conflitti di carattere identitario. Evidenziamo di seguito come i diversi significati attribuiti alla Croce di Gesù possano aiutarci a cogliere le differenze come occasioni di arricchimento reciproco.

Il significato della croce nelle comunità cristiane dei primi secoli

Nel corso dei primi secoli le comunità cristiane maturarono con crescente chiarezza la consapevolezza del fatto che attraverso la sua passione, morte e resurrezione Gesù aveva portato la sua salvezza al mondo. La croce venne quindi eletta a simbolo di questo mistero: ciò che era considerato oggetto di infamia e di ignominia era stato trasformato da Gesù in luogo di vittoria. Attraverso la croce, infatti, Gesù era entrato nel regno dei morti e lì Dio lo aveva risuscitato (cf. At 2,32). Un vivo si era fatto presente nel regno dei morti e in questo modo la morte aveva perso il suo potere. Il regno della morte era stato sconfitto in modo definitivo.

L’iconografia dei primi secoli ci mostra una croce nuda, senza il Crocifisso, cioè senza Gesù: la croce non era più un luogo di morte ma di vita.

Per questo venne scelta come emblema della vita cristiana, in quanto cuore della Pasqua. Leggendo oggi il versetto evangelico “se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24) siamo soliti identificare la parola croce con la parola sofferenza. Ma nei primi secoli la croce non era sinonimo di sofferenza, bensì di una sequela vittoriosa di Gesù vissuta fino al dono completo di sé agli altri, anche fino al dono della propria vita. È stato probabilmente a partire dal VI secolo (non è facile identificare una precisa epoca) che Gesù è apparso in modo diffuso nelle rappresentazioni della croce. Il crocifisso venne rappresentato inizialmente privo dei segni della passione, in coerenza con la consapevolezza che Gesù era vivo. La sua immagine venne poi via via modificandosi, in particolare a partire dal secolo XIII attraverso la predicazione degli ordini mendicanti Francescani e Domenicani, che sottolinearono sempre più la sofferenza di Gesìu sulla croce. Questo modo di rappresentare Gesù permetteva a chi ne contemplava l’immagine di rispecchiare in Lui la propria sofferenza e di trovare speranza per la propria vita, spesso segnata da innumerevoli tormenti. Durante l’arco dell’Alto Medioevo quindi la Chiesa, che era ancora unita, conservò da un lato la lucida consapevolezza della vittoria di Gesù sulla morte, ma promosse dall’altro una grande varietà di devozioni popolari, che tradotte in diverse forme artistiche e ascetiche, evidenziavano sempre più marcatamente la sofferenza del Crocifisso.

Il crocifisso sofferente e la danza della croce

Convenzionalmente nel secolo XI la Chiesa visse il drammatico scisma di Oriente che vide la parte della Chiesa di lingua greca separarsi da quella di lingua latina. La Chiesa di lingua greca si era mostrata sempre più insofferente davanti ad alcune “innovazioni” introdotte dalla Chiesa di lingua latina, quali ad esempio il primato assoluto del vescovo di Roma e la modifica della teologia trinitaria, senza citare ulteriori questioni di carattere politico. Tra questi fattori di rottura ve ne erano anche alcuni di carattere liturgico.

La Chiesa di lingua greca aveva tenuto viva la teologia della croce come vittoria e non vedeva di buon occhio la rappresentazione delle sofferenze della passione. Nelle icone della croce della Chiesa greca infatti Gesù è rappresentato senza alcun segno della passione, al contrario è un Gesù danzante. L’icona ortodossa della croce viene infatti chiamata “la danza della croce”, ed evidenzia la vittoria schiacciante e gloriosa di Gesù sulla morte.

La croce e il crocifisso dopo Martin Lutero

Nel XV secolo la Chiesa fu scossa da un secondo grande scisma, quello della Riforma luterana. Anche questo scisma fu dovuto a molteplici fattori, uno fra tutti la denuncia del commercio delle indulgenze operata dal monaco agostiniano tedesco Martin Lutero.

Nell’utilizzo della paura della morte come strumento pastorale Lutero identificava uno dei pilastri di tale scandaloso commercio. A diffondere questo sentimento di paura tra i fedeli erano anche le tante devozioni popolari centrate sulla passione e morte sofferente di Gesù. Per questo Lutero rilesse la teologia della croce insistendo sul fatto che non era grazie alla sua sofferenza che Gesù aveva garantito la salvezza al mondo, ma grazie alla sua fede: Gesù sulla croce aveva avuto fede nel Padre e Dio lo aveva risuscitato.

Lutero rifiutava quindi una visione sacrificale della morte di Gesù e sottolineava la vittoria sulla morte a discapito della sofferenza. Ancora oggi le Chiese della Riforma rappresentano la croce senza il crocifisso per non distogliere lo sguardo dalla centrale importanza dell’elemendo della fede nella vittoria di Gesù. Potremmo tentare di riassumere questa visione affermando che per Lutero la sofferenza non è salvifica, ma è la conseguenza di un amore incondizionato.

Quello che salva è la fede che porta al dono di sé per amore. La reazione della Chiesa di Roma alla Riforma fu molto forte: per prendere le distanza dalla visione luterana fu scelto di rinnovare l’adesione agli aspetti teologici e devozionali che marcavano la sofferenza del crocifisso. Teologia, arte e devozioni puntarono a mettere in risalto la drammatica vicenda della passione di Gesù, talvolta anche in modo truculento

Questa reazione, comunemente nominata come “controriforma”, marcò nettamente la distanza tra la Chiesa di Roma e la visione di Lutero.

La Pasqua e le sfide per l’ecumenismo di oggi

Le tre grandi tradizioni cristiane sottolineano quindi aspetti diversi del mistero pasquale. Queste differenze sono rappresentate plasticamente dal simbolo cristiano per eccellenza: la croce. La danza della croce come simbolo di vittoria e di gioia (secondo le Chiese orientali), il crocifisso come simbolo di sofferenza (secondo la Chiesa latina), la croce come simbolo di fede (secondo le Chiese della riforma): si tratta evidentemente di aspetti complementari che tutte le tradizioni riconoscono seppur con tonalità e gradazioni talora molto diverse.

Occorre sottolineare che dopo aver vissuto il dramma delle divisioni dovute anche a questi temi, le tre tradizioni cristiane hanno conosciuto momenti di reciproco riavvicinamento, facilitati notevolmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Potranno queste differenze permettere reciproci arricchimenti in campo ecumenico? I credenti in Gesù saranno forse in grado un domani di riconoscere la ricchezza delle altrui tradizioni e lasciarsi contaminare nel camminare su questo mistero che rimane insondabile e inesauribile.