L'Onu rileva in molti Paesi che i processi di deistituzionalizzazione non sono conformi alla Convenzione sui Diritti delle persone disabili. L'approccio alla Qualità della Vita potrebbe guidare il cambiamento.
Le cooperative sociali tendono a costruire delle isole felici troppo distanti dal resto della società? Le persone con disabilità inserite nei centri diurni oggi possono trovare in queste realtà un equilibrio sano, che però a volte rischia di rallentare il loro reale inserimento fra la gente.
Il Prof. Marco Bertelli, rinomato psichiatra e psicoterapeuta e membro onorario dell'Associazione Mondiale di Psichiatria, propone di cambiare approcio: «Gli operatori puntino a migliorare la Qualità della vita delle persone disabili che vengono loro affidate. Non lavorate più alla normalizzazione, al miglioramento clinico o al controllo del comportamento. Misurate piuttosto come le persone, in qualunque condizione si trovino, diventano il più possibile soddisfatte di sé».
Bertelli era intervenuto ad inizio anno durante una formazione rivolta agli operatori del Consorzio Condividere delle cooperative della Comunità Papa Giovanni XXIII. Le sue slide sono risultate illuminanti per molto dei presenti.
Ma in cosa consiste questo nuovo approccio alla disabilità, che potrebbe riguardare tutti i centri diurni delle cooperative sociali del Bel Paese?
Il 9 settembre 2022 l'Onu aveva diramato le linee guida sulla deistituzionalizzazione delle persone disabili. «Fra 10 anni — spiega Silvia Colledan, coordinatrice della coop. L'Eco Papa Giovanni XXIII — i centri diurni per disabili come li conosciamo oggi non esisteranno più. Basta gite in paese con le carrozzine: l’inclusione diventerà il far lavorare la persona disabile, anche solo per 3 ore a settimana, al bancone di una pasticceria».
Traccia il percorso Paola Bragagnolo di Sinodé srl, che ha condotto in Veneto un'esperienza pilota: «I centri diurni vivono un cambio generazionale, con persone disabili che provengono da famiglie giovani con aspettative completamente diverse rispetto a quelle delle generazioni precedenti. Nella rete veneta Linkedis cercavamo una bussola: abbiamo così individuato (dopo una sperimentazione) il metodo basato sull’analisi della Qualità della Vita rilanciato in Italia dal Prof. Bertelli».
«Nelle cooperative sociali — continua Silvia Colledan — possiamo trovare persone disabili che da 30 anni fanno assemblaggi in un centro diurno, oppure costruiscono cornici. Ma magari qualcuno di loro sogna di fare il cuoco, e continua a comportarsi male, ad essere insoddisfatto. Allora coordinandoci fra enti dobbiamo trovare un modo per dargli una possibilità, rompendo gli schemi con quanto si è fatto fino ad ora. Il suo desiderio diventerà la nostra priorità».
Come funziona il metodo basato sulla "qualità della vita"
Il metodo di lavoro basato sulla Qualità della Vita (elaborato dal professor Ivan Brown dell’ Università di Toronto e rielaborato dal prof. Marco Bertelli di Firenze) mette al centro le capacità di autodeterminazione delle persone disabili, indipendentemente dal loro stato fisico o mentale.
Valorizza, nel possibile le capacità:
di scegliere
di risolvere problemi
di prendere decisioni
di definire e raggiungere i propri obiettivi
di autogestirsi
di controllo
l’autoconsapevolezza di sé.
Considera l’essere, l’appartenere e il divenire. Lavora attraverso questionari proposti alla persona con disabilità (se possibile), ma anche ad un familiare e ad un conoscente, con cui stendere un progetto di inserimento sociale per l'individuo. Tende ad evitare l'inserimento della persona in centri tradizionali che potrebbero, in alcune occasioni, frenarne le autonomie.