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25 Gennaio 2021
Ultima modifica: 25 Gennaio 2021 ore 09:06

E adesso dove lo butto?

Cosa dicono gli esperti su differenziata e riciclo
E adesso dove lo butto?
Foto di Egor - stock.adobe.com
Domiciliare o di prossimità? Districarsi nel mondo della raccolta differenziata a volte diventa un vero e proprio rompicapo.
Più che raccolta differenziata, in Italia abbiamo una raccolta differente a seconda dei territori. La gestione dei rifiuti a livello locale, infatti, varia se non da comune a comune, almeno da territorio a territorio. A cambiare sono le modalità di raccolta, i colori dei bidoni e gli accorpamenti tra materiali diversi. Ma perché tutta questa differenza? Non sarebbe meglio avere uno standard nazionale per tutto il territorio nazionale? 

Raccolta domiciliare o di prossimità?

Proviamo a rispondere a queste domande, con ordine. Partiamo dalla modalità di raccolta. Ce ne sono di due tipi: domiciliare o di prossimità. Alla prima modalità risponde il meccanismo conosciuto come “porta-a-porta”: si fa la raccolta a livello domestico, ciascuno in casa propria e poi si espone il sacchetto all’esterno per il passaggio calendarizzato del servizio di raccolta. La raccolta di prossimità, invece, è quella a cui tutti siamo più abituati, ovvero tramite i bidoni della spazzatura che si trovano su suolo pubblico. Negli ultimi anni il porta-a-porta ha preso piede in diverse aree ma, allo stesso tempo, la raccolta di prossimità rimane in ogni caso una costante dei territori.

Qual è la migliore?

Dipende. Un’interpretazione ce la fornisce Utilitalia, federazione che a livello nazionale riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici, tra cui anche quello dei rifiuti. Utilitalia scrive che «ogni sistema e/o territorio ha caratteristiche specifiche, che lo rendono adatto ad alcune situazioni e meno ad altre». Quindi, una soluzione uguale per tutti non è auspicabile, secondo l’organizzazione, in quanto non esiste un unico sistema di raccolta ideale
Per esempio, le raccolte domiciliari presentano sia pregi che difetti. E lo stesso vale per quella di prossimità. «Ogni sistema di raccolta – continua Utilitalia – se opportunamente implementato, ha dimostrato di saper dare buoni risultati, che vanno però valutati non solo sotto il profilo quantitativo ma anche e soprattutto dell’efficacia e dei costi relativi al livello di servizio erogato, oltre che in quadro più ampio di valutazione degli impatti ambientali dei vari modelli».

Ogni sistema ha pro e contro

Posto quindi che va evitata la preferenza ideologica per uno specifico modello di gestione, occorre conoscere nel dettaglio le caratteristiche di ciascun sistema per capirne le specificità. Ancora Utilitalia: «Le raccolte domiciliari e quelle di prossimità richiedono degli spazi per la collocazione/esposizione di contenitori e per la movimentazione dei mezzi di raccolta che non sempre sono presenti nei centri urbani. Inoltre, rispetto a quelle stradali, le raccolte domiciliari richiedono un contributo maggiore del cittadino cui è richiesto di rispettare calendari e orari di esposizione». 
E in termini di costi? «Le raccolte domiciliari comportano un costo unitario intrinsecamente maggiore (dal 32% al 38% per i rifiuti da imballaggio e del 47% per l’organico domestico), a fronte però di una maggiore capacità di intercettazione e una più elevata purezza delle frazioni raccolte. Le raccolte stradali lasciano invece maggiore libertà ai cittadini per quanto riguarda orario e numero dei conferimenti, hanno costi unitari inferiori delle domiciliari ma sono tendenzialmente meno efficaci in termini di capacità di intercettazione e qualità (leggasi “purezza”) delle frazioni raccolte». 

Conta il contesto

Riassumendo: la raccolta domiciliare costa di più ma differenzia meglio, quella di prossimità è più economica ma predilige l’aspetto quantitativo. È così? Non sempre. Se questa, infatti, è una tendenza sì riscontabile a livello nazionale, non si deve altresì dimenticare che, in alcuni casi specifici, i sistemi di raccolta stradale sono risultati altrettanto efficaci dei domiciliari. È il caso della raccolta monomateriale del vetro, che secondo l’ultimo dossier Susdef-Assovetro garantirebbe in media il 96% di riciclaggio rispetto al totale del vetro raccolto, contro il 90% della raccolta monomateriale porta a porta. Allo stesso modo, esistono in Italia alcune esperienze di raccolta stradale dotate di sistemi di riconoscimento dell’utenza e limitazione volumetrica dei conferimenti, che hanno dimostrato di poter ottenere, a costi significativamente inferiori, risultati quali-quantitativi paragonabili a quelli raggiungibili con i sistemi domiciliari.
Insomma, decidere quale delle due modalità funzioni meglio per un territorio è compito assai arduo. Eppure il modello di raccolta va scelto in relazione al contesto territoriale da una parte e, dall’altra, alle capacità operative e al modello di gestione adottato dall’operatore. «Tessuto urbanistico, densità abitativa, condizioni socioeconomiche, cultura della collettività, industrializzazione del territorio sono solo alcune delle variabili che condizionano efficacia, efficienza ed economicità dei diversi sistemi di raccolta. Alcune di queste possono variare anche all’interno di uno stesso territorio, ed è per questo che sistemi diversi spesso convivono anche all’interno di una stessa città», conclude la federazione. 
Plastica, vetro e/o metalli, dipende dall’impianto. 
Infografica rifiuti riciclati
Foto di Tratto da SCHEDA AMBIENTE UTILITALIA 2018

Non c'è un'unica ricetta

Non esiste quindi un’unica ricetta per ogni situazione. Anzi, sempre di più la soluzione migliore risulta quella costruita in modo mirato, spesso utilizzando un mix di soluzioni specialistiche e differenziate, che fanno però perno sulla buona capacità di gestione dei servizi da parte dell’operatore (efficienza, coinvolgimento delle utenze, innovazione tecnologica) e sulla capacità di risposta dei cittadini. Dello stesso avviso anche il CONAI, il consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi: «L’Italia è un grande Paese, la cui geografia porta i sistemi di raccolta a incontrare realtà diverse sul piano socio-economico, culturale, urbano e climatico» – risponde Valter Facciotto, direttore generale CONAI. «Tutte le variabili, che possono intersecarsi fra loro generando una varietà di modelli che può sembrare eccessiva, in realtà rispondono a necessità legate a tante specificità territoriali». 
Perché, dunque, un territorio dovrebbe preferire la raccolta di plastica e metalli (acciaio e alluminio) insieme e un altro territorio tenere separata la raccolta di questi materiali? «Quanto alla scelta fra multimateriale pesante (metalli con il vetro, nda) e leggero (metalli con la plastica, nda), spesso si tende a privilegiare il secondo. Sia per la sua efficacia nel garantire una maggiore qualità nella raccolta del vetro, sia perché la plastica deve già - per sua natura - passare da un impianto che ne divida i polimeri, e in questo processo è abbastanza facile separarla dai metalli». A fare la differenza è l’infrastruttura impiantistica presente sul territorio in cui si effettua la raccolta: «Ogni territorio deve adottare metodi che massimizzino l’efficienza degli impianti presenti – specifica ancora Facciotto. Ad esempio, se in una determinata zona geografica sono presenti impianti dedicati al vetro ben attrezzati per separarlo dai metalli, e non è presente nessun impianto in grado di suddividere i diversi polimeri della plastica, è sbagliato imporre a quel territorio il multimateriale leggero».
Anche parlando dei contenitori le caratteristiche del territorio sono un fattore che non può essere ignorato: «Spesso è comodo e conveniente raccogliere la plastica in sacchi, ad esempio, ma per alcune zone particolarmente esposte al vento i sacchi non sono la soluzione ottimale» – conclude il direttore.

I colori della differenziata

Un discorso a parte merita il colore dei contenitori: è forse l’aspetto su cui, indipendentemente da tutto, una maggiore omogeneizzazione “sarebbe auspicabile”, ammette lo stesso CONAI. In teoria, dal 2017, il tema della divisione per colore è stato normato con l’emanazione della UNI 11686, denominata Gestione dei rifiuti – Waste visual elements – Elementi di identificazione visiva per i contenitori per la raccolta dei rifiuti urbani. Questa norma ha definito i colori standard per tutta la Penisola: blu per la carta, il cartone o multimateriali con prevalenza di carta; marrone per i rifiuti organici, comunemente detto “umido”; giallo per gli imballaggi in plasticaverde per il vetro; turchese per i metalli come alluminio e acciaio; grigio per il secco indifferenziato, in cui viene messo tutto ciò che non si può riciclare.  Anche se CONAI, quando assegna risorse economiche per campane territoriali, tende ad attribuire punteggi maggiori a chi adotta i codici-colore suggeriti dall’Unione Europea, esistono territori che non rispettano questa distinzione, creando spesso confusione soprattutto tra chi viaggia per lavoro o in vacanza. 
Infografica rifiuti abbandonati
Foto di Tratto da SCHEDA AMBIENTE UTILITALIA 2018

Come prevenire l'illecito

Ma se l’obiettivo è sempre quello di aumentare qualità e quantità della raccolta differenziata, anche per raggiungere gli obiettivi di riciclo imposti dalla normativa europea e recepiti da quella italiana, può questa varietà di regole, non solo avere l’effetto opposto, ma addirittura favorire in qualche modo il traffico di rifiuti illeciti? «Il malaffare si inserisce laddove non si chiudono i cicli, dove si lasciano spazi aperti» – spiega Antonio Pergolizzi, analista ambientale e autore del libro di recente pubblicazione Dalla parte dei rifiuti. «Sono d’accordo nel dire che ciascun territorio abbia esigenze diverse, che dipendono dal piano di gestione dei rifiuti, dalla morfologia del territorio stesso e dal tipo di distretti produttivi esistenti. Per questo ci vogliono soluzioni personalizzate. Il problema nasce dove ci sono problemi di governance». 
Ad esempio? «Un territorio dove non ci sono impianti di riciclo ma dove tutto finisce in un inceneritore, ad esempio, potrebbe essere più soggetto a infiltrazioni illecite. Quindi, meno il rifiuto è tracciato e più c’è il rischio di illeciti. Un altro problema, sul quale a mio avviso si dovrebbe accendere un riflettore, è quello della moltiplicazione delle stazioni appaltanti. Ci sono tante, troppe gare e il processo per cui si arriva ad affidare degli incarichi non è sempre trasparente. Ma qui si apre un discorso a parte».