San Giosafat fu un grande ecumenico tre secoli prima che si iniziasse a parlare seriamente di ecumenismo. Diceva: «Vi porto tutti nel cuore, e sarei ben lieto di morire per voi!».
Jan Kuncewicz nasce a Volodymir, in Ucraina, intorno al 1580 da genitori ferventi ortodossi.
Dopo profonda riflessione, decide di aderire ai greco-cattolici. Nel 1604 diviene monaco con il nome di Giosafat ed entra nel monastero della Santa Trinità, retto dall’ordine di San Basilio, sito in Vilnius, dove nel 1617 inizia la riforma che porta alla nascita dell’Ordine Basiliano di San Giosafat.
Vescovo di Vitebsk e poi di Polock, si dedica con grande impegno alla causa dell’unità della Chiesa, suscitando contro di lui l’odio di alcuni che decisero di ucciderlo. Affronta il martirio il 12 novembre 1623 a Vitebsk. È beatificato il 16 maggio 1643 e canonizzato il 29 giugno 1867.
Dopo la seconda guerra mondiale viene traslato a S. Pietro in Vaticano dove, dal 25 novembre 1963, è collocato nell’urna in vetro posta sotto l’altare di S. Basilio Magno. È ricordato il 12 novembre, giorno del suo martirio. È il primo rappresentante della Chiesa Uniate ad essere canonizzato nella Chiesa cattolica romana.
Nel 1595 un sinodo a Brest-Litovsk aveva deciso che la Chiesa greco-ortodossa rutena (regione che dalla Russia era passata in parte sotto il dominio del re di Polonia) si unisse a Roma. Si mantennero i riti ed i sacerdoti ortodossi, ma si ristabilì la comunione con Roma. Questa Chiesa fu detta “uniate” ed era molto avversata sia dagli ortodossi (che accusavano di tradimento gli uniati), sia dai cattolici, che disprezzavano le lunghe e complicate cerimonie orientali.
Trovandosi in mezzo ai cristiani in lotta, Giosafat volle rendersi conto della sua fede con lo studio e la preghiera ed arrivò alla convinzione che l’unità con successore di Pietro faceva parte della tradizione dei Padri. Con le sue doti straordinarie di predicatore e di catechista, unite alla fama di monaco santo, attirò molti ruteni alla chiesa uniate. Stese un Catechismo elementare; riunì ogni anno il sinodo diocesano per fare il punto della situazione insieme al suo clero; riorganizzò l’amministrazione dei beni ecclesiastici, destinandone i proventi non più all’arricchimento dei nobili, come era accaduto nel passato, ma al culto e alle opere caritative. Sebbene difendesse chiaramente la necessità di essere uniti a Roma, nella sua predicazione non usava mai parole che potessero offendere chi la pensava diversamente.
Molto amato dal popolo era però contrastato dai nobili (aveva loro tolto il privilegio di sfruttare i beni della Chiesa) e dagli ortodossi che non avevano aderito all’unione. Mentre si trovava a Vitebsk in visita pastorale, fu sorpreso dai suoi sicari. Egli disse loro: «Voi mi odiate a morte, mentre io vi porto tutti nel cuore, e sarei ben lieto di morire per voi». Dopo averlo barbaramente malmenato, lo finirono a colpi di scure, gettando il corpo nel fiume Dvina.
Fu un grande ecumenico tre secoli prima che si iniziasse a parlare seriamente di ecumenismo e probabilmente per aver incarnato questa profezia, la sua salma è stata portata in Vaticano accanto alla tomba di san Pietro.