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3 Novembre 2023

San Martino De Porres

Il 3 novembre si ricorda il barbiere che curava i poveri
San Martino De Porres
Figlio di un cavaliere spagnolo e una schiava di Panama, divenne padre domenicano amato da tutti i poveri. Diceva: «Neanche un torrente di lacrime potrebbe lavare la mia anima per essere stato duro di cuore»
Martino nacque il 9 dicembre 1579 a Lima, da un cavaliere spagnolo, Juan de Porres, che inizialmente non riconobbe il figlio, e da una schiava nativa di Panama, Anna Velàzquez. Cominciò a guadagnarsi da vivere andando a bottega da un barbiere. Siccome a quei tempi il barbiere era anche cerusico, cavadenti e chirurgo, il ragazzo imparò tutti i segreti del mestiere, dal far salassi al curare ferite o fratture. Nel 1595 vestì l’Abito di Oblato e Terziario nel Convento Domenicano del SS.mo Rosario in Lima. Inizialmente i suoi compiti erano perlopiù di inserviente e spazzino poi cominciò a collaborare nell’infermeria. Nel tempo libero si occupava di tutti i poveri che mendicavano: indios, spagnoli, meticci, neri, stranieri falliti, disoccupati, vecchie in miseria.
Morì il 3 novembre 1639, all'età di sessant'anni. Beatificato nel 1837, Giovanni XXIII lo ha proclamato Santo il 6 maggio 1962. Paolo VI l’ha dichiarato patrono dei barbieri e dei parrucchieri. Lo si ricorda il 3 novembre.

Divenne padre domenicano in Perù

Ha 16 anni quando si presenta al superiore del Convento dei padri Domenicani e chiede di entrare. Gli viene fatto presente che non potrà diventare frate perché a quei tempi non si permetteva l'accesso agli Ordini religiosi da parte dei figli d'unioni tra indios o neri, meticci, mulatti e simili. Ma Martino insisteva. Il superiore gli chiese se avrebbe accettato di essere un semplice converso per tutta la vita. Lui chiese chiarimenti: «Converso è l’ultimo nella gerarchia?». Alla risposta affermativa ribadì la sua volontà. Da quel momento la sua vita fu una donazione totale, un’offerta perfetta al servizio di Dio.
Per il colore della sua pelle fu maltrattato e disprezzato, lo chiamavano “cane nero” o “bugiardo d'un mulatto”, ma Martino continuava a sorridere, si inginocchiava dinnanzi a chi l'insultava o rimproverava, chiedendo perdono. Allo stesso modo sfuggiva ogni elogio e quando ottenne la dispensa per fare la professione solenne nell’Ordine lui oppose resistenza per paura di allontanarsi dagli ultimi, i prediletti di Gesù. Alla fine accettò, ma continuò a vivere come converso a servizio di tutti. Nella sua cella a pianterreno, ben distinta da quella dei frati, accorrevano i poveri, gli ammalati in cerca di sostegno e cure, gli ecclesiastici e i politici in cerca di consigli. Oltre a ciò Martino sfacchinava in convento svolgendo i lavori più impensabili e faticosi. Di notte, mentre gli altri frati riposavano, lui era ancora operoso o si dedicava alla preghiera.
Meticcio o spagnolo, nero o bianco, libero o schiavo, uomo o donna, bambino o anziano, tutti accorrevano a questo generosissimo frate laico: a tutti dava una parola di consolazione, medicine, abiti, cibo, preghiere e denaro e nessuno comprendeva come potesse arrivare a capo di tutto! 
Si dedicò a tutti imparzialmente, al di là di ogni discriminazione o d'ogni legalità, così che, secoli dopo, i suoi connazionali non hanno esitato a proclamarlo “Patrono della giustizia sociale nel Perù”.