Topic:
9 Giugno 2024

Sant'Efrem il Siro

Il 9 giugno la Chiesa ricorda l'"arpa dello Spirito Santo"
Sant'Efrem il Siro
«Spetta a noi tendere verso di te ogni nostra volontà, e spetta a te riversare su di noi un po' della tua pienezza, perché la tua verità ci converta e così scompaia la nostra debolezza»
Nacque a Nisibi, nella Mesopotamia settentrionale, probabilmente nel 306. Il padre, sacerdote pagano, lo cacciò di casa all’età di 18 anni perché non accettava la formazione cristiana che gli veniva impartita dalla madre. Si formò e crebbe come cristiano accanto a Giacomo, vescovo di Nisibi, e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei persiani. Efrem emigrò ad Edessa, dove diresse una scuola teologica e scrisse opere che, secondo san Gregorio di Nissa, «illuminarono l’universo intero». Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. È rimasto diacono tutta la vita ed ha abbracciato la verginità e la povertà. Fu soprannominato “l’arpa dello Spirito Santo” e Benedetto XV, nel 1920, lo ha annoverato tra i dottori della Chiesa. La sua memoria liturgica si celebra il 9 giugno.

Efrem era profondamente innamorato della Parola di Dio. La meditava, la spiegava, la metteva in versi per fare in modo che mettesse radici nella cultura del suo popolo. Scrisse opere di teologia e di poesia, ma si potrebbe dire di poesia teologica perché proprio attraverso la poesia poteva rendere più penetranti le verità della fede in persone di cultura orientale, molto sensibili agli slanci della fantasia e del sentimento che non al ragionamento. Nello stesso tempo la sua teologia diventava liturgia, diventava musica: era infatti un grande compositore, un musicista.
È un testimone di quanto sia antica la venerazione per Maria, madre di Gesù, alla quale dedicò una ventina di inni. Tutte le sue poesie sono dotate di bellezza, ma quelle in cui parla della Madonna sono veramente incantevoli perché sgorgano da un cuore teneramente filiale, tanto da essergli stato attribuito il titolo di “cantore di Maria”. Egli mette sulla bocca della Madonna questi versi, una specie di ninna-nanna della Madre di Dio al suo bambino: «Maria effondeva il suo cuore con inimitabili accenti e cantava il suo canto di culla: Chi mai diede alla solitaria di concepire e dare alla luce colui che insieme è uno e molti, piccolo e grande, tutto in me e tutto dovunque? Il giorno in cui Gabriele entrò presso di me povera, in un istante mi ha fatto signora ed ancella. Perché io sono ancella della tua divinità, ma anche madre della tua umanità, o Signore e Figlio mio!».
Anche i versi di questo Inno sulla Natività sono molto belli: «L’Altissimo venne in lei (Maria), ma vi entrò umile. Lo splendore venne in lei, ma vestito con panni umili. Nudo e spogliato uscì da lei, egli che riveste di bellezza tutte le cose».
Oltre ad averci lasciato una grande eredità teologica, pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane, questo Santo, fiorito tra il Tigri e l’Eufrate 17 secoli fa, per tutta la vita fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia nel cantare l’amore a Cristo, sia nella carità verso i fratelli.