Topic:
9 Novembre 2023

Santa Elisabetta della Trinità

Il 9 novembre si ricorda la carmelitana innamorata della Trinità
Santa Elisabetta della Trinità
«Ho trovato il mio cielo sulla terra perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima»
Elisabetta Catez viene alla luce il 18 luglio 1880 presso Bourges, in Francia. A 7 anni rimane orfana di padre. A 14 anni sente la chiamata ad essere tutta di Gesù e gli offre la sua verginità. Ma dovrà aspettare i 21 anni prima di avere il permesso della madre di entrare tra le Carmelitane scalze a Digione. L’8 dicembre 1901 veste l’abito religioso e l’11 gennaio 1903 emette i voti, prendendo il nome di Elisabetta della Trinità. Viene colpita dal morbo di Addison, allora incurabile, e nel 1905 si manifestano tutti i gravi sintomi: impossibilità di nutrirsi, di bere, astenia, forti dolori gastrointestinali, cefalee, insonnia. Vive il suo martirio come una grazia e un dono di conformità alle sofferenze di Gesù. Finisce di consumarsi il mattino del 9 novembre 1906, a soli 26 anni. È beatificata il 25 novembre 1984 da Giovanni Paolo II stimandola come la mistica che più ha influito sulla sua vita spirituale. Nel 2016 è stata proclamata santa da Papa Francesco. La sua memoria viene celebrata il 9 novembre.

Fin da bambina Elisabetta conservava in sé la meravigliosa certezza di essere abitata da Dio e la sua breve vita fu tutto un camminare verso la comunione d’amore con Lui, un perdersi nella Trinità che, come lei diceva: «È fin d’ora il nostro chiostro, la nostra dimora, l’infinito nel quale possiamo muoverci attraverso tutte le cose». 
Quando entrò in monastero scrisse: «La vita del Carmelo è una comunione con Dio dal mattino alla sera e dalla sera al mattino. Se non fosse Lui a riempire le nostre celle e i nostri chiostri come tutto sarebbe vuoto! Ma noi lo scorgiamo in tutto perché lo portiamo in noi e la nostra vita è un cielo anticipato».

La sua anima era tutta immersa nell’amore che le tre persone divine si scambiano da sempre: «Dio è in me e io in Lui. Non ho che da amarlo e da lasciarmi amare, a ogni istante, in ogni cosa: svegliarmi nell’amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell’amore, con l’anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, gli occhi nei suoi occhi. È questa intimità con Lui al di dentro il più bel sole irradiante la mia vita». E alla luce di questo “sole” visse la terribile malattia che la colpì. Accettò tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, diventando come lei voleva «lode di gloria della Trinità», cioè un’anima «che adora sempre ed è tutta trasformata nella lode e nell’amore, nella passione della gloria di Dio». Visse la lunga e dolorosa agonia come conformità a Cristo morto per ognuno di noi: «Sono tutta presa dalla Passione e quando si vede tutto ciò che egli ha sofferto nel cuore, nell’anima, nel corpo, si sente come bisogno di ricambiargli tutto questo. Non posso dire di amare la sofferenza in se stessa, ma l’amo perché mi rende conforme a colui che è il mio Sposo e il mio amore». Le sue ultime parole furono: «Vado alla luce, all’amore, alla vita!». Impariamo da lei a stare alla presenza del Dio Trinità che abita in noi, a lasciarci invadere sempre più dal suo amore che genera comunione ed essere così irradiazione della sua gloria.