Topic:
23 Marzo 2024

​Santa Rafqa (Rebecca) Ar-Rayes

Il 23 marzo si ricorda una santa libanese che si sacrificò per la redenzione delle anime
​Santa Rafqa (Rebecca) Ar-Rayes
«Soffro in unione con la passione di Cristo»
Nata il 29 giugno 1832 a Himlaya, in Libano, è battezzata col nome di Butrussieh (Pierina). Nel 1853 viene accolta come postulante nel convento delle suore di Mariamat (Figlie di Maria) a Bifkaya. Compie il noviziato e pronuncia i voti nel 1856, studia da maestra e poi comincia la sua missione di catechista e insegnante nei villaggi di montagna. Nel 1871 entra nell’ordine Baladita, o di S. Antonio dei Maroniti, un ordine monastico libanese fondato nel sec. XVII che si richiama alla tradizione dell’antico monachesimo egiziano. Nel 1872, nel convento di clausura di san Simeone Al-Qarn, fa la professione solenne dei voti prendendo il nome di Rafqa (Rebecca). Nel 1885 chiede al Signore di lasciarla partecipare ai suoi dolori. Da allora vive il resto dei suoi giorni tra lancinanti sofferenze, colpita da una dolorosa malattia agli occhi che la rende cieca e da una gravissima infermità diffusa in tutto il corpo.
Muore nel monastero di Jrabta il 23 marzo del 1914, ed è canonizzata nel 2001. La liturgia la ricorda il 23 marzo.
 
Rafqa, che aveva sempre goduto ottima salute, considerando che alcune consorelle erano malate, cieche ed inferme, si rivolse a Dio e gli disse: «Non mi hai visitato con la malattia, mi hai forse abbandonata?». In tal modo esprimeva il desiderio di partecipare alle sofferenze di Cristo per salvare le anime e il Signore non tardò ad esaudirla. Lei stessa raccontò: «La notte successiva a questa domanda, avvertii un dolore violentissimo diffondersi sopra gli occhi e ciò finché sono giunta allo stato in cui mi vedete, cieca e paralizzata; poiché io stessa ho domandato la malattia, non mi permetto di lagnarmi o mormorare. Ringrazio il Signore perché mi ha dato quanto aveva di meglio per me e di più utile per la salvezza dell’anima mia». Per 29 anni rimase paziente, silenziosa, pregando con gioia, sopportando tutte le sofferenze in profonda comunione con la passione di Gesù. Quando le fitte del dolore si facevano più violente, si limitava a dire: «Per la gloria di Dio, in comunione con la passione di Cristo!».
Nell’omelia di canonizzazione, Giovanni Paolo II disse: «Nelle sofferenze che non hanno cessato di tormentarla negli ultimi 29 anni della sua esistenza, santa Rafqa ha sempre manifestato un amore generoso e appassionato per la salvezza dei fratelli, traendo dalla sua unione con Cristo, morto sulla croce, la forza di accettare volontariamente e di amare la sofferenza, autentica via di santità».
Credo che un po’ tutti facciamo fatica a capire come si possa amare la sofferenza e come possa essere autentica via di santità. Per comprenderlo non possiamo far altro che fissare lo sguardo su Cristo crocifisso per la nostra salvezza. Ci sono persone che manifestano la santità di Dio operando il bene verso i fratelli, chi pregando, chi morendo martire, chi, come questa monaca libanese maronita, offrendo la propria sofferenza fisica per la redenzione del mondo. Il Signore ci aiuti a cogliere la grandezza di questo mistero e a contemplare in questi fatti la sua potenza e la sua gloria.