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16 Giugno 2021

Teologhe Italiane contro la bomba atomica

L'intervista alla già Presidente Cristina Simonelli.
Teologhe Italiane contro la bomba atomica
Foto di pixabay
Il coordinamento delle Teologhe Italiane con altri 43 Presidenti, ha recentemente sottoscritto l'Appello Cattolico per una Repubblica Italiana libera dalle armi nucleari.

Quale può essere l'approfondimento delle teologhe italiane all'attuazione della dottrina della Chiesa sull’immoralità della deterrenza delle armi nucleari, espressa da papa Francesco il 10 novembre 2017?

Le teologhe, come donne e come credenti, sono particolarmente sensibili ai temi del contrasto della violenza, in tutte le sue forme: la violenza contro le donne, che non sembra accennare a placarsi, la violenza omofobica, la forma di sviluppo che violenta l’ecosistema. Non c’è dubbio che in questo orizzonte uno spazio particolare lo assuma il ripudio della guerra, come recita l’art 11 della Costituzione italiana, e dunque l’invito a sospendere la produzione di armi. Quelle nucleari portano con sé una particolare forza di distruzione e svelano in maniera emblematica e drammatica la non neutralità della scienza e della tecnica. Come suggerisce tuttavia anche Laudato sì, il contrasto alla violenza è più ampio e comprende l’intera industria bellica, il suo finanziamento, spesso ignorato con superficialità dai risparmiatori, e la politica che autorizza produzione e mercato. Prendere parola come donne vuole dire dunque uscire da immaginari fuorvianti e divisivi, nei quali al mondo femminile si attribuiscono solo bamboline di pezza e fiorellini e al mondo religioso solo incensi e canoni. Siamo molto di più. Nello stesso tempo la prospettiva femminile contro la violenza, dal discorso di odio sul web allo stalking fino allo stupro, sta anche a suggerire al mondo maschile di prendere sul serio il tema, affrontandolo anche sotto l’aspetto culturale e psicologico, assumendo così sul serio la propria parzialità maschile.

La teologia, così come la profezia, nascono dalla fedeltà al Dio dei poveri e dalla fedeltà ai poveri di Dio, quale la ricchezza della voce delle donne che esce dai testi biblici riguardo alla guerra e alle armi? Spesso le donne, madri, sorelle, amanti, sono state capaci di parlarci di un altro Dio....

Cristina Simonelli
Cristina Simonelli
Anche nei poemi omerici si dice che la
guerra è invisa alle madri. Il registro materno, in quanto legato alla vita che nasce, alla vita fragile che cresce e anche all’accompagnamento dei moribondi, è particolarmente adatto a cogliere gli aspetti più misericordiosi del Dio che ha viscere uterine di potente misericordia. Nelle narrazioni evangeliche, la donna cananea che chiede, al di là delle categorie di puro e impuro, la guarigione della figlia, aiuta Gesù stesso a meglio comprendere la propria messianicità. Nello stesso tempo si dovrebbe però vigilare sulle prospettive essenzialiste, quelle che sia pure con buona intenzione, spartiscono il mondo e la chiesa a fette: anche per le donne questo è un cammino da compiere (possiamo essere complici della ingiustizia del mercato e del razzismo anche mentre subiamo in quegli stessi mondi e nella Chiesa la discriminazione in quanto donne); anche gli uomini possono e dunque devono smarcarsi dai ruoli egemonici che sono stati loro attribuiti, per apprendere altri registri.

Il paradigma della cura, nella riflessione teologica femminile pone un cambiamento di prospettiva, dal dominio (identificato nel maschile) alla cura (identificato nel femminile), quale contributo può offrire alla riflessione?

Lo scorso aprile ci ha lasciato, per Covid, la filosofa Elena Pulcini, autrice tra l’altro di Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale (Bollati Boringhieri 2020). Lucia Vantini, attuale Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane, ricordandola commentava il suo scritto, che “dissolve la contrapposizione classica tra etica della cura ed etica della giustizia”. Se si può infatti osservare, come già scriveva negli anni Ottanta Carol Gilligan, che più donne che uomini si muovono attorno al registro della cura responsabile, anche per questo aspetto è bene non creare alibi per gli uomini, anche nella Chiesa. Prosegue Lucia Vantini:

"Anche nel cristianesimo, infatti, capita di patire le conseguenze di ciò che Carole Pateman ha definito contratto sessuale, un’implicita spartizione del mondo fra i due sessi che avviene “tra fratelli” che hanno assorbito l’autorità del Padre, senza memoria delle donne e dei temi tradizionalmente e ingiustamente considerati “femminili”, come quelli delle emozioni e della cura".

Elena Pulcini ricorda invece il nesso inscindibile tra cura e giustizia: ciò che vale per l’una vale anche per l’altra, pur tenendo presenti le differenze fra i due ambiti. Non dovremmo mai separare passioni soggettive, impegni personali e pratiche comunitarie di solidarietà. La vulnerabilità e la compassione sono le due facce di una moneta unica che ricorda la nostra inaggirabile interdipendenza e prossimità e l’urgenza di combattere l'ingiustizia patita da chiunque altro.

In conclusione mi piace perciò ricordare un pezzo magistrale di Starhwak (Miriam Silos), che sa ben dire come il lavoro femminista per la pace può essere fermento per la cura comune del mondo:

Abbiamo bisogno di voci femministe per urlare che non c’è una gerarchia del valore umano, che ogni bambino dev’essere curato con tenerezza, che noi reclamiamo un terreno comune con le donne, i bambini e gli uomini in tutto il mondo […].Una voce femminista per la pace deve identificare e interrogare le radici che causano la guerra […] Abbiamo bisogno delle azioni delle donne, per fare queste più larghe connessioni, per affermare che la compassione non è debolezza e la brutalità non è forza. E per finire, abbiamo bisogno che donne e uomini uniscano le loro voci alle nostre per ruggire come una tigre madre in difesa dell’interdipendenza di tutta la vita, che è il vero terreno della pace.

(Da: Starhawk, «Perché abbiamo bisogno di voci femministe per la pace», in Donne disarmanti. Storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi, a cura di M. LANFRANCO - M.G. DI RIENZO, Intra Moenia, Napoli 2003, 33-34).