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15 Dicembre 2022
Ultima modifica: 15 Dicembre 2022 ore 16:39

Cinquanta anni di servizio civile. Obiettori o volontari?

Il 15 dicembre 1972 l'Italia, dopo aver mandato per anni in carcere gli obiettori di coscienza al servizio militare, concedeva la possibilità di un servizio sostitutivo.
Cinquanta anni di servizio civile. Obiettori o volontari?
Cinquant'anni fa in Italia veniva riconosciuta la possibilità di difendere la Patria senza imbracciare le armi. Oggi la leva obbligatoria non c'è più, anche se metà italiani ne ha nostalgia. Il servizio civile è percepito come volontariato. Eppure c'è tanto per cui vale la pena obiettare.
Cinquant’anni fa, il 15 dicembre del 1972, la Repubblica Italiana riconosceva per la prima volta ai suoi giovani cittadini la possibilità di obiettare al servizio militare senza per questo finire in carcere, ma venendo obbligati a svolgere come civili un servizio sostitutivo. Non era un diritto ma una concessione: a decidere se il candidato poteva fare o meno il servizio civile sostitutivo (che all’epoca durava 8 mesi in più di quello militare) era il Ministro della Difesa dopo aver sentito il parere di una commissione che – non si sa con quali criteri – valutava «la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti dal richiedente».

Il primo obiettore di coscienza

Si trattava comunque di un primo riconoscimento, conquistato dopo anni di “disobbedienze civili” pagate anche con il carcere da tanti giovani, ma per Pietro Pinna – considerato il primo obiettore di coscienza italiano per motivi politici, e per questo più volte processato e incarcerato – fu anche l’inizio di un declino.
Andammo a trovarlo alla fine del 2004, quando stava per entrare in vigore la fine della leva obbligatoria, per chiedergli se questo fatto avrebbe segnato anche il tramonto dell’obiezione di coscienza. Dopo una vita da militante nel Movimento Nonviolento, che aveva contribuito a fondare, si era ritirato in un appartamento di Firenze, circondato da libri e vecchi dischi. Ma appena toccammo i temi che gli stavano a cuore, lo sguardo del vecchio obiettore si accese dimostrando una lucidità e una energia inaspettate.

In realtà, ci disse, «l’impoverimento è avvenuto nel 1972 con l’introduzione della legge per l’obiezione di coscienza. Fino a quel tempo il dibattito antimilitarista in Italia era fondamentalmente centrato intorno al problema dell’obiezione di coscienza, avendo in carcere questa testimonianza decisa, risoluta, senza nessuna compromissione, degli obiettori. La legge ha spostato completamente l’attenzione sul servizio civile: cosa nobile ma che non aveva nulla a che fare con l’obiezione di coscienza nel suo significato antimilitarista». Anche se, precisava, «non voglio squalificare il servizio civile: so che ha avuto una grande funzione sul piano umano nella maturazione di tanti giovani. Però sono pochi gli enti come la Comunità Papa Giovanni XXIII o la Caritas che hanno mantenuto un significato in chiave antimilitarista dell’obiezione di coscienza.» (leggi l’intervista completa)

La fine del servizio miitare di leva

Sta di fatto che il servizio militare obbligatorio – istituito già con il Regno d’Italia e confermato con la nascita della Repubblica dall’articolo 52 della Costituzione  – dal 1° gennaio 2005 venne sospeso, e questo segnò la fine di un’epoca: da allora non si parla più di obiettori – perché non c’è un obbligo a cui opporsi –  e il servizio civile è percepito dai più come un’esperienza anziché come una forma di difesa alternativa della Patria.
In realtà la legge 64/2001, istitutiva del Servizio Civile Nazionale, aperto anche alle donne, enunciava tra i suoi scopi quello di «concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della patria con mezzi ed attività non militari». E la più recente legge 106/2016, istituendo il Servizio Civile Universale, precisa che è «finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla  difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi  della Repubblica».
Ma è un aspetto che rischia di passare in secondo piano, anche a causa di alcuni errori di comunicazione – evidenzia  Laura Milani, presidente della CNESC – dato che le istituzioni tendono a presentare il servizio civile come opportunità professionalizzante e un modo per inserirsi nel mondo del lavoro, rischiando di «perdere di vista la sua reale potenzialità oltre a tradirne la finalità».

Tornerà la leva obbligatoria?

Nel frattempo c’è anche chi ha nostalgia della leva obbligatoria. Lo abbiamo visto nella recente campagna elettorale, in particolare attraverso gli interventi del leader della Lega, Matteo Salvini (e recentemente anche del presidente del Senato Ignazio La Russa).  Ipotesi che non sembra trovare appoggio nelle Forze Armate, abituate ormai ad un esercito di professionisti. Ma che ha un certo consenso nella popolazione.
Secondo un sondaggio pubblicato il 31 agosto scorso dalla società IZI (www.izi.it) il 53,5% degli italiani vorrebbe un ritorno della leva. I più favorevoli sono gli over 55 (64,5%) mentre la cosa non sembra piacere ai diretti interessati (tra i 15 e i 34 anni il 71,1% è contrario). L’opinione largamente diffusa (72,4%) è che l’eventuale obbligo dovrebbe riguardare sia i maschi che le femmine. Ma non si tratta di rispondere a un problema di sicurezza nazionale: andando a vedere le motivazioni, scopriamo che solo il 3,5% ritiene che servirebbe ad avere persone da arruolare in caso di necessità, mentre al gran parte ritiene che sarebbe una esperienza educativa e formativa per i giovani.
Paradossalmente, se davvero – cosa improbabile – venisse ripristinata la leva obbligatoria (tuttora prevista dalla Costituzione e solo sospesa, come dicevamo), tornerebbe anche al centro dell’attenzione il tema dell’obiezione di coscienza e dell’alternativa all’uso delle armi. Mentre se il servizio civile resta una scelta volontaria, il rischio è che modello di difesa armata e servizio civile camminino su due binari paralleli, come preconizzato da Pietro Pinna. Che di fronte all’inevitabilità della guerra e alla necessità di attrezzarsi militarmente in tal senso, aveva le idee chiare: «Nell’’800 l’Italia era divisa in vari staterelli che si combattevano tra loro. Dopo aver realizzato l’unità d’Italia non c’è stata più alcuna guerra interna: è bastato un semplice cambiamento istituzionale. Occorre oggi un vero cambiamento istituzionale che non è stato ancora realizzato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Le singole patrie di oggi devono arrivare a considerare come loro patria il mondo intero. La storia non è fatta di violenze impreviste, è frutto di relazioni. Le guerre nascono nel tempo. Io posso istituire relazioni tali per cui riduco in partenza del 90% le ragioni per cui il supposto nemico mi potrebbe fare la guerra.»

Una nuova obiezione di coscienza

Parole di estrema attualità rilette oggi, mentre l’umanità affronta una crisi diplomatica senza precedenti. Non perché il conflitto russo-ucraino sia diverso da quelli che si sono succeduti nella storia – l’espansione di uno Stato verso territori confinanti è un classico – ma in quanto la potenza militare ha raggiunto livelli tali che, se venisse davvero usata in tutto il suo potenziale, segnerebbe la fine dell’umanità.
L’obiezione di coscienza antimilitarista e nonviolenta – così la definivano i vecchi “obiettori” – non è dunque oggi rivolta alla naja ma a un modello di gestione dei conflitti che ha mostrato non solo la propria crudeltà ma anche la completa inefficacia.
In questo senso alcune proposte maturate in questi anni all’interno delle organizzazioni civili nonviolente possono segnare un cambiamento di impostazione e di priorità.
Come l’idea di istituire un Ministero della pace, proposta da don Benzi molti anni fa e oggi rilanciata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con molte adesioni di altri enti (www.ministerodellapace.org).
O lo sviluppo di una Difesa civile non armata e non violenta (www.difesacivilenonviolenta.org) che eviterebbe di trovarsi impreparati in caso di aggressione come è successo al popolo ucraino.
Mentre a livello internazionale appare evidente la necessità di una riforma dell’ONU – che in questa crisi ha mostrato tutta la sua impotenza – se si vuole che questa istituzione assolva alla mission per cui è stata creata.