Un rapporto in tre lingue racconta buone azioni e storie di chi ha cercato di proteggere e ancora supporta, nonostante la pandemia, donne e bambini che scappano dalla violenza
Mentre i media tengono girati i riflettori verso la guerra nell'est Europa, centinaia di operatrici del vecchio continente, oltre a inventare in questi giorni nuovi posti per chi scappa dal conflitto, continuano ad offrire servizi di assistenza, anche interscambiandosi di frequente, per proteggere le
donne migranti vittime di violenza e pure i loro figli.
Il report sulle vittime di violenza
A loro va il grazie di centinaia di donne in questa Giornata al femminile. La Comunità Papa Giovanni XXIII, in occasione della
Giornata internazionale della donna, rende pubblico il
Report sulla salute mentale delle vittime di violenza nel contesto della pandemia che raccoglie la voce, le strategie, la passione e il coraggio di operatori e operatrici, mediatrici interculturali, assistenti sociali e medici e infermieri e anche i vissuti traumatici di donne dell'Unione Europea e anche di quante sono arrivate da lontano in particolare vittime di sfruttamento sessuale e prostituzione, e di matrimoni forzati. ll Report, realizzato all'interno del
progetto europeo MIRIAM. Donne migranti libere dalla violenza di genere finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza, Cittadinanza dell'UE che vede il partenariato di Differenza Donna in Italia e Fundaciòn Amaranta in Spagna, raccoglie
20 buone prassi di ONG di 16 stati europei e le sfide per il 2022. «L'impatto della crisi da Covid-19 - si legge nel Report - ha provocato un aumento della violenza di genere nell'UE compresa la
violenza fisica e psicologica, il controllo coercitivo e la violenza online. Nel Rapporto GREVIO 2021 è anche emersa una carenza consistente di servizi di assistenza rivolti a gruppi specifici come le donne con problemi di salute mentale, donne con disabilità, donne migranti e donne appartenenti a minoranze etniche come
le donne rom e le donne sami».
Ansia, depressione, disturbo post traumatico da stress, disturbo di personalità e tentativi di suicidio sono i disturbi più frequenti riscontrati nelle donne con un background migratorio. Con un'incidenza due volte maggiore rispetto agli uomini che migrano.
Operatrici di tutta Europa unite contro la violenza, nonostante la pandemia
E se in Europa il picco di casi salta all'occhio con un +60% dal 2020, le organizzazioni per la tutela delle donne hanno continuato a cercare di intercettare le vittime nonostante il distanziamento e nonostante il silenzio dei governi sulle mancanze di tutela e sostegno alle madri rimaste sole. Sono queste ultime infatti quelle rimaste più schiacciate dalla pandemia e spesso incapaci di contattare i numeri antiviolenza attivi in diversi stati europei. Tra i paesi più attivi negli aiuti e nell'assistenza alle vittime spicca la Svezia che nel Report sulla salute mentale viene apprezzato per il fatto che «ha un'attenzione significativa per la salute mentale anche nel caso di donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate e che l'accesso ai servizi è garantito a tutti al di là del loro status, sebbene siano numerose le differenze da comune a comune». Un esempio virtuoso la città di Malmö, la terza più importante della Svezia, che si affaccia sul Mar Baltico ed è nota per la ricca presenza di gruppi etnici differenti, quasi 200 nazionalità diverse.
Il numero antiviolenza
Nel cosiddetto "rapporto ombra" delle organizzazioni tedesche invece emerge una criticità importante rispetto ai diritti umani e al diritto di soggiorno e/o di asilo delle donne che scappano da uomini maltrattanti. «La violenza contro le donne risulta radicata tradizionalmente e strutturale» denuncia il Report riferendosi alla società tedesca dove anche l'acquisto del corpo nei bordelli è ancora tollerato e regolamentato sui bisogni degli uomini e non delle donne prostituìte. Tuttavia il Ministero tedesco della famiglia, degli anziani, delle donne e della gioventù è corso ai ripari e nel dicembre 2021 ha lanciato un numero antiviolenza per le donne, lo 08000116016, che offre consulenza anonima in 17 lingue straniere, inclusa la lingua dei segni (tedesca) e linguaggio semplificato.
Quanto all'Italia - così come nel caso della Spagna - l'impegno delle organizzazioni del privato sociale e pubblico è costante, anche se risultano ancora troppo pochi i posti disponibili nelle case rifugio e anche colloqui con psicologo o psicoterapie non sempre accessibili a tutte e scarsamente finanziati dai governi.
Sopravvissute alla violenza che aiutano altre donne: una buona prassi da replicare
Tra le buone prassi spicca quella praticata con donne ex sopravvissute alla violenza e al viaggio migratorio di frequente costellato di stupri, torture o aborti forzati. Connazionali che aiutano altre donne è la buona prassi emersa in Belgio dalla ong Payoke come anche in Germania da Solwodi e The Justice Project. E in Italia dalla Comunità di don Oreste Benzi, capofila di un progetto per il supporto delle donne che fuggono dalla schiavitù sessuale - il progetto
SISA - ha attivato un gruppo di
peer mentors, come si vede nelle scuole, ovvero di donne che aiutano altre donne come mentori, facilitatrici e motivatrici del percorso di riscatto dalla violenza di genere subìta.
Nonostante il Covid la Comunità di don Benzi nel 2021 ha continuato ad accogliere vittime di tratta a scopo sessuale, lavorativo o accattonaggio per un totale di 100 persone assistite, principalmente donne di età compresa tra i 24 e i 27 anni. Ma altrettante sono quelle ancora accolte perchè con patologia psichiatrica o con disabilità, e anche le donne ex vittime di sfruttamento che continuano ad essere supportate specialmente le madri, anche se già in autonomia.
Infine negli ultimi 6 mesi del 2021, sono arrivate alle helpline della Comunità Papa Giovanni XXIII nel nord Italia, 100 richieste di aiuto. Nel 48,7% si tratta di donne vittime di violenza domestica, il 23,5% vittime di sfruttamento sessuale, il 21,7% vittime di un aborto forzato, e una piccola percentuale di vittime di matrimoni forzati. Nazionalità prevalenti: italiana, nigeriana, marocchina, albanese, bulgara. Nel 72,9% hanno chiesto aiuto donne di età compresa tra i 18 e i 34 anni e nel 41,9% si trattava di madri.
Per quanto riguarda gli autori di reato: nel 56,8% si tratta di mariti/compagni, nel 17,6% di parenti e nel 16,3% di sfruttatori/trafficanti. Nel 26,7% ha precedenti penali, nel 30% dei casi fa uso di sostanze.
La storia di R: solo insieme si può sfuggire alla violenza
R. è una donna di quasi 35 anni che tanti anni fa, come racconta, "ha vissuto l'inferno". Costretta a prostituirsi e ad affrontare un aborto forzato, oggi che è finalmente libera, moglie, madre e lavoratrice, lo ripete senza peli sulla lingua: «Solo insieme potremo proteggere le donne e i loro figli. Chi mi ha aiutato ad uscire dalla violenza mi ha fatto capire che Dio non ci lascia mai sole ma anche che ognuno deve fare la sua parte. La violenza non si può combattere con altra violenza. Così è per la guerra che oggi ci preoccupa molto. Così è ogni volta che un uomo maltratta una donna. Oltre a colpire lei, se madre, ferisce anche i suoi figli». Mentre ripensa ai giorni in ospedale per la prima gravidanza voluta ma a rischio a causa delle violenze subìte nella prostituzione, R. dà una pacca sulle spalle alla più piccola tra le donne sopravvissute che nel suo team, "alla pari", affiancano le migranti vittime di violenza. E le raccomanda che proprio i giovani devono essere cassa di risonanza per chi vorrebbe chiedere aiuto ma non sa a chi chiedere e dove andare, in un approccio aperto alle culture e alle differenze. E anche nel Report è spiegato a chiare lettere che è urgente «creare maggiori connessioni con comunità etniche e religiose, gruppi più vulnerabili e minoranze nelle aree più periferiche delle città e nelle campagne e anche di garantire informazioni sulla salute nelle lingue principali delle vittime di GBV e supporto di mediatrici», uno dei gap più evidenti ancora oggi in cui gran parte dell'Europa si prepara ad accogliere anche le donne coi bambini dall'Ucraina che di certo non sanno la nostra lingua.