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26 Maggio 2022

A Kiev, la fabbrica dei bambini per altri non si ferma

Un sogno chiamato bebé, la fiera dedicata alla riproduzione assistita attesa a Milano il 21-22 maggio 2022 rinviata di un anno. Mentre in tutti paesi del mondo la compravendita di neonati è un reato, prolifera il business dell'utero in affitto.
A Kiev, la fabbrica dei bambini per altri non si ferma
In Ucraina l'attività della "BioTexCom" non è stata fermata dalla guerra. Nei bunker di Kiev sono stati messi al "sicuro" i bambini, figli dell'utero in affitto. Le donne che li hanno partoriti, per contratto, li devono abbandonare alla nascita.
Abbiamo visto tutti i giorni immagini di donne e bambini che scappano dall’Ucraina martoriata, immagini di donne incinte ferite, e abbiamo avuto notizia di altre che sono morte. Mentre i combattimenti erano in corso, c'erano nei bunker antiaerei vicini a Kiev decine di neonati soli. 

Russia e Ucraina, figli di BioTexCom

Chi sono? Sono i figli dell’utero in affitto, procedura legittima in Russia e in Ucraina, dove in questi anni sono fiorite aziende che si occupano di fornire figli “belli e pronti” a chi può permettersi di pagare cifre consistenti. Questi piccoli non hanno a proteggerli una mamma o un papà, ma una società come la BioTexCom, specializzata nella cosiddetta Gpa, Gravidanza per altri. 
Le donne che li hanno partoriti sono costrette per contratto ad abbandonarli immediatamente. Ma se il bimbo non è ancora nato, le madri cosiddette portatrici non possono attraversare la frontiera verso luoghi più sicuri, perché se partorissero in uno dei paesi dove l’utero in affitto è illegale, come ad esempio la Polonia, il contratto non avrebbe più valore, e cedendo il bimbo a chi l’ha commissionato incorrerebbero in un reato. 
Una situazione analoga, sebbene assai meno drammatica, si era prodotta alcuni mesi fa, quando a causa dei blocchi dovuti alla pandemia, i voli per l’Ucraina erano stati interrotti. Anche allora decine di bambini in attesa di essere consegnati ai committenti erano stati parcheggiati in strutture improvvisate, senza poter avere accanto la mamma. 





Molte coppie italiane in cerca di un figlio

In queste condizioni di difficoltà emerge tutto il carattere innaturale e disumano della Gpa. Sono bambini nati su ordinazione, come oggetti. E come oggetti, benché preziosi, sono custoditi, grazie al contratto che garantisce l’acquirente sulla qualità del prodotto e sulla consegna.
In tutti i paesi del mondo la compravendita di neonati è un reato. L’utero in affitto invece non soltanto è legale in alcune nazioni, ma è sostanzialmente tollerato anche laddove è vietato dalla legge, come in Italia: basta pensare agli importanti leader politici e personaggi pubblici che hanno raccontato di aver fatto ricorso a questa pratica, senza incorrere nella disapprovazione generale, anzi proponendola dalle pagine di giornali e riviste come un’esperienza positiva e felice.
E come esperienza positiva, come opzione legittima, l’hanno proposta i promotori della fiera sulla fecondazione artificiale che si è tenuta a Parigi lo scorso settembre. Gli osservatori che hanno visitato gli stand hanno raccontato di una macchina organizzativa e commerciale perfettamente oliata, in cui la Gpa viene offerta come una qualunque variante della fecondazione in vitro, con dépliants patinati e corredati di foto accattivanti, e con l’indicazione dei costi. 

Nelle conferenze a cui si assiste, gli esperti legali chiariscono che anche se nel proprio paese la maternità surrogata è vietata, andando all’estero non si incorre in nessun reato, e si ha la sicurezza di essere registrati come genitori del bimbo una volta rientrati in patria, superando magari qualche difficoltà burocratica. 

Quanto costa un bimbo su commissione?

Le diverse opzioni implicano differenti costi: se vuoi scegliere le caratteristiche di chi offre i gameti, e quindi avere buone probabilità che il bimbo erediti capelli biondi e occhi azzurri, o anche un alto quoziente intellettivo, il prezzo lievita. 
Ma se ti accontenti di un embrione già bell’e fatto, puoi risparmiare parecchio. La madre surrogata che vive in Canada costa un po’ meno di quella residente negli Usa; se scegli la Russia o l’Ucraina risparmi ancora di più, se ti spingi fino ad alcuni paesi terzi, puoi concludere un vero affare. 
Va detto che le definizioni con cui viene indicata ufficialmente la pratica della Gpa evitano sempre di alludere al pagamento e sottolineano invece l’elemento di altruismo. 
La definizione “utero in affitto”, usata comunemente, è bandita, a favore di termini come “maternità surrogata”, “gravidanza per altri”, “gravidanza di sostegno”. 
In realtà l’altruismo c’entra ben poco, dato che la maternità surrogata è regolata da un contratto che prevede sempre, in forma esplicita o mascherata da rimborsi, un consistente passaggio di denaro. La donna che sottoscrive il contratto si impegna a cedere il figlio appena partorito ad altri, secondo modalità prestabilite e in genere molto dettagliate, che prevedono penalità nel caso di mancato rispetto. 
Quello che consente una diversità di atteggiamento tra il commercio di neonati e la maternità surrogata sono le nuove tecniche di fecondazione artificiale, che hanno stravolto la maternità e introdotto un profondo cambiamento antropologico nella procreazione. Tecniche che hanno separato il concepito dal corpo materno, trasformando l’embrione in un oggetto manipolabile in laboratorio, non più un un piccolo essere protetto dall’accogliente grembo di una donna. 
La maternità viene frantumata e suddivisa nei diversi segmenti funzionali. Per la prima volta nella storia dell’umanità alla parola “madre” dobbiamo accostare un aggettivo: c’è la madre genetica (che ha fornito gli ovociti) e quella gestazionale (che porta avanti la gravidanza e partorisce), mentre la madre legale, detta anche intenzionale, può non esserci del tutto se i committenti sono una coppia di maschi o un single.
L’organizzazione della Gpa prevede un numero elevato di persone che vi partecipano, tra fornitori di gameti, medici, biobanche, intermediari e consulenti legali, e avviene quasi sempre a livello transnazionale. Se quindi l’intera procedura può costare, negli Stati Uniti, 150 o 200 mila dollari, alla madre surrogata ne arrivano non più di 50.000. 

Madri surrogate in India

Non è facile, però, entrare direttamente in contatto con le donne che prestano l’utero, per sapere come vivono la loro esperienza. Quelle di paesi dove i diritti sono più garantiti, sono tenute da contratto a tacere o a fornire un quadro idilliaco della Gpa. Nella fiera di Parigi, per esempio, le testimonianze miravano tutte a costruire un’immagine in cui la madre surrogata è spinta soprattutto da impulsi generosi, e «fa parte della famiglia», pur abitando magari in un altro continente. 
Per aprire qualche squarcio di verità sulla pratica bisogna sfogliare le poche indagini esistenti, come il rapporto curato dal Center of Social Research, una ong di New Delhi che ha intervistato un centinaio di madri surrogate. È anche grazie a ricerche come questa che il governo indiano nel 2019 ha finalmente deciso di vietare l’utero in affitto nel paese, mettendo fine a un lucroso giro di affari. L’indotto complessivo era infatti stimato in circa due miliardi di dollari, una cifra enorme, in un contesto che diventava sempre più fuori controllo. Centinaia di cliniche erano sostanzialmente abusive, e il numero di bambini nati in questo modo era impossibile da conoscere. Il costo di ogni gravidanza surrogata in India oscillava tra i 10.000 e i 35.000 dollari, assai meno che in altri paesi. Le interviste hanno messo in luce una realtà di estremo bisogno e povertà, che si traduceva in una condizione femminile di quasi schiavitù.  Le donne reclutate erano semianalfabete, non in grado di capire fino in fondo le clausole dei contratti o i trattamenti a cui venivano sottoposte. Parlare di scelta per loro era una tragica farsa. L’indagine riguardava donne giovani, al massimo trentenni, ma che avevano già altri figli, per garantirne la fertilità. 
Il contratto era di solito stipulato a gravidanza avanzata, in modo che il committente potesse essere rassicurato sull’assenza di anomalie nel nascituro. Nel caso invece gli esami avessero rilevato problemi, la donna poteva essere obbligata all’aborto, e questa soluzione era prevista anche quando nel contratto era specificato il sesso desiderato, e il neonato era invece del sesso “sbagliato”. Ma se il bambino, nonostante gli esami, fosse nato disabile o con problemi di salute, poteva essere lasciato agli intermediari, che avrebbero dovuto provvedere a trovargli una collocazione. Far sottoscrivere l’accordo quando la gravidanza è già nel secondo trimestre mette ovviamente le donne in ulteriore condizione di debolezza, perché non si può più tornare indietro. Può accadere anche che una coppia commissioni il figlio a due donne diverse contemporaneamente, per avere una maggiore possibilità di scelta: se entrambe poi rimangono incinte, il committente può decidere di farne partorire una sola. 
Durante i fatidici nove mesi le future mamme indiane erano accolte in strutture residenziali apposite, luoghi a metà tra la fabbrica e l’ospedale, e seguite da personale esperto che garantiva che si nutrissero in modo equilibrato, vivessero in condizioni igieniche e sanitarie adeguate, non potessero contrarre malattie sessualmente trasmissibili attraverso rapporti con i mariti. Tutto doveva essere sotto controllo per garantire la qualità del prodotto e la soddisfazione del committente, secondo l’aurea logica commerciale per cui il cliente ha sempre ragione. 
In India la percentuale che spettava alle donne era solo l’1 o il 2% del pagamento effettuato dai genitori intenzionali. Una percentuale molto bassa, ma per queste donne e le loro famiglie era un aiuto insperato, per sopravvivere o fare studiare i figli. Contrariamente a quanto si racconta spesso, le madri surrogate non «fanno parte della famiglia», semplicemente perché i contatti con i committenti sono scoraggiati, per evitare accordi economici diretti che possano scavalcare gli intermediari. Anche le interviste raccolte dalla ong di New Delhi sono state fatte sempre alla presenza di personale dei centri di fertilità, che preferivano mantenere un certo controllo.

Un sogno chiamato bebé a Milano nel 2023

Il mercato dell’utero in affitto oggi, essendo rivolto prevalentemente a un occidente benestante, abituato alla democrazia e alla cultura dei diritti individuali, tende a orientarsi verso forme di sfruttamento meno clamorose, e cerca di darsi una veste più accettabile. Per questo è fondamentale la pubblicità, che convinca e abitui l’opinione pubblica a considerare questa pratica una cosa normale e non un abuso. La propaganda è l’anima del commercio, si dice, e la fiera organizzata a Parigi, che pare abbia avuto un buon successo, sarà replicata in altre grandi città europee, Berlino, Monaco, Amsterdam, e anche a Milano, dove doveva svolegrsi alla fine di maggio, con il titolo “Un sogno chiamato bebé”, rinviata nel 2023
In Italia le proteste, però, sono già fioccate, sia da parte di organizzazioni femministe che cattoliche, anche perché nel nostro paese, grazie alla legge 40, è vietato non solo praticare la Gpa, ma anche pubblicizzarla. Gli organizzatori temono contestazioni, ma non demordono: business is business. Anche quando avviene sulla pelle dei bambini e delle donne.