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24 Gennaio 2019

Abbiamo accolto Mosè

L'esperienza di affido vissuta da una famiglia normale
Abbiamo accolto Mosè
Foto di Caterina Balocco
Metti caso che oramai i bambini non siano più tanto bambini, anzi, sono cresciuti di botto sotto gli occhi, seppur attenti, dei genitori.
Metti caso che il più piccolo, per modo di dire, sia già in terza media, la ragazzina alle superiori e il più grande guidi già la macchina. Ad un tratto, quando tutto sembrava aver trovato un nuovo equilibrio, Marco e Alessandra si ritrovano ad affrontare una “nascita” inattesa.
Pannolini, biberon, notti in bianco. Solo che non hanno i nove mesi per prepararsi, il piccolino arriverà domani.
Una storia che tinge di azzurro anche noi di Sempre, dato che Marco fa parte della redazione del nostro giornale, e quindi per raccoglierla è bastato andare... alla scrivania accanto. 

Una proposta inaspettata

Era un caldo pomeriggio d'estate. il telefono di Marco squilla. È Ugo Ceron, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII per la zona Veneto Ovest. «Accogliere un bambino? Ha quasi tre mesi? Meglio se parli con mia moglie – risponde Marco –. Se ti dice sì lei, siamo a posto». Pochi minuti dopo la richiesta giunge ad Alessandra. «L'ho considerata una proposta che poteva essere molto bella per tutti noi». Il suo cuore di mamma si mette in moto immediatamente, pensa ai figli cresciuti tra le braccia sue e del marito, e non può permettere che un bambino, tanto più se così piccolo, cresca solo, magari in una comunità con operatori a turno.

Prima di prendere qualsiasi decisione sulla new entry in famiglia,  Marco ed Alessandra consultano i tre figli, di 19 anni, 15 e 13 anni. Avevano tempo solo fino al mattino seguente per pensarci. «I pareri sono stati positivi, con varie gradazioni di entusiasmo» racconta Marco.
Passata la fase istruttoria, bisogna pensare agli aspetti tecnici e organizzativi. Un bimbo che ha meno di tre mesi necessita di supporti ben diversi da quelli dei figli adolescenti. «Così abbiamo messo in moto tutti i nostri contatti: dal Centro Aiuto Vita, presente nel nostro quartiere, alla comunità di cui facciamo parte, per trovare passeggino, seggiolino, biberon, e tante altre cose che avevamo perso di vista».
«Io ho chiesto subito la collaborazione di mia suocera, che già mi aveva aiutato con i figli. Qui abbiamo toccato con mano la bellezza di avere una famiglia allargata» spiega Alessandra, insegnante di religione al Liceo. Ama il suo  lavoro, ma non ha avuto alcuna esitazione a metterlo temporaneamente in secondo piano perché «un bambino così piccolo ha bisogno di una mamma e di un papà per crescere bene». Come fare? Chiede consiglio ad una mamma affidataria e scopre che il “congedo di maternità” è previsto anche per i genitori adottivi e affidatari. Così per qualche mese potrà prendersi cura a tempo pieno del piccolino.

Il nome e la storia del bambino ovviamente non li possiamo rivelare. Ma per noi Alessandra, forse per deformazione professionale, ha deciso di chiamarlo Mosè. «Come il personaggio biblico è stato consegnato dalla sua mamma nelle mani di qualcuno che se ne prendesse cura». Con questo gesto ha voluto salvarlo, «ha voluto dare la possibilità al bambino di avere una vita piena».
Così del piccolo Mosè si sono occupati i servizi sociali, che hanno voluto fin da subito farlo crescere in una famiglia, in attesa della decisione sul suo futuro che verrà presa dal giudice del Tribunale per i minorenni. 

Un’esperienza che ringiovanisce e rinnova

Riabituarsi ai ritmi di un piccolissimo in famiglia ha portato un po' di scompiglio. Poppate, perdita di sonno, zero tempo libero: era tutto riposto nel cassetto della memoria di Marco. «Seppur Mosè sia bravissimo, avere il sonno interrotto a 25 anni, l'età che avevo quando è nato il mio primo figlio, non è la stessa cosa che a 45, pesa un po' di più, ma è bellissimo. Comunque cerco di essere presente e dare un rapporto di qualità».
Anche i figli della coppia non sono immuni dal rimettersi in gioco e sentono di contribuire  all'affidamento. «È un dono bellissimo l'accoglienza di un neonato, ricca di meraviglia, a qualsiasi ora del giorno – ribadisce entusiasta la mamma di famiglia –. Ed è fonte di vitalità anche per i figli accudire un bambino. Cresce il loro senso di accudimento e responsabilità». «Sono ragazzi adolescenti e il rapporto con lui li aiuta a superare se stessi. Se sono arrabbiati per le loro cose, con lui passa tutto» è l'opinione di Marco.

Un'esperienza che la coppia consiglia a tutti. Anche se ci sono già dei figli grandi, perché  «ringiovanisce e rinnova». Certo, sanno che Mosè non rimarrà per sempre.  Ma Marco e Alessandra sono attrezzati a questo, in passato hanno già avuto altri affidi. Ciò che conta, dicono, «è che pensiamo come se lui dovesse andar via e viviamo come se lui non dovesse andar via mai».