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5 Marzo 2024
Ultima modifica: 6 Marzo 2024 ore 14:24

L'aborto entra nella Costituzione. Ma non è un diritto umano

Avvocato esperto di diritti umani spiega il significato della scelta francese, le ricadute sul diritto internazionale, e denuncia la mancanza di una tutela efficace della maternità.
L'aborto entra nella Costituzione. Ma non è un diritto umano
Foto di EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON
La Francia è il primo Paese al mondo a inserire nella Costituzione il diritto ad abortire. Ma si tratta di uno dei diritti umani tutelati dalle norme internazionali? No, secondo l'avvocato che da anni si occupa di questi temi: «Non esiste e non potrebbe esistere il diritto a interrompere il divenire di una vita».

La Francia modifica la Costituzione per far entrare l’aborto tra i diritti garantiti. Lo ha deciso ieri il Parlamento riunito in seduta comune, approvando a larghissima maggioranza un comma inserito nell’art.34 della legge costituzionale: «La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà della donna, che le è garantita, di fare ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza».
È il primo Stato al mondo a compiere questa scelta, dunque si tratta di un passo “storico” che potrebbe avere ricadute anche al di fuori dei confini nazionali.
Ne parliamo con Laila Simoncelli, avvocato esperto di diritti umani.

La Francia è il primo Paese al mondo a includere nella Costituzione il diritto all’aborto. Che significato ha questo passo?

«È una scelta di una certa rilevanza storica, perché con l’inserimento in costituzione in qualche modo si vuole sottrarre al legislatore ordinario e alla contingenza delle legislature eventuali limitazioni o restringimenti all’accesso alla procedura dell’interruzione di gravidanza da parte delle donne. Contemplando questa “libertà di accesso” e la sua garanzia di attuazione nella legge fondamentale dello Stato e al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, ogni legge o regolamento inferiore non potrà discostarsi dalla coerenza dell’indicazione costituzionale.»

Sarà comunque la legge ordinaria a stabilire in che modo questo diritto va reso attuativo. Perché metterlo nella Costituzione?

«Certamente la legge ordinaria avrà il suo spazio importante nell’implementazione di questa libertà, ma averla configurata costituzionalmente, oltre ad imprimerle una specifica autorevolezza per la forza di coesione, di consenso e di maggioranza parlamentare con cui vengono approvate le leggi costituzionali – la cosiddetta procedura rafforzata – la renderà pressoché inattaccabile da eventuali governi che volessero ad esempio cambiare le leggi che depenalizzano a certe condizioni l’interruzione della gravidanza o che ponessero ostacoli eccessivi al suo accesso.»

Il diritto all’aborto è considerato uno dei diritti umani garantito dal diritto internazionale?

«Assolutamente no, non esiste e non potrebbe esistere il diritto a interrompere il divenire di una vita. Il diritto alla vita è uno dei diritti umani fondamentali e coessenziali alla stessa convivenza umana, significherebbe sovvertire completamente il sistema dei diritti fondamentali. I diritti sono interdipendenti tra loro ed è sufficiente violarne uno perché si realizzi il cosiddetto effetto domino. Viene confuso spesso questo aspetto e mentre nella vulgata si parla impropriamente di diritto, più correttamente dovremmo parlare semmai di diritto di accesso alla procedura autorizzativa alla IVG, avendo ben coscienza che qui parliamo di una autorizzazione subordinata a requisiti e situazioni specifiche che fungono da “scriminante” rispetto ad una condotta diversamente punibile.»

C’è la possibilità che la scelta francese possa indurre altri Paesi ad imitarla o possa influire sul diritto internazionale?

«Chiaramente quando un Paese con una lunga tradizione democratica prende certi indirizzi costituzionali può inevitabilmente suscitare riflessioni e condizionamenti, anche se a livello internazionale non credo possa influire molto: questo è già un tema su cui nel consesso delle Nazioni Unite si discute da tempo e anche le posizioni dei vari Paesi europei sono note. La reale influenza di un Paese o un altro nei contesti internazionali è molto variabile nel tempo e nelle contingenze storiche e ciò che fa sempre la differenza sono “gli assi di blocco”, cioè le alleanze fra Stati.»

La Comunità Papa Giovanni XXIII, come altre organizzazioni, sostiene il diritto a non abortire, denunciando che spesso la donna è condizionata ad abortire da pressioni di terzi, o da condizioni avverse come la povertà, la mancanza di lavoro, la mancanza di aiuti. Questo diritto oggi è garantito a livello internazionale?

«In tutto il mondo la gravidanza e il parto sono eventi di grande importanza, con un profondo significato personale e sociale che incide sulla vita delle donne, delle famiglie e delle comunità. ll benessere delle madri e dei loro neonati è interdipendente ed influenzato dalla presenza o meno di un adeguato sistema di supporto durante la gravidanza, il parto ed il post parto, periodi nei quali possono vivere una condizione di emarginazione. Ci sono diversi strumenti normativi a livello internazionale come la Convenzione n. 183 del 2000 sulla protezione della maternità, la Convenzione sui diritti delle donne, sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, sui diritti dell’infanzia, sui diritti delle persone con disabilità, la Convenzione di Istanbul a livello europeo, oltre agli obiettivi dell’Agenda 2030, ma ovviamente ciò che conta è come questi strumenti vengono implementati e attuati dalle legislazioni dei vari Paesi, e le realtà sono molto diverse tra le varie nazioni. C’è ancora davvero tanto da fare perché il diritto alla vita e il diritto alla prosecuzione della gravidanza sia garantito nel mondo. Occorrerebbe una vera e propria Carta dell’assistenza Internazionale alla maternità.»

E in Italia?

«L’Italia purtroppo in generale investe per la famiglia poco più della metà di quanto investono i Paesi più virtuosi in Europa e, anche dopo l’introduzione dell’Assegno Unico Universale (AUU), resta al di sotto della media europea, che si attesta al 2,5% del PIL.  Per quanto poi riguarda la maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, non si può tacere che ci sono tante problematiche ancora da affrontare; se da un lato c’è una forte tutela della libertà di accesso alla procedura, mancano invece ai consultori gli strumenti adeguati per realizzare davvero ciò che la stessa Legge 194/78 prevede come prerequisito autorizzativo, e cioè l’aiuto alla rimozione delle cause che portano la donna alla interruzione con tutti i sostegni del caso, psicologico economico e sociale. Secondo dati internazionali, confermati anche dai dati raccolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII attraverso il Numero Verde nazionale 800035036, una donna su 4 è vittima di una qualche forma di violenza di genere che la costringe ad abortire; a questo si aggiunge la pressione della  violenza sociale strutturale, con le sue profonde diseguaglianze che si traduce, oltre che  in pressioni sociali comunque fortissime verso le gestanti e le donne che hanno una gravidanza in corso, in quell’inverno demografico che nel nostro Paese non ha mai avuto precedenti.»