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4 Gennaio 2024
Ultima modifica: 12 Gennaio 2024 ore 11:26

Come l'amore irrompe

La storia di una coppia che di fronte alla disabilità della figlia ha accolto la sfida ad amare ancora di più
Come l'amore irrompe
Foto di StockSnap da Pixabay
Dal libro "Sa amare chi sa perdere" un racconto di coraggio di due giovani sposi. Leggi il libro!
Stefano ha 16 anni e poca voglia di studiare, non è una testa bacata né un cercarogne, ma sui libri non ci sa stare. «E poi cosa c’è di così strano? Non avrò voglia di usare il cervello, ma con mani e piedi non mi batte nessuno», si ripeteva da solo di tanto in tanto. Stefano giocava a calcio con l’alterigia di un campione e la destrezza del fuoriclasse. Di poche parole anche in campo, smistava i palloni con precisione millimetrica e sbagliava poco. Restava nel suo, sapeva il fatto suo e aveva voglia di vincere e basta, poche chiacchiere. È pur vero che d’improvviso s’accendeva come un vulcano in eruzione; bastava un fuori gioco sbagliato, una svista dell’arbitro, una gamba tesa di troppo e l’incredibile Hulk che teneva nascosto sotto la camicia si stracciava le vesti e usciva violentemente allo scoperto. Ma nella vita era maestro di fair-play. L’avrebbe giurato Stefania, disinvolta, concreta, con un approccio alla vita sereno, poche storie, poche paturnie mentali e gesti significativi. Stefania a soli 15 anni aveva conquistato il cuore di Stefano. I due sapevano di promessa, portavano il sapore della fedeltà.

Come nasce un amore indistruttibile

Stefano tornava a casa con le mani sporche e le unghie nere, s’imbrattava del grasso dei motori. Da quando aveva deciso di chiudere i libri aveva cominciato a ficcare la testa nei pistoni delle auto fino ad arrivare a fare il garzone del cugino carrozziere. A Stefania importava poco perché guardava altro. Amava quelle mani sudicie perché sapevano accarezzare, creare, aggiustare…Stefano metteva a posto tutti i pezzi della vita di Stefania. Non solo. Anche Stefania metteva pace nella storia di Stefano, perché si sentiva amato e ogni ferita d’infanzia quell’amore aveva cicatrizzato.



Sembravano una coppia fatta, di quelle mature e navigate da anni, di quelle coppie che non si sarebbero fatte scalfire da nessuno. Niente avrebbe mai potuto mettere a repentaglio le solide basi del loro amore e i modesti progetti che si portavano dentro: una famiglia normale, qualche figlio, gli amici, il lavoro…progetti basici senza troppi slanci, proprio in linea con il loro stile minimale. Il passo per convolare a nozze fu breve, di lì a poco i due ragazzini si ritrovarono maggiorenni e con la fede al dito. 
Stefano aveva l’indole del programmatore, si sentiva sicuro tenendo tutto sotto controllo e cercando di mettere nel conto anche l’imprevisto. Stefania amava stare in silenzio. A volte sostava incantata ad ammirare il marito e di tanto in tanto tirava fuori imprevedibili gesti di esuberanza. Scuoteva l’impostazione tutta ingessata del suo uomo, così tanto per alleggerire il loro amore perché non si risolvesse solo in una lista di responsabilità, ma si sciogliesse di tanto in tanto in una sonora risata.
Alla giovane famiglia sembrava si potesse pianificare ogni cosa e ogni evento e programmare l’odg della giornata era l’appuntamento di tutte le colazioni. Il tran tran quotidiano, il lavoro di lui e le faccende di lei, le passeggiate serali e una birra con gli amici, era tutto ciò che desideravano e non aspiravano ad altro. 
In questa modesta andatura, si snocciolavano le giornate dei due sposi, poche cose e ben fatte, senza desideri più grandi di loro. 
Eppure in questa pacata ed ammirevole modestia che rendeva Stefano e Stefania assolutamente invisibili nell’universo, uno strale si stava precipitando, come se qualcuno dalla galassia di fianco avesse preso la mira per puntare proprio su di loro e colpirli al cuore della loro sponsalità. 

L'arrivo della figlia che sconvolge i piani

Stefania era incinta e alla sera, appena rientrato a casa, l’imperturbabile Stefano si scioglieva come neve al sole in un’esondazione di tenerezze che mai ci si sarebbe aspettati. Con la mano, accuratamente lavata dal grasso delle auto riparate, accarezzava il pancione di Stefania a cercare qualche capriola del piccoletto. E poi si stendeva sulle sue gambe con l’orecchio teso a captare battiti sommessi. Ma proprio all’ultimo controllo si scagliò quel malefico strale che colpì ferocemente i cuori di mamma e papà: «Dobbiamo ricoverarla subito per ulteriori accertamenti, il feto non presenta l’encefalo». In un febbrile e frenetico susseguirsi di pensieri, di corse, di ansie, di notizie e di smentite, di telefonate rapide e lacrime, in un combattimento intimo di sentimenti indecifrabili e contrastanti che mai avevano abitato gli animi dei due sposi, come pesanti battiti di orologio i referti medici cadenzavano il tempo e i loro sospiri. Non c’era proprio nulla da fare, la piccola Giada era anencefalica. Uno scompiglio gigantesco abitava i cuori di Stefano e Stefania, il loro stato d’animo era sottosopra, messo a soqquadro da un’ecografia che aveva derubato quell’ordinarietà modesta e silenziosa che non avrebbe infastidito mai nessuno. E invece proprio loro, si sentivano colpiti da un’ingiustizia immotivata, sferzati da un colpo violento, messi a nudo di fronte al mondo e d’un tratto esposti al pubblico compianto, proprio loro che solevano passare inosservati e del loro passo non lasciavano orma. Si scatenano un’immensità di guerre interiori, come brufoloni purulenti si sfogano sottopelle emozioni sconosciute difficili da tenere a bada. Vigilare sui sensi di colpa si rivela un’impresa perduta in partenza.
Con il morale a terra si aggrappano all’unica certezza, Giada. Sì perché di fatto a nessuno dei due aveva mai attraversato l’insidioso pensiero di farne a meno, di sentirsi ancora due solo per un encefalo di meno in famiglia. Giada era comunque un dono, non una disgrazia. La loro disperazione non raccontava la sfiga precipitata in famiglia, ma il disarmo di fronte al dolore che, di lì a poco, avrebbe dormito nella culla di fianco al lettone. Giada era uno sconquasso nella famiglia, nessuna pianificazione avrebbe più avuto diritto di residenza in quella giovane coppia. Ogni previsione sarebbe stata inesorabilmente smentita, ogni progettazione depennata.

Giada è un dono

Ma Giada restava un dono, non altro. E se lo dissero pure, un giorno che Stefano, solitamente taciturno, d’improvviso prese la parola e cominciò a dire: «Giada è mia figlia, nostra figlia. Io non voglio vivere nella vergogna, non mi voglio far vincere dall’imbarazzo. A chiunque mi chiederà, io dirò che lei è la mia principessa, perché così è. È il nostro angioletto, una meraviglia ai nostri occhi, perché nasconderci? Perché compiangerci? Ci hanno detto che avrà la vita breve, embè? Cosa cambia? È pur sempre la sua vita, quanto duri a noi non importa. Lei è fragilissima e ancor di più merita tutto il nostro amore e ancora di più, tutte le nostre attenzioni e ancora di più, le nostre cure e altro ancora. Non mi stancherò mai di ripeterle che è bellissima ed è la figlia che tutti avrebbero desiderato, che di meglio non avremmo potuto sperare. La vestiremo alla moda, tutta “stilosa” come dici tu, anche se potrà uscire poco di casa, non importa, sarà sempre impeccabile, come tutte le principesse. Le faremo milioni di carezze e le daremo miliardi di baci, le canteremo le canzoncine della Zecchino d’Oro anche se non sapremo mai quanto sarà capace di ascoltare, le insegneremo a dire “mamma” e “papà” anche se non sarà mai capace di parlare.



La metteremo nel lettone finché non si addormenta e poi io la prenderò e la metterò nella sua culla, attaccandola ai suoi macchinari per i parametri vitali. Un giorno forse riuscirà a togliere il sondino nasogastrico e le daremo la frutta omogeneizzata più buona del mercato… e se dovrà portare a vita il sondino mi sporcherò il dito con un briciolo di pera e le farò sentire il gusto della frutta fresca. Stefania, lei non è la nostra disgrazia, non è colpa tua se è malata, né colpa mia. Non le facciamo vivere una vita sfortunata, non trattiamola da sfigata, forse è proprio un dono. Io aggiusto le macchine, non sono pratico di Dio e la Chiesa l’ho lasciata alla cresima e ci sono rientrato solo per sposarti, ma questa figlia così bella e delicata mi fa sentire amato da Dio, non so perché. Domani le comprerò due cuscini di seta così potrà riposare meglio».

Nella culla accanto al lettone

Stefania ascoltò in silenzio. Non aveva mai sentito un discorso così lungo dalla bocca di Stefano. Quella sera andarono a letto sereni, si affacciarono ancora una volta sulla culla di Giada, controllarono che il sondino fosse a posto, che il sensore per l’ossimetria non si fosse dislocato e riposarono. Nessuno avrebbe mai immaginato che quanto agli occhi di alcuni risultava deprecabile ed inutile, come il corpicino esile di Giada e la sua vita ad orizzonte corto, per i suoi genitori divenne motivo di Grazia. I due si sentivano prescelti da Dio per aver meritato un così inestimabile dono: il corpo fragile di Giada. Non fu facile, né immediato. Quante lacrime e parole furono raccolte da quel lettone. Mai si sarebbe pensato di consultare il letto matrimoniale come fosse l’enciclopedia degli sposi dove trovare risposte e consolazioni. Nel momento in cui si ritrovarono perdenti, Stefano e Stefania si lasciarono amare da Dio. Nel vuoto delle loro esistenze, Dio le rese piene. Giada fu l’amore che irruppe nella loro mediocrissima quotidianità, spodestando abitudini consolidate, mandando all’aria appuntamenti programmati, rivoltando le loro personalità. Giada non aveva grandi argomenti, non aveva motivi di prevalsa. Giada irrompe come l’amore, e basta. E chi tocca, travolge.
Il mattino dopo Stefano uscì di casa e comprò due cuscini di seta.