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16 Dicembre 2022
Ultima modifica: 16 Dicembre 2022 ore 09:30

Affido familiare. Benedetta ha aperto il cuore della nostra famiglia

Una storia di straordinaria accoglienza
Affido familiare. Benedetta ha aperto il cuore della nostra famiglia
Foto di Susanne Jutzeler
Tre figli naturali e il desiderio di allargare ancora la propria famiglia. Elena e Andrea si sentono chiamati ad essere testimoni di come la vita sia meravigliosa nonostante i limiti. Una storia tratta dal libro "Portami a casa"

Siamo Elena e Andrea, sposi da 20 anni. Siamo stati subito grati al Signore per il dono della maternità e paternità con l’arrivo di Sara, Marco e Chiara. Eravamo già famiglia affidataria ma sentivamo che volevamo mettere Gesù al centro. La domanda che ci ponevamo di fronte ad una richiesta era: «Se io fossi in quella situazione cosa vorrei per mio figlio?» e la risposta era «Una famiglia!». Nella Comunità Papa Giovanni XXIII abbiamo trovato il modo per essere nel Signore a disposizione di chi ha bisogno di famiglia.

Una bambina stupenda ai nostri occhi

Nel 2012 abbiamo conosciuto persone che stavano cercando una famiglia per una piccola creatura, Benedetta. Una bimba speciale, con poche e incerte aspettative di vita, che soffriva di anencefalia parziale e idrocefalia complessa. Paroloni difficili che possono spaventare. Benedetta non vedeva, non parlava, non camminava, mangiava attraverso un tubicino (la Peg), stava in posizione sdraiata e la sua testa aveva la caratteristica di essere un po’ schiacciata per la posizione. Una bambina stupenda ai nostri occhi, non perfetta (chi di noi lo è?) ma ci siamo detti che fino a quando avrebbe lottato per vivere noi ci saremmo stati per lei. La bambina era di Roma e aveva due anni, era stata abbandonata dai genitori e gravemente malata. Con mio marito abbiamo riflettuto e capito che se rispondevamo no era solo per paura. E perciò con le gambe tremanti ma aggrappati a Lui abbiamo detto sì.

Non siamo infermieri, ma se serve una famiglia ci siamo

Siamo andati all’Ospedale Gemelli di Roma dove la piccola era ricoverata. Ci accolse l’équipe che la seguiva. I dottori si misero di fronte a noi ed iniziarono ad elencarci i gravi problemi di salute di Benedetta, una patologia dopo l’altra, una sfilza di nomi e problemi. Mi sentii sopraffatta e ad un certo punto interruppi il medico e dissi: «Se state cercando degli infermieri noi non lo siamo, ma se state cercando una famiglia eccoci qua». Il dottore chiuse la cartellina, guardò i colleghi, me e mio marito e disse: «Abbiamo trovato una famiglia per Benedetta».
Nei 4 anni che ha vissuto con noi, Benedetta è stata un ricettacolo di vita. I nostri figli non vedevano le imperfezioni ma le volevano bene. Mio figlio Marco ad un amico che gli chiese: «Quando guarirà?» rispose: «Non è mica ammalata, lei è così».
Con lei abbiamo sperimentato l’accoglienza della Vita. Noi abbiamo detto il nostro sì al Signore e lui ha mandato nella nostra vita Benedetta. Ad ogni suo compleanno le davo un bacino e le dicevo che quello era il bacio della sua mamma biologica. Abbiamo pregato tante volte per lei e ancora oggi lo facciamo. Quanto amore e dolore deve aver provato questa mamma, e forse ne prova ancora oggi.

Aveva la sua missione da compiere

Benedetta aveva la sua missione da compiere per noi e per chi la incontrava, alle volte dolcemente, alle volte più bruscamente. Ci sembrava quasi scegliesse le persone alle quali mostrare la sua sofferenza. A noi genitori era dato di vedere tutto e non sempre è stato facile. La cosa più difficile è l’impotenza di fronte alla sofferenza: mamma mia quanto è dura da vivere! Quanto male fa! Don Oreste Benzi diceva che per stare in piedi bisogna stare in ginocchio. Quanto è vero: per riuscire a stare sotto la croce, accanto alla sofferenza, bisogna stare in ginocchio. Ci sono volte che non riesci neppure a pregare, e allora sgrani il rosario che hai in tasca per ricordare che in Lui tutto si trasforma; ci sono altre volte che vedi qui il paradiso, il fare a gara dei fratelli per stare con lei, la naturalezza dei giovani nel guardarla, accarezzarla, amarla.
È stata una grazia avere il sostegno delle nostre famiglie, dei datori di lavoro che hanno sempre permesso ad Andrea di stare a casa quando c’era bisogno, i “fratelli” della Comunità Papa Giovanni XXIII con cui rileggere tutto in Dio, la comunità parrocchiale che fin da subito, grazie al sacerdote, ha accolto Benedetta preparando i giovani e i ragazzi al suo arrivo, e poi tanti amici che hanno pregato per noi.
I giovani sono stati la carezza più grande che il Signore ci ha donato: era una sorpresa vederli venire a casa nostra e stare con Benedetta. Di fronte ad una disabilità così grave non si sono fermati o spaventati. Qualcuno ci disse: «Vi castrate la vita», invece l’arrivo di Benny è stato un dono di apertura per noi e per tutti. Una comunità accogliente, una comunità che ti accompagna e non ti abbandona, fa ed è la differenza.

Fare festa per ogni giorno concesso in più

Nel dicembre del 2015 ricorreva il nostro 15° anniversario di matrimonio, e abbiamo fatto una festa per ringraziare il Signore e tutti quelli che in quel tempo ci stavano aiutando e pregavano per noi. Benedetta già non stava bene e da lì è stato un continuo peggioramento, la stabilità che fino a quel momento c’era stata ormai era persa. Il 16 gennaio, giorno del suo compleanno, non avevo voglia di festeggiare ma i miei figli organizzarono tutto dicendo: «Finché Benedetta c’è, noi facciamo festa con lei». È stato un giorno difficile per me, ma anche pieno di tanta Grazia. Abbiamo avuto la casa zeppa di amici, nonni e zii il giorno intero, e la sera i nostri amati giovani tutti a festeggiare rendendo lode a Dio per la sua esistenza. Il 7 Febbraio 2016 ricorreva la giornata per la vita e Benedetta è morta. Ha aspettato che tutti i fratelli la salutassero e alle 22.30 fra le mie braccia si è lasciata andare. Eravamo a casa grazie ai medici che ci seguivano e che volevano tanto bene a Benny. Non nego che domenica mattina quando ho sentito il medico e ho capito che non mancava molto mi sono un po’ arrabbiata: «Ma come, nella giornata per la vita io devo veder morire mia figlia?». Mi sembrava un brutto scherzo del Signore.

L'incontro con il papa

I giorni dopo ho capito: chi più di Benedetta poteva testimoniare l’accoglienza della vita? L’accoglienza di sua mamma che le ha dato il dono più grande mettendola al mondo, l’accoglienza di tutte le persone che l’hanno curata e amata quando era in ospedale, l’accoglienza nella nostra famiglia, della vita nelle cose belle accadute, della sofferenza, e anche l’accoglienza della morte vissuta nella pienezza di quello che stava avvenendo.
Benedetta ha anche incontrato Papa Ratzinger che si è fermato a lungo con lei e l’ha segnata in fronte con il segno della croce, dicendo: «Tu sarai Benedetta per sempre». 
L’ho capito i giorni dopo perché la nostra casa era piena di persone che volevano bene a Benny. Le chitarre suonavano, i ragazzi cantavano e pregavano di fronte al corpo di una bambina di 6 anni morta. Era possibile solo perché il Signore ha vinto la morte e lì si celebrava la vita, la vita in tutte le sue forme.

Vincere la paura

Noi la paura l’abbiamo avuta tante volte, tante volte ci sono tremate le gambe per Benedetta. A tutti i genitori di pancia e non, prima o poi, tremano le gambe. La paura è paura, fa mancare il respiro e sembra che tutto stia crollando, ma don Oreste diceva sempre che «Il coraggio non sta nel non avere paura ma nel vincere la paura per un Amore più grande». L’Amore più grande è l’amore che il Signore ha per noi. A Lui affidiamo la nostra vita ogni giorno, sapendo che Lui ci ama infinitamente. Durante la vita di Benedetta abbiamo imparato la bellezza e la sorpresa nel vedere la Provvidenza vissuta come dono di Dio, come sua carezza. Ora Benedetta continua a vivere in noi, perché al di là del dolore che c’è stato e c’è per la sua mancanza, c’è tutto il lavoro che la sua vita ha fatto in noi che abbiamo goduto della sua presenza. Ora siamo una famiglia con tre figli nostri e tre bimbi accolti, due dei quali con disabilità grave. Paolo Ramonda – il Responsabile generale della Comunità – ha detto che siamo diventati genitori di angeli senza saperlo e ha proprio ragione.
Benedetta ha aperto il cuore di tutta la famiglia, ci ha modellati, e di fronte alla necessità di famiglia per bimbi così belli e cosi speciali, proprio per tutto quello che abbiamo vissuto con lei, non possiamo dire di no. E allora rendo lode al Signore per averci reso famiglia privilegiata nell’essere risposta per questi bimbi e per le loro famiglie. 
Alla domanda: «Se io fossi in quella mamma che ama suo figlio tanto da dargli la vita ma non ce la fa, cosa vorrei?» La nostra risposta ora è essere a disposizione, poter essere indegnamente le mani di quella mamma per il suo bambino e poter dare lo spazio giusto a tutti affinchè le vite, tutte, vengano accolte e tutelate. Ce lo ha insegnato prima Benedetta e ora i bambini che stiamo accogliendo.

 Elena ed Andrea

Il libro

Questa testimonianza è tratta dal libro Portami a casa. Storie di straordinaria accoglienza, che può essere acquistato in libreria, oppure direttamente online presso lo Shop Apg23, oppure telefonando all'Editore allo 044225174