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2 Febbraio 2020

Aiuto al suicidio: la Corte detta le condizioni

Dopo il suicidio del Dj Fabo, estesa la libertà di autodeterminazione, ma chi tutelerà i più deboli?
Aiuto al suicidio: la Corte detta le condizioni
Foto di Parentingupstream
Non esiste un "diritto a morire", ma la Consulta ha ritenuto non punibile chi agevola il proposito suicida, autonomamente e liberamente formatosi, a determinate condizioni.
Il 22 novembre 2019 la Corte Costituzionale, con il deposito della sentenza n. 242, ha proseguito il percorso avviato un anno fa, quando con una ordinanza ha invitato il Parlamento a legiferare sul fine vita (esortazione disattesa). La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dai Giudici chiamati a giudicare Marco Cappato per aver rafforzato il proposito suicidario di Dj Fabo. 

Esiste il diritto di morire?

La Consulta ha affermato che non esiste un “diritto di morire”, bensì che dall’art. 2 Cost. e dall’art. 2 CEDU discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, soprattutto delle persone più vulnerabili. Ha ritenuto tuttavia non punibile chi agevola il proposito suicida, autonomamente e liberamente formatosi, a determinate condizioni. Ovvero nei casi in cui la persona: è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, è affetta da patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trova assolutamente intollerabili, resta capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Partendo dalla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (L. 219/2017), che consente al paziente di decidere di lasciarsi morire chiedendo l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale e la sottoposizione a sedazione profonda continua, ha dunque ampliato i margini della libertà di autodeterminazione individuale

Il medico deve aiutare chi si vuole suicidare?

Ci si chiede come si concili il principio di autodeterminazione, reso pressoché assoluto, con l’agire medico basato su valutazioni effettuate in scienza e coscienza all’interno della relazione di cura. Innegabile, inoltre, che tra le persone con volontà indebolita, di cui si parla nella prima parte della sentenza come da proteggere e  tutelare, siano ricompresi malati irreversibili esposti a gravi sofferenze. È evidente la delicatezza del terreno su cui poggia l’autodeterminarsi in situazioni di tale fragilità e il prendere decisioni libere e consapevoli in condizioni di così forte vulnerabilità. Appare generica la previsione della Consulta circa la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e le modalità di esecuzione affidate ad una struttura del SSN. 

Il medico può fare obiezione di coscienza?

Importantissima, infine, la previsione della Corte in riferimento all’obiezione di coscienza. Si sancisce che il medico non ha alcun obbligo di procedere all’aiuto al suicidio, ed innovando ed ampliando tale diritto, si affida la decisione al sanitario caso per caso. Disposizione che dovrà trovare  collegamento con le previsioni di cui alla L. 219/17.