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5 Febbraio 2020

Anche se brutto non lo butto. Intervista ad Andrea Segre, inventore di "Spreco zero"

Oggi si celebra la 7° Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco alimentare promossa dalla Campagna Spreco Zero. Gli italiani sprecano meno ma c'è ancora molto da fare.
Anche se brutto non lo butto. Intervista ad Andrea Segre, inventore di
Foto di Jasmin Sessler
È grazie ad Andrea Segrè che concetti come «spreco zero» sono arrivati nelle nostre case, anzi sulle nostre tavole. Nel 2014, in attesa della giornata europea, è riuscito a far istituire dal Ministero dell'Ambiente la Giornata nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare.
C’è un trend positivo che arriva dalla lotta alla spreco alimentare. A dieci anni dalla Campagna Spreco Zero, il Rapporto Waste Watcher 2020 di Last Minute Market, registra per la prima volta un calo nello spreco alimentare domestico di circa il 25%. Il lavoro di sensibilizzazione di questi dieci anni ha portato 7 italiani su 10 (68%) ad essere  più consapevoli nella gestione del cibo, mentre per il 24% l'attenzione non è cambiata.
Una famiglia italiana getta ancora prodotti alimentari per un valore di 4,91 euro alla settimana che sommati portano in totale ad una cifra di 6,5 miliardi all’anno e un costo complessivo di circa 10 miliardi di euro che include gli sprechi di filiera produzione/distribuzione 2020, oltre 3miliardi 293 milioni. 
 
È grazie ad Andrea Segrè che concetti come «spreco zero» sono arrivati nelle nostre case, anzi sulle nostre tavole. Nel 2014, in attesa della giornata europea, è riuscito a far istituire dal Ministero dell'Ambiente la Giornata nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare.
 
Ecco come si raccontava  a “Sempre” nel marzo del 2016. Economia circolare, spreco zero, progettazione. Tante idee ancora di estrema attualità. 

Chi è Andrea Segrè inventore di Spreco Zero?

Andrea Segre
Andrea Segrè, agronomo ed economista, docente di Politica agraria internazionale e comparata all'università di Bologna, l'uomo green dello “spreco zero”


Nasce nella città mitteleuropea di Trieste, circondato dalla pietra del Carso levigata dal mare e dal vento profumato di salsedine, che lascia per andare a Bologna dove aveva studiato il nonno, ed iscriversi ad Agraria. «Non sapevo neppure cosa significasse la parola “Entomologia”, lo studio degli insetti. Ma non è stato uno svantaggio, anzi, mi ha permesso di avere la mente aperta e libera». 
Inizia così la carriera di Andrea Segrè, agronomo ed economista, docente di Politica agraria internazionale e comparata all'università di Bologna, l'uomo green dello “spreco zero”. 
Sua è l'invenzione di Last Minute Market, un sistema di recupero sostenibile in cui il cibo in scadenza o ammaccato, buono ma brutto – perciò senza più interesse commerciale e destinato ad essere gettato – arriva nelle tavole di chi, in ristrettezze economiche, non guarda all'estetica ma alla sostanza delle cose. «Un sistema che coniuga solidarietà con sostenibilità» dice. Grazie a lui, concetti come «spreco zero» sono arrivati nelle nostre case, anzi sulle nostre tavole. 
Nel 2014, in attesa della giornata europea, è riuscito a far istituire dal Ministero dell'Ambiente la Giornata nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare, celebrata il 5 febbraio.  Perché, secondo il nostro professore, c'è bisogno di una forte azione culturale. «Un modo per entrare nel mondo del consumo e dei consumatori e farli riflettere». 

Segrè ci riporta all'essenza delle cose, complice anche la crisi economica che ha segnato il Paese e ci ha costretto a rivedere il nostro stile di vita. «Il rifiuto del cibo difettoso, invenduto, porta al rifiuto dell'altro, del diverso – spiega –. Se insegno educazione alimentare insegno anche il rispetto dell'altro, dell'identità, della diversità». Ma se il cibo è una cosa così preziosa, bisogna «farne un uso responsabile, partendo dalla lista della spesa, passando dal frigorifero al fornello, per arrivare alla raccolta differenziata». 
Al secondo piano di quello che sarebbe dovuto diventare il grande Centro direzionale del centro agro alimentare di Bologna, riconvertito a campus della facoltà di Agraria e Veterinaria, si trova l'ufficio del professor Segrè. 


Da quando le è venuto il pallino dello spreco zero?
«Ho visto tanti sprechi nei miei viaggi nei paesi dell'Est e in quelli in via di sviluppo per conto di varie istituzioni italiane e internazionali. Ma è stata mia madre ad aprimi gli occhi, mostrandomi l'antico decalogo dei Lussignani dell'800, manifesto di una società contro lo spreco, che a casa mia veniva applicato alla lettera. Un inno alla sobrietà che mi porto dentro: in sostanza diceva di non lasciare nulla nel piatto, di spegnere le luci, ribaltare i cappotti, addirittura anche le cravatte». 


Lei ha mai lasciato niente nel piatto?
«Io non ero molto amante della carne e il bolo passava da una guancia all'altra, ma ad un certo punto, se volevo alzarmi, dovevo mandarlo giù. Sono stato educato così. È tutta una questione culturale. Mi domando perché si sprechi tanto cibo, non solo in Italia ma anche in Europa e nel resto del mondo, anche se in proporzioni diverse». 


Si è dato una risposta?
«Ho trovato un punto di riferimento per quanto riguarda l'Italia. L'anno di grazia è il '63, quando si è tolto dalle scuole l'insegnamento dell'economia domestica che venne sostituita, con la crescita boom, dall'applicazione tecnica. È come se da allora, con la perdita di questa disciplina che oggi chiamerei educazione alimentare, avessimo perduto 50 anni di DNA di cultura della casa, della spesa, del cibo che piano piano, più che nutrire lo stomaco, è diventato merce come le altre». 


Quanto sprechiamo?
«Secondo i dati dell'osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market, metà dello spreco sta a casa nostra. Quello che non si può recuperare diventa rifiuto, che va smaltito con un costo economico ed ecologico, perché a smaltire i prodotti si inquina. L'unica azione da fare è la prevenzione che si fa con l'educazione. LMM propone che l'educazione alimentare venga insegnata nelle scuole a partire dalle materne». 


Lei è docente, ma è tante altre cose. 
«Aver raggiunto l'ultimo gradino della carriera universitaria per me non era la fine ma solo l'inizio: mi ha permesso di avere un approccio universale alla scienza, di spaziare in altre discipline. L'economia del dono, che per me era una contraddizione, un ossimoro, non poteva esistere. Non sarei riuscito a mettere su un sistema che coniughi sostenibilità e solidarietà, se qualcuno non mi avesse spiegato cos'è un valore di relazione tra chi dona e chi riceve e se non avessi avuto la possibilità di vederlo in funzione. È impagabile. È un mestiere bellissimo, pagato in modo dignitoso. C'è solo da essere soddisfatti e restituire quello che uno ha». 


Nel libro Vivere a spreco zero lei dice che recuperare le eccedenze va bene ma questo non deve giustificare lo spreco.
«Sono due strade che devono andare in parallelo: recuperare e prevenire. Per quanto ci sia una buona legge, per quanto riesca a recuperare, non riuscirò mai a recuperare tutto. Preferisco concentrarmi sulla prevenzione: facendo funzionare meglio il sistema risparmierò risorse economiche e risorse naturali per risolvere il problema di chi ha fame. Che non si risolve dando gli avanzi del ricco sprecone ai poveri. Ma non tutti condividono questa visione». 

La crescita secondo Segrè.


Economisti e politici dicono che per uscire dalla crisi bisogna tornare a crescere. Che ne pensa? 
«Dipende da cosa si intende per crescita. Se la decliniamo in modo sostenibile, mi va bene. L'importante è capire che l'economia non funziona più in modo lineare: produrre, produrre, produrre, con la conseguente obsolescenza programmata dei prodotti. Dobbiamo passare ad un'economia circolare, recepita nel 2014 anche dalla Commissione dell'Unione europea. È l'economia della natura, dove i rifiuti diventano risorsa per un'altra specie. Chiamiamola intelligenza ecologica, crescita sostenibile, economia circolare. La soluzione c'è già, basta metterla in pratica». 


Per andare avanti dobbiamo tornare indietro?
«Tornare indietro non ha senso e non sarebbe possibile. Bisogna andare avanti consapevoli che ci muoviamo in modo circolare. Usare bene le risorse del tempo, e nel tempo c'è armonia e musica. Un pensiero che approfondisco nel mio libro Economia a colori». 


Ha letto la Laudato si' di Papa Francesco?
«Un documento politico globale straordinario. Entra nella parte ecologica, pone tutti i problemi del nostro tempo in modo molto lucido. Viene fuori quello che ho sempre pensato: che l'economia deve stare dentro l'ecologia. Il Papa la chiama ecologia integrale, io a suo tempo l'ho chiamata ecologia economica. Mettendo a raffronto le due case: l'economia, che sarebbe la nostra casa, deve stare dentro i confini dell'ecologia, che sarebbe il mondo, la grande casa». 


Nei suoi studi lei richiama la necessità di una progettazione di lungo periodo, mentre chi va al governo cerca il consenso immediato.
«Questo è il problema. Purtroppo la politica da un po' di tempo ha una visione corta, cortissima, invece noi dobbiamo guardare avanti, oltre. Nel mio ruolo tecnico–scientifico ho la totale libertà di guardare un orizzonte e proporre delle azioni che hanno effetti di lungo periodo. Come uscirne non saprei, speriamo che sia un ciclo della nostra storia».


È possibile davvero realizzare una società a spreco zero?
«Una società a spreco zero è un'occasione di riscatto, in cui il cibo diventa un diritto per tutti. Utopia? L'importante è che riusciamo a vederla. “L'utopia è come l'orizzonte – diceva Eduardo Hughes Galeano –: cammino due passi e di due passi si sposta. Mi avvicino di dieci e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. Una visione che diventa la tua, la nostra, un sentire comunitario e un camminare insieme per raggiungerlo. Già questo sarebbe un risultato». 


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