Da quando le è venuto il pallino dello spreco zero?
«Ho visto tanti sprechi nei miei viaggi nei paesi dell'Est e in quelli in via di sviluppo per conto di varie istituzioni italiane e internazionali. Ma è stata mia madre ad aprimi gli occhi, mostrandomi l'antico decalogo dei Lussignani dell'800, manifesto di una società contro lo spreco, che a casa mia veniva applicato alla lettera. Un inno alla sobrietà che mi porto dentro: in sostanza diceva di non lasciare nulla nel piatto, di spegnere le luci, ribaltare i cappotti, addirittura anche le cravatte».
Lei ha mai lasciato niente nel piatto?
«Io non ero molto amante della carne e il bolo passava da una guancia all'altra, ma ad un certo punto, se volevo alzarmi, dovevo mandarlo giù. Sono stato educato così. È tutta una questione culturale. Mi domando perché si sprechi tanto cibo, non solo in Italia ma anche in Europa e nel resto del mondo, anche se in proporzioni diverse».
Si è dato una risposta?
«Ho trovato un punto di riferimento per quanto riguarda l'Italia. L'anno di grazia è il '63, quando si è tolto dalle scuole l'insegnamento dell'economia domestica che venne sostituita, con la crescita boom, dall'applicazione tecnica. È come se da allora, con la perdita di questa disciplina che oggi chiamerei educazione alimentare, avessimo perduto 50 anni di DNA di cultura della casa, della spesa, del cibo che piano piano, più che nutrire lo stomaco, è diventato merce come le altre».
Quanto sprechiamo?
«Secondo i dati dell'osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market, metà dello spreco sta a casa nostra. Quello che non si può recuperare diventa rifiuto, che va smaltito con un costo economico ed ecologico, perché a smaltire i prodotti si inquina. L'unica azione da fare è la prevenzione che si fa con l'educazione. LMM propone che l'educazione alimentare venga insegnata nelle scuole a partire dalle materne».
Lei è docente, ma è tante altre cose.
«Aver raggiunto l'ultimo gradino della carriera universitaria per me non era la fine ma solo l'inizio: mi ha permesso di avere un approccio universale alla scienza, di spaziare in altre discipline. L'economia del dono, che per me era una contraddizione, un ossimoro, non poteva esistere. Non sarei riuscito a mettere su un sistema che coniughi sostenibilità e solidarietà, se qualcuno non mi avesse spiegato cos'è un valore di relazione tra chi dona e chi riceve e se non avessi avuto la possibilità di vederlo in funzione. È impagabile. È un mestiere bellissimo, pagato in modo dignitoso. C'è solo da essere soddisfatti e restituire quello che uno ha».
Nel libro Vivere a spreco zero lei dice che recuperare le eccedenze va bene ma questo non deve giustificare lo spreco.
«Sono due strade che devono andare in parallelo: recuperare e prevenire. Per quanto ci sia una buona legge, per quanto riesca a recuperare, non riuscirò mai a recuperare tutto. Preferisco concentrarmi sulla prevenzione: facendo funzionare meglio il sistema risparmierò risorse economiche e risorse naturali per risolvere il problema di chi ha fame. Che non si risolve dando gli avanzi del ricco sprecone ai poveri. Ma non tutti condividono questa visione».
Economisti e politici dicono che per uscire dalla crisi bisogna tornare a crescere. Che ne pensa?
«Dipende da cosa si intende per crescita. Se la decliniamo in modo sostenibile, mi va bene. L'importante è capire che l'economia non funziona più in modo lineare: produrre, produrre, produrre, con la conseguente obsolescenza programmata dei prodotti. Dobbiamo passare ad un'economia circolare, recepita nel 2014 anche dalla Commissione dell'Unione europea. È l'economia della natura, dove i rifiuti diventano risorsa per un'altra specie. Chiamiamola intelligenza ecologica, crescita sostenibile, economia circolare. La soluzione c'è già, basta metterla in pratica».
Per andare avanti dobbiamo tornare indietro?
«Tornare indietro non ha senso e non sarebbe possibile. Bisogna andare avanti consapevoli che ci muoviamo in modo circolare. Usare bene le risorse del tempo, e nel tempo c'è armonia e musica. Un pensiero che approfondisco nel mio libro Economia a colori».
Ha letto la Laudato si' di Papa Francesco?
«Un documento politico globale straordinario. Entra nella parte ecologica, pone tutti i problemi del nostro tempo in modo molto lucido. Viene fuori quello che ho sempre pensato: che l'economia deve stare dentro l'ecologia. Il Papa la chiama ecologia integrale, io a suo tempo l'ho chiamata ecologia economica. Mettendo a raffronto le due case: l'economia, che sarebbe la nostra casa, deve stare dentro i confini dell'ecologia, che sarebbe il mondo, la grande casa».
Nei suoi studi lei richiama la necessità di una progettazione di lungo periodo, mentre chi va al governo cerca il consenso immediato.
«Questo è il problema. Purtroppo la politica da un po' di tempo ha una visione corta, cortissima, invece noi dobbiamo guardare avanti, oltre. Nel mio ruolo tecnico–scientifico ho la totale libertà di guardare un orizzonte e proporre delle azioni che hanno effetti di lungo periodo. Come uscirne non saprei, speriamo che sia un ciclo della nostra storia».
È possibile davvero realizzare una società a spreco zero?
«Una società a spreco zero è un'occasione di riscatto, in cui il cibo diventa un diritto per tutti. Utopia? L'importante è che riusciamo a vederla. “L'utopia è come l'orizzonte – diceva Eduardo Hughes Galeano –: cammino due passi e di due passi si sposta. Mi avvicino di dieci e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”. Una visione che diventa la tua, la nostra, un sentire comunitario e un camminare insieme per raggiungerlo. Già questo sarebbe un risultato».