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18 Gennaio 2022
Ultima modifica: 18 Gennaio 2022 ore 09:45

Vado in Sri Lanka per superare le mie frontiere

Un giovane partito come Casco Bianco racconta come questa esperienza lo sta cambiando
Vado in Sri Lanka per superare le mie frontiere

Tra poche ore l’aereo che partirà per lo Sri Lanka mi porterà a iniziare questa esperienza di servizio civile come Casco Bianco. Ma è giusto dire che la partenza inizi da qui? Più ci penso, meno ne sono convinto.
La partenza è già, probabilmente, all’inizio della formazione. Durante questo mese ho incrociato così tante traiettorie di vita, ho visto così tante persone della mia età che per i più disparati motivi hanno deciso di mettersi in gioco. Un mosaico di storie, tutte interessanti, tutte valevoli di essere ascoltate. Si è formata una bella atmosfera all’interno di questo gruppo, nonostante la distanza imposta da questa pandemia, o anche grazie ad essa. Una vera lotta, sin dal principio, sin dalle basi. Doversi trovare tutti i giorni senza mai vedersi veramente, essere in contatto a distanza, costruire legami fatti di microfoni che non vanno, connessioni che saltano, volti in webcam che spariscono. Eppure quando poi ci si è trovati, quella settimana a San Marino, sembrava di essere un gruppo di amici che si conosce da anni. Ognuno partito con una propria motivazione, tutti mossi da uno stesso obiettivo.

Ecco, se mi dovessero chiedere cosa mi porto dietro per questo viaggio, la prima cosa che senza dubbio direi di aver messo in valigia sono loro, una manica di ragazzi che, per citare De André e la sua Smisurata Preghiera, hanno deciso di viaggiare «in direzione ostinata e contraria». Già, perché in un mondo come il nostro, atti di gentilezza gratuiti sono visti sempre più come sovversivi.
Ma se i miei compagni di avventura, se gli altri caschi bianchi occuperanno una bella fetta della valigia, insieme a loro ci saranno tante altre piccole gemme che custodirò con cura. Le mie aspettative su ciò che avrei dovuto realizzare con la mia partenza sono state completamente scombussolate. «Parto per ridare al mio amato Subcontinente indiano una piccolissima parte di quello che mi ha dato lui in questi anni», era il mio obiettivo iniziale. Eppure, in quello che inizialmente sembrava un bell’intento per una bella esperienza, oggi non riesco a leggere null’altro che una visione idilliaca di un qualche eroe classico che vuole andare a salvare qualcuno dalla sua situazione.
«Spero che non andiate a fare una bella esperienza» aveva esordito Monica, ma tornare con un qualcosa che ci avrà fatto cambiare prospettiva sul mondo.
 
«Dovete imparare ad affidarvi agli altri». In questo anno di Servizio Civile internazionale dovrò trovare il coraggio di accettare che non posso controllare tutto quanto, che certe cose devono accadere anche se non lo desidero, e trarre insegnamento da tutto questo.
Ed è proprio in quest’ottica, allora, che prende senso ai miei occhi la terza frase, una delle ultime sentite durante la formazione. «I veri missionari sono loro, io sono l’accompagnatrice, loro aprono le strade». Così Giovanna, la nostra responsabile in Sri Lanka, ci ha parlato del rapporto che aveva con i ragazzi che stanno in struttura. È con questo spirito che voglio provare ad iniziare questa esperienza di vita. Mettermi a disposizione, fare da accompagnatore senza la presunzione di credere di aver capito subito tutto quanto.
In questo modo, senza ancora essere partito, ecco che ho già dovuto fare un cambio sostanziale nella mia valigia: non sarò io a “restituire” qualcosa agli altri, ma dovrò cercare di costruire insieme qualcosa di valore; solo così potrò tornare diverso, cambiato. Se non esiste viaggio senza frontiere, ecco che le prime che dovrò superare saranno proprio le mie.

Come si diventa Casco Bianco


Come partire con il Servizio Civile in Italia

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