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19 Marzo 2021
Ultima modifica: 19 Marzo 2021 ore 09:41

Vuoi essere felice? Ecco come fare

20 marzo. Giornata mondiale della felicità
Vuoi essere felice? Ecco come fare
Foto di JillWellington
Riflessioni e strategie per camminare diventare sempre più felici
Evviva! Domani, il 20 marzo, sarà la Giornata mondiale della felicità, indetta dall’ONU nel 2012 su pressione del piccolo stato del Buthan. Perché proprio il Buthan? Perché nel 1972 il suo giovane re, interrogato sul PIL del suo Stato, ha risposto senza esitazione che per lui contava di più il FIL, nientemeno che la Felicità Interna Lorda.
Tra ironia e grandi verità – si sa – a volte i confine è molto sottile. Sta di fatto che nell’epoca della globalizzazione è evidente che la ricerca della felicità accomuna uomini e donne di ogni latitudine, religione, cultura. E che il desiderio di aumentare la felicità muove la maggior parte degli sforzi, anche quelli che, a volte, si rivelano controproducenti.
Un esempio su tutti? L’accumulo di denaro. La ricerca in proposito evidenzia come – una volta soddisfatti i bisogni di base – il denaro in surplus non rende più felici, anzi. Pare sia proprio il desiderio di ricchezza a rendere meno felici (Kasser, 2002) ed è stato provato che il guadagno di 10.000 dollari l’anno in più ha un impatto sulla felicità stimato intorno al 2% (Khristakis e Fowler, 2009).
Di contro – ma pensa! – le persone che vanno in chiesa sono più felici e vivono più a lungo (Ciarrocchi, Dy-Liacco, Deneke, 2008).

Ok, ma come si fa ad essere più felici?

Martin Seligman, considerato il pioniere della psicologia positiva, che da decenni lavora sul tema della felicità, è arrivato a proporre una formula: F = S + C + V.
S sta ovviamente per “felicità”, S sta per set range, cioè la dotazione di base, genetica, che è relativamente stabile e influisce per il 50%; C sta per circumstances, gli eventi della vita che – attenzione attenzione – pesano soltanto per il 10%; infine V sta per voluntary, i fattori sotto il nostro controllo, quello che possiamo fare attivamente, e che si prendono una bella fetta: il 40%!
Certo, la formula non è proprio matematica ma – a ben pensarci – riflette qualcosa che già si e che spesso non si vuole ammettere: la felicità è in larga parte frutto di un lavoro, di un atteggiamento mentale cui seguono delle azioni.
Tutti conosciamo persone colpite da gravi eventi traumatici,che conservano una certa dose di felicità (da non confondersi con l’emozione della gioia, momentanea e legata agli eventi contingenti). E tutti conosciamo persone infelici senza motivazione evidente che sembra non siano al loro posto nella vita.
Già l’imperatore Marco Aurelio scriveva nelle sue Meditazioni che «la nostra vita è il risultato dei nostri pensieri», e se si comincia col pensare che il 40% della felicità dipende dalle azioni volontarie, non rimane che darsi da fare.

Coltivare l’ottimismo

Secondo Ilona Boniwell (La scienza della felicità, Il Mulino, 2016) vi è un modo di pensare ottimista e uno pessimista. Se – come abbiamo visto – in gran parte è determinato geneticamente, nulla toglie che si possa deliberatamente prendere spunto dal pensiero automatico ottimista e cambiare il cosiddetto “stile esplicativo”. Un esempio. Di fronte ad un esame andato bene, l’ottimista userà spiegazioni interne («Sono stato grande!»), stabili («Sono un bravo studente»), globali («Anche i prossimi esami andranno bene»); mentre di fronte ad una bocciatura userà motivazioni esterne (l’esame era oggettivamente difficile), instabili (la prossima volta andrà meglio) e specifiche (ieri non ero in forma). Il pessimista inverte il pensiero, attribuendo i successi a motivazioni esterne, instabili e specifiche, e gli insuccessi a motivazioni interne, stabili e globali: «È tutta colpa mia, sarà sempre così e non ce la farò mai».
Ma perché a volte sembra prevalere il pensiero pessimista? Per quella che Jonathan Haidt (Felicità: un’ipotesi, Codice Edizioni, 2008) definisce la naturale inclinazione al male. Il male è più forte del bene! No, nessuna virata diabolica né pessimismo cosmico. Semplicemente l’autore osserva che le reazioni alle minacce, alle sgradevolezze, sono più rapide, più forti e più difficili da inibire rispetto alle esperienze gradevoli. Dal punto di vista della sopravvivenza è sensato: «Se doveste progettare un pesce – scrive – lo fareste reagire con la stessa forza alle opportunità e alle minacce? Perdere un indizio che segnala la presenza di cibo ha un costo basso: le probabilità vogliono che ci siano altri pesci nel mare. Invece il costo di non cogliere gli indizi della presenza di un predatore può essere catastrofico: game over».
Data questa tendenza a trattenere la negatività, occorre darsi da fare con i correttivi. In un matrimonio – sostiene Gottman – ci vogliono almeno cinque azioni positive e costruttive per riparare ad un atto critico o distruttivo.

Alcuni spunti concreti

Fare attività fisica, non assumere sostanze, circondarsi di amici, concedersi degli spazi piacevoli per ristorarsi. Queste e molti altri spunti concreti potete trovare nella pagina a fianco (precedente).
Due altre considerazioni importanti al termine di questo breve viaggio.
Il primo: Csikszentmihalyi (già riuscire a leggerlo potrebbe essere motivo di felicità!) ha insistito sul concetto di flow, il flusso. Uno dei modi per sperimentare uno stato di felicità è quello di immergersi in questo particolare stato di coscienza nel quale si è talmente assorbiti da un’attività che il mondo intorno scompare. Uno stato di concentrazione totale. Come quando si è talmente presi da un lavoro, o da una visione, o dallo studio, che la coscienza viene messa tra parentesi e si è un tutt’uno con l’azione che si sta facendo. Assorbiti o in equilibrio: se il compito è troppo difficile compare l’ansia, se è troppo facile subentra la noia.
Il secondo: il senso. Ogni azione fine a se stessa, comprese quelle scritte sopra, è vana se non è agganciata a qualcosa di più grande: un progetto, uno scopo nella vita, il rapporto con Dio, una visone antropologica di base. Le azioni determinano casomai la gioia, che è una sensazione momentanea e transitoria. Solo quando l’azione fa parte di un piano più grande, allora, quasi indipendentemente dalla gioia e dal dolore, ci si può dire felici.
 
Pillole di felicità
PER ESSERE FELICI PER ESSERE TRISTI
Consumare energia attraverso l'attività fisica Ridurre la tensione con droghe o alcool
Farsi un discorso incoraggiante Evitare persone o cose che disturbano
Pianificare le attività Gestire passivamente il tempo
Coltivare le amicizie, soprattutto poche e strette Isolarsi
Concedersi distrazioni piacevoli Navigare sui social a tempo indeterminato
Rilassarsi, ascoltare musica Guardare la TV a notte fonda
Compiere atti di generosità gratuiti Mettersi a confronto con gli altri