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10 Gennaio 2023
Ultima modifica: 20 Gennaio 2023 ore 16:10

La missione in Kenya raddoppia

Apre un nuovo progetto per mandare a scuola i bambini
La missione in Kenya raddoppia
La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente a Nairobi dal 1997. Ora sta per partire un progetto nei villaggi sperduti del Turkana, una zona nel nord del Paese dove non piove da 3 anni. Molti bambini sono a rischio di malnutrizione e spesso scelgono di non frequentare la scuola perché dovrebbero saltare il pranzo. Il sostegno nutrizionale nelle scuole di alcuni villaggi ha lo scopo di incentivare la frequenza scolastica dei bambini. Ce ne parla Simone Ceciliani, missionario in Kenya.
C’è un posto dove non piove da quasi 3 anni. Neanche una goccia d’acqua. Si tratta della regione nel nord del Kenya, comprendente il lago Turkana. Secondo le Nazioni Unite è la siccità peggiore degli ultimi 40 anni e tra i 4 e 5 milioni di persone sono ad alto rischio alimentare. Sono morti circa 1,5 milioni di capi di bestiame, unica fonte di reddito e di sopravvivenza per le persone del posto. Qui i poveri pagano le conseguenze dei cambiamenti climatici, una situazione che loro non hanno generato. Qui il grido dei poveri e il grido della terra è più forte che mai. Un grido che non ha lasciato indifferenti i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII in Kenya. 

Simone Ceciliani, missionario in Kenya dal 2011, è andato più volte a visitare questa zona remota per porre le basi di un nuovo intervento di aiuto alle persone più fragili: i bambini.

Sei appena rientrato dal tuo quinto viaggio in Turkana. Che situazione hai trovato?

«Siamo stati nel villaggio di Loiyangalani, a circa 650 km di distanza da Nairobi, di cui gli ultimi 230 km sono di strada sterrata. Ci vogliono circa 12 ore di viaggio per arrivare. Lì siamo stati ospitati dai padri della Consolata, presenti a Loiyangalani da 53 anni. Da lì siamo andati a visitare i villaggi più lontani, tra cui Moite. Qui la gente manca di tutto: non c’è l’elettricità, l’ospedale più vicino è a 300 km, praticamente irraggiungibile, c’è qualche dispensario malfunzionante dove però mancano molti i farmaci necessari; le persone mangiano una volta al giorno se va bene, non hanno acqua da bere pur vivendo vicino al lago Turkana, le cui acque non sono potabili per l’alta concentrazione di fluoro, ma la gente beve quella, anche se danneggia i reni. L'agricoltura qui è impraticabile, sia per il fatto che siamo in pieno deserto, sia perché il terreno è salato e anche per le temperature altissime. La loro stagione invernale arriva a temperature tra i 30 e 40 gradi, mentre durante la loro estate, ovvero da novembre a marzo, si superano anche i 50 gradi. Le tribù presenti vivono di pastorizia (capre, soprattutto) e pesca. Si tratta però solo di sussistenza, perché si fa la fame. I bambini vanno a scuola - se ci vanno - con lo stomaco vuoto e mangiano solo la sera. Tutti i generi alimentari quali riso, farina di mais e verdure sono importati da altre zone del Kenya: un camion arriva due o tre volte alla settimana e chi può permetterselo compra qualcosa».

La situazione è davvero drammatica. La Comunità Papa Giovanni XXIII come intende aiutare queste persone?

«A gennaio verrà aperta una mensa scolastica che garantirà colazione e pranzo a 500 bambini dei villaggi più lontani: Moite, dove c’è una scuola elementare, Dakayan e Nakwakolea dove ci sono due asili. In questo modo si invogliano le famiglie a mandare i bambini a scuola, perché l’educazione può essere una chiave di volta per questa gente. Infatti in Kenya la lingua ufficiale è il kiswahili, ma molti sanno parlare anche inglese; in posti sperduti come questi la gente sa parlare solo la lingua della propria tribù e così rimane isolata nel proprio Paese, ignara di ciò che accade attorno a loro. Avviare la mensa scolastica aiuterà anche la salute dei bambini, sfuggendo alla malnutrizione che qui è un grosso problema».

Non credi che prima di pensare alla scuola sarebbe più importante dare acqua potabile alla gente?

«Quando abbiamo parlato con la gente del posto, tra i vari bisogni che ci hanno espresso c’erano l’acqua potabile e la mensa per i bambini della scuola. Non conoscendo un esperto in materia idrica, ci siamo concentrati sull’apertura della mensa scolastica. Poi qualche mese fa, per una serie di coincidenze, ho conosciuto fratel Dario Laurencig, un missionario comboniano che vive in Kenya da 50 anni e che ha costruito centinaia di pozzi in Etiopia, Sud Sudan e nella zona del Turkana. Lo scorso novembre abbiamo visitato insieme i villaggi di Moite e dintorni. Fratel Dario ha individuato 3 punti in cui si potrebbe trovare acqua. Costruire un pozzo costa parecchio, circa 20mila euro. Ora si tratta di trovare i fondi per costruirli».

La gente del posto come si spiega questo periodo di siccità? Come fa a resistere in condizioni così estreme?

«Tutti dicono che la situazione è peggiorata e che il periodo di siccità attuale è anomalo. Vista la situazione mondiale, è chiaro che la causa è dovuta ai cambiamenti climatici, ma la gente del posto non sa nulla di questo e non sa spiegare il motivo di questa siccità prolungata. Se tu chiedi loro come fanno a resistere in queste condizioni, non rispondono perché nemmeno capiscono una domanda del genere: da sempre sono abituati a sopravvivere in un ambiente ostile. In Turkana la sopravvivenza è difficile anche nei momenti normali, la morte è all’ordine del giorno. Per diventare adulti i giovani devono superare dei riti di passaggio incomprensibili per noi, che servono ad abituarli alla durezza della vita. Ad esempio alle ragazze cavano un dente con un cucchiaio, ovviamente senza anestesia. Loro dicono che lo fanno per bellezza! Per loro è normale affrontare situazioni difficili. La vita per loro è sempre dura». 

Come possiamo metterci in gioco anche noi dall’Italia? Oltre al sostegno economico per il progetto, c’è qualcos’altro che potremmo fare?

«La cosa più ovvia è fare una donazione, ma al di là di questo penso sia importante sensibilizzarsi sul problema dell’acqua: nel mondo di oggi c’è gente che non ha l’acqua da bere. Questo ci dovrebbe far riflettere su come noi usiamo o sprechiamo l’acqua. Poi dovremmo riflettere sui cambiamenti climatici: la gente in Turkana sta pagando le conseguenze di una situazione che non ha generato. Chiediamoci: noi cosa facciamo per l’ambiente? Cosa facciamo per ridurre l’inquinamento e lo spreco delle risorse? I poveri sono i nostri maestri – come ci diceva sempre don Oreste - e davvero la gente del Turkana può aiutarci ad aprire gli occhi su queste problematiche, ci può spronare ad adottare degli stili di vita che tengano conto di questa situazione». 

Anche tu puoi contribuire!

Per chi desidera sostenere il progetto mensa in Kenya, o la costruzione dei pozzi, può fare una donazione così:
  • bonifico bancario iban: IT 04X 030 6909 6061 0000 0008 036, intestato a Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII - Attività ONLUS, indicando in causale: Sostegno progetto Turkana

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