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18 Giugno 2025

Brasile: un rifugio di gioia nella favela

Un giovane in servizio civile a Belém racconta una storia di resistenza e solidarietà
Brasile: un rifugio di gioia nella favela
Foto di Archivio Condivisione fra i Popoli
Accogliere bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni per evitare che passino il loro tempo in strada, proporre attività educative. È lo "Espaço Criança é Vida", uno dei progetti della Comunità Papa Giovanni XXIII in Brasile.
È inverno qui a Marituba, nel bairro (quartiere) Almir Gabriel, periferia adiacente alla città di Belém. Da queste parti la stagione invernale non contempla il freddo, la vera disdetta è la pioggia. Ogni anno, migliaia di famiglie si ritrovano nel bel mezzo della notte a dover sgomberare secchiate d’acqua fuori dalla propria abitazione. La pioggia è imprevedibile, e in queste zone dove si soffre la mancanza di strade asfaltate, la creazione di fiumi impedisce la libera circolazione ai pedoni e rende difficile la viabilità ai mezzi. Raramente ho visto qualcuno utilizzare le previsioni metereologiche; la pioggia si aspetta, si asseconda, se non c’è, va bene, se c’è, va bene lo stesso. 
Il bairro Almir Gabriel ha tutti i presupposti per essere definito una favela. Qui nel quartiere girano pareri contrastanti su questo, probabilmente perché il concetto di favela è molto labile, e spesso la gente di qui si attiene all’informazione che passa in TV confrontando i video che mostrano le grandi favelas di Rio de Janeiro con la propria realtà. Ma la stragrande maggioranza delle persone non ha mai avuto l’occasione di vedere con i propri occhi l’ex capitale, e uno schermo nasconde molto più di ciò che mostra. 
«È complesso», un'espressione che Gleidiany ripete spesso quando racconta gli svariati disagi che caratterizzano questo luogo. Gleidiany, anche detta De, è la responsabile del progetto “Espaço Criança é Vida” (che significa Spazio "Il bambino è vita").
Gli obiettivi sono pochi e semplici:
  • accogliere bambini e ragazzi tra i 5 e i 17 anni per evitare che passino il loro tempo in strada,
  • proporre attività educative con lo scopo di trasmettere cultura ai giovani che soffrono di grandi lacune,
  • divertirli, perché il divertimento allontana i brutti pensieri, come la mancanza di un padre, di un letto personale o di una stanza dove attaccare i poster dei propri idoli.
Oggi, nel progetto, si sta svolgendo un gioco che sta trasmettendo ai bambini coinvolti stupore e felicità. Alla fine della giornata, De uscirà allo scoperto con una frase che può solo comportare grandi soddisfazioni: «Oggi i ragazzi si sono proprio divertiti, abbiamo compiuto al meglio il nostro dovere». 
Il gioco è la “Caccia al tesoro”. Troverà il tesoro per prima la squadra capitanata da Jadson. Nessuno ha scelto che lui venga eletto per questo ruolo, ma fin da subito si è fatto valere, e il suo spirito competitivo ha fatto sì che la decisione avvenisse arbitrariamente. Il fortino, un sacco azzurro, è pieno zeppo di caramelle e, una volta aperto, il clamore e l'esultanza dell’équipe per la buona riuscita della missione invaderanno il progetto. Avere tra le proprie mani un tesoro comporta grandi responsabilità; bisogna essere sicuri che tutte le persone che compongono la squadra possano usufruirne, in modo consapevole. 
Il progetto dove mi trovo è un tesoro. Un tesoro nascosto tra le case diroccate di una favela in Brasile. Un tesoro pieno di sorrisi. Un tesoro che racchiude occhi con ancora pochi anni di vita, ma che hanno già potuto assistere a tutto ciò che racchiude la parola povertà.

Questo articolo è stato scritto da Giovanni Freddi, 24 anni, laureato in Scienze e Tecnologie della Comunicazione, ha scelto di fare il Servizio Civile perché lo considera un’occasione irripetibile per un giovane che si trova in un momento di stallo, perché offre la possibilità di vivere la solidarietà, stimolare le proprie conoscenze culturali, ricevere un compenso economico e viaggiare.