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15 Marzo 2024
Ultima modifica: 15 Marzo 2024 ore 10:34

Fiocchetto Lilla: lotta ai disturbi alimentari

Oggi si celebra la XIII Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare (DCA), di cui l'anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da Binge-Eating sono i più conosciuti e diffusi, ma ne esistono di diverse tipologie.
Fiocchetto Lilla: lotta ai disturbi alimentari
Foto di Ronstik
In Italia, 3 milioni di persone combattono contro i disturbi alimentari. La storia di Manuela rivela l'importanza del supporto familiare e specialistico nella lotta contro queste patologie.
Il 15 marzo si celebra dal 2018 la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare. Attivo 24 ore su 24 anche un Numero Verde Nazionale 800.180.969 gratuito e anonimo. 

In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione, si trovano a fare i conti con i disturbi del comportamento alimentare (DCA): l’8-10% delle ragazze e l’0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia-bulimia. Il 95% sono donne, anche se sempre più numerosi sono gli uomini che manifestano questi sintomi e si rivolgono a strutture specializzate.
 
«Hai mai provato a fare la doccia immersa in una vasca di cubetti di ghiaccio e acqua fredda? E non mangiare per ore o vomitare dopo aver mangiato anche solo una carota? Hai mai ridotto all’estremo le potenzialità del tuo corpo? Per me tutto è iniziato da una battuta di un compagno di classe; mi si è insidiata nella mia mente e ancor oggi a volte ritorna. Non riuscivo più a vedere luce, mi sentivo così in colpa di non essere perfetta per gli altri da credere di meritarmi ciò che mi accadeva. Non mi sentivo capita da nessuno. Andavo anche a pallavolo controvoglia. Isolata per scelta - perché solo la mia perfezione contava - usavo, mentivo e manipolavo i pochi che mi erano rimasti accanto. Avevo trovato delle nuove “amiche” nei gruppi proANA e proMIA su Twitter. Ma ce ne sono di tutti i tipi anche su Tumblr e Telegram. Un esempio “in codice”? Come piume. Basta una metafora… leggera. Ed ecco reclutata una schiera di preado “nuovi iscritti”. Una di loro molto gentilmente mi aveva trovato un severissimo coach, con cui chattavo tutti i giorni condividendogli successi e fallimenti. Sempre più sottopeso. Inventavamo strategie per vomitare e non farci beccare. Non mi ero resa conto che a forza di controllare tutto, ero stata trascinata in un vortice infernale».

Mi racconta così la sua vicenda sconcertante Manuela, classe 2008. Ha le vene sporgenti sulle mani magre e le guance un po' scavate. Ogni tanto mentre mi parla si guarda la pancia. Mi dice: «questa è ancora troppo gonfia per il mio canone di bellezza». Ma io, che la stavo intervistando, non riuscivo a vedere un grammo fuori posto. 
Lei è stata fortunata. Dopo due settimane di vomito indotto con le dita su per la gola, sviene a scuola. La famiglia, che la stava già seguendo per una dieta dimagrante, si accorge all'improvviso che qualcosa di più profondo e invisibile non va. Come spesso capita, dapprima la sgridano e la minacciano di buttar via tutti gli specchi. Poi pian piano comprendono di dover cambiare atteggiamento e danno inizio ad un dialogo profondo, anche se faticoso, modificando giornate di lavoro e abitudini della famiglia intera. Cellulare alla mano, Manuela confessa un giro di vite sciupate in un gruppo social di tredicenni della sua stessa città, che si sfidano l'un l'altra per diventare sempre più sotto peso. Seguaci di gruppi esclusivi che riescono troppo di frequente ad evitare i sistemi di blocco. I comandamenti pro-Ana a cui gli “adepti” devono attenersi sono tutti centrati sull’equazione magrezza = salvezza, unica via per essere felici. Tra gli “Ana Commandments”, alcuni sono più frequenti: «Se non sei magra non sei attraente, devi fare qualsiasi cosa per apparire più magra, non devi mangiare senza sentirti in colpa, non mangerai cibo ricco di grassi senza punirti subito dopo. Con Manuela, la famiglia decide di segnalare il gruppo e bloccare le notifiche di messaggi dietetici, siti di pillole dimagranti etc. 

I disturbi alimentari non si combattono da soli

La madre di Manuela prende anche un’altra iniziativa e, concorde la famiglia intera, si sceglie di non accusare più Manuela di fissazioni e sfide irresponsabili, ma di ricominciare a fare il tifo per e con lei. Costruendo una squadra compatta e competente: la nutrizionista, l'istruttrice di pallavolo, l'insegnante preferito, il medico di base e una psicologa esperta. Insieme alla famiglia iniziano la battaglia contro l’anoressia e le sue conseguenze per un anno e mezzo.
Spiega la dottoressa Roberta Covezzi, responsabile del Centro per i disturbi del comportamento alimentare dell’Azienda USL di Modena «I disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata) sono caratterizzati da un’alterazione delle abitudini alimentari, cioè comportamenti che portano la persona ad avere un rapporto ossessivo con il cibo, con il proprio peso e la propria immagine. Per affrontarli è fondamentale avere ben chiaro che il disturbo non passerà da un giorno all’altro, serve il giusto tempo senza far sentire “in colpa” i propri figli. Si tratta di una patologia complessa ma si può guarire se superata insieme. Il primo da contattare è il medico di medicina generale (o il pediatra) che cerca di individuare i segnali d’allarme e collabora con gli specialisti del Centro per i disturbi alimentari. Anche i Pronto Soccorso sono ormai attrezzati: è stato infatti introdotto un codice ad hoc, il codice Lilla, per i pazienti che vi accedono con sospetto di disturbo del comportamento alimentare. La valutazione diagnostica è effettuata da un team multidisciplinare (psicologo, dietista e medico internista-nutrizionista) per definire un piano individualizzato di trattamento».

Genitori siete fondamentali, non spaventatevi!

Come i genitori di Manuela, sono tanti quelli che all’inizio della scoperta sono increduli e scocciati o arrabbiati ed espulsivi. «Quando un membro della famiglia sta male – sostiene la dottoressa Covezzi – inutile nasconderlo: tutta la famiglia sta male. Durante il Covid, stando tutti i giorni insieme in casa, sono tante quelle che si sono accorte che il proprio figlio o figlia non stava bene. D’altra parte il corpo è la parola per gli adolescenti, la via più semplice per comunicare un disagio. Ma prima della pandemia il trend era già presente. Il Covid ha solo accelerato alcuni malesseri: l’apparente stato di benessere, il rapporto col cibo già alterato ma compensato dalla necessità di avere energie per l’attività sportiva si sono modificati nella centralità dell’apparire. La famiglia resta il primo soggetto preventivo. È importante che si affianchi ai figli dialogando su chi frequentano sui social, aiutandoli a sviluppare un senso critico per prevenire il disturbo e che collaborino, se un figlio presenta il disturbo, seguendo le nostre strategie di supporto. A seconda della gravità, esistono diversi livelli di assistenza: ambulatorio day-hospital, ricovero in ospedale in caso di urgenza, trattamento residenziale per il programma riabilitativo. Per questo non basta che i genitori ci portino i figli dicendoci: “Aggiustatemelo e poi torno a prenderlo”. La paura di dover fare una revisione anche su stessi è frequente, ma la famiglia è fondamentale». Non serve nemmeno colpevolizzare i genitori che dicono “è solo un capriccio”, non vogliono riconoscere il problema e tantomeno intraprendere un percorso. Bisogna coinvolgerli un passo alla volta, aiutandoli a superare paure e vergogne.

Cari adolescenti, siate “body positive”

La pandemia ha causato un aumento del 30% di diagnosi di disturbi alimentari rispetto all’anno precedente (2020 – 2021). Secondo i dati del ministero della Salute, in Italia sono infatti circa 3 milioni i giovani che ne soffrono di cui il 95,9% di sesso femminile e il 4,1% maschile. L’anoressia nervosa è stimata per il sesso femminile in 8 nuovi casi ogni 100.000 persone in un anno. L’età sempre più bassa tra i 12 e i 17 anni.
Di fronte a questi dati allarmanti, mi viene spontaneo chiedere alla psichiatra modenese un messaggio di incoraggiamento verso gli adolescenti. «L’autostima e il volersi bene non dipendono dal tuo peso o dal fatto che il tuo corpo corrisponda ai canoni di bellezza che la società propone. Segui la body positivity!». Una strategia - quella lanciata da Roberta Covezzi – nata intorno al 2010 per merito di alcune attiviste nere “oversize”, che hanno cominciato a postare contenuti sui social con l’hashtag #BodyPositivity. Lo scopo? mettere in evidenza corpi non convenzionali, generalmente etichettati dai media come brutti. Anche oggi marchi importanti scelgono nelle sfilate, nei cataloghi e negli advertising modelle di tutte le taglie, con tutti i tipi di corpi, di tutte le età per allenare il grande pubblico ad una idea di bellezza finalmente slegata dalla magrezza. Altro che “piume”.