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22 Ottobre 2025

Don Oreste Benzi: il diritto a non drogarsi

In un momento in cui il convegno "Kronos e Kairos" a Rimini riaccende il dibattito sulle dipendenze, riproponiamo l'intervista rilasciata da Don Oreste Benzi pubblicata nel libro Ribellatevi. Le sue parole, incisive e radicali contro la depenalizzazione e la "riduzione del danno", si dimostrano oggi più che mai attuali.
Don Oreste Benzi: il diritto a non drogarsi
Foto di AdobeStock
Mentre a Rimini torna al centro del dibattito sulle dipendenze con il convegno "Kronos e Kairos", 23-24 ottobre 2025, il pensiero di Don Oreste Benzi sulle droghe è più che mai attuale. Oggi, nonostante l'evoluzione delle sostanze, il cuore del problema resta il medesimo. Tutti sono recuperabili, ma la società deve smettere di costringere i giovani a essere "consumatori di emozioni".

In vista del Convegno "Kronos e Kairos" a Rimini il 23-24 ottobre 2025, riemerge il forte impegno politico di Don Oreste Benzi contro la droga. La sua accusa alle istituzioni: depenalizzazione "errore madornale" e riduzione del danno "mantenimento nel danno".  L'unica vera soluzione è la trasformazione della società che toglie la speranza ai giovani, costringendoli a essere "consumatori di emozioni"..
Nel suo impegno accanto ai giovani don Oreste Benzi incrocia ben presto le droghe. L’inizio del suo intervento diretto risale al 1980, quando il vescovo di Rimini in occasione della Quaresima invita le varie associazioni attive in diocesi ad occuparsi di questo fenomeno che stava assumendo dimensioni preoccupanti.

Don Oreste raccoglie la sfida ed entra in campo con lo stesso tipo di approccio già messo a punto in altri settori dell’emarginazione: non offrire un servizio, una prestazione, ma mettersi al fianco della persona in difficoltà e insieme a lei intraprendere un cammino di liberazione.

Se da un lato promuove la nascita di comunità terapeutiche, prima in Italia e poi nel mondo, dall’altro interviene con forza nel dibattito politico e culturale, in merito alle risposte che lo Stato deve dare. In particolare si schiera contro la teoria della cosiddetta “riduzione del danno”: un approccio che punta a contenere il fenomeno riducendone gli effetti, come ad esempio la diffusione delle malattie, contrapponendo l’aspetto educativo a quello repressivo.

La sua posizione viene evidenziata in un convegno organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII nel gennaio 1997 dal titolo "Tra legalizzare e punire: il diritto a non drogarsi". È in quell’occasione che ci ha rilasciato questa intervista, ancora estremamente attuale pubblicata nel libro: Ribellatevi! Intervista con un rivoluzionario di Dio

Don Oreste, i sostenitori della legalizzazione ritengono che la diffusione della tossicodipendenza in Italia sia dovuta alla politica proibizionista che dimostra così il proprio fallimento.

«È l'opposto. Dopo il Referendum del 1993 (che ha abrogato norme sulla punibilità del tossicodipendente - ndr) il consumo delle droghe è aumentato e i reati connessi alla droga non sono diminuiti. Non esistendo più né la modica quantità né la dose media giornaliera ogni consumatore di sostanze stupefacenti ne può tenere con sé quanta ne vuole, purché riesca a dimostrare che è per uso personale.»

Tu non sembri favorevole alla linea della riduzione del danno…

«La linea della riduzione del danno, per come è concepita, è veramente un danno.»

Non pensi che abbia il merito di considerare il tossicodipendente come una persona da aiutare, anche se non ha ancora deciso di smettere?

«Non c'è bisogno che la riduzione del danno precisi che il tossicodipendente è una persona da aiutare, perché è nella natura stessa dell'essere umano aiutare chi è in difficoltà. Tutta la parte più sensibile della società italiana è a fianco dei genitori che hanno figli tossicodipendenti, tutti vogliono aiutare questi ragazzi a liberarsi dalla droga. Noi non discutiamo sull'aiutarli, che è indispensabile, ma sul modo di aiutarli.»

Qual è il modo giusto?

«Il modo che noi riteniamo rispettoso della persona è dare la possibilità a qualsiasi giovane che si trova nella droga di abbandonare l'uso di qualsiasi droga. Il peccato della riduzione del danno, come è stata concepita nella Conferenza nazionale sulla droga di Palermo del '93, sta nel fatto di aver identificato la riduzione del danno con il mantenimento nel danno. Noi diciamo che si riducono i danni se si toglie al tossicodipendente la possibilità di accedere facilmente alla droga e se si creano le condizioni per accelerare il più possibile la sua fuoriuscita dalla tossicodipendenza.
La filosofia della riduzione del danno parte invece dal concetto che si può mantenere il consumatore di droghe nel consumo, basta cercare di ridurne le conseguenze. Ma il vero male è proprio l'ottica da cui parte: che cioè si può rimanere nella droga. Se invece si parte dall'idea che nella droga non si può rimanere, allora si trova un numero infinito di interventi che salvano il giovane.»

La depenalizzazione sottende un messaggio contraddittorio: non si può consumare droga, ma se tu la usi non ti succede niente. 
Se invece io ti dico: non si può consumare droga e se la usi hai delle conseguenze, allora al soggetto arriva un messaggio coerente.
Don Oreste Benzi

In base alla tua esperienza, tutti i tossicodipendenti sono recuperabili?

«Tutti! Faccio un solo esempio: se noi girassimo la notte con un pulmino e, incontrando i tossicodipendenti, dessimo loro la possibilità di venir via immediatamente dalla strada con noi, li porteremmo via tutti.»

E questo non si può fare?

«No, perché bisogna passare attraverso i SerT.

Molti di coloro che si dichiarano contrari alla legalizzazione delle droghe, sono però possibilisti sulla depenalizzazione. Su questo punto come ti poni?

«È un errore madornale, perché la depenalizzazione sottende un messaggio contraddittorio: non si può consumare droga, ma se tu la usi non ti succede niente. Se invece io ti dico: non si può consumare droga e se la usi hai delle conseguenze, allora al soggetto arriva un messaggio coerente.
In pratica il messaggio contraddittorio è una esperienza conseguente che contrasta con l'affermazione precedentemente annunciata. Nel caso specifico la prassi, cioè la mancanza di conseguenze, nega l'asserto teorico secondo il quale non si può far uso di droghe. Prevedendo delle conseguenze io invio un messaggio coerente e rafforzo la coscienza del soggetto. Anche se lui trasgredirà, avrà sempre coscienza che non si può.»

Chi fa uso di droghe è una persona che sbaglia e quindi va punita oppure va educata?

«Deve riparare l'errore fatto. Per questo noi preferiamo parlare non di punizioni ma di sanzioni educative.»

In questa società non c'è posto per i giovani perché i vecchi – non gli anziani, i vecchi – detengono il potere politico, economico e sindacale e non lo mollano neanche per sogno ai giovani, a meno che questi non diventino vecchi, cioè entrino nelle regole del gioco.
Don Oreste Benzi

A questo proposito, durante il tour che da qualche tempo stai compiendo all'interno delle carceri italiane, vai dicendo che il carcere è una istituzione da superare. Come traduci questo pensiero nel campo della tossicodipendenza?

«Anzitutto su questo aspetto va fatta un po' di chiarezza: i tossicodipendenti che sono in carcere non sono detenuti per solo consumo, ma per spaccio o per reati contro la persona o contro il patrimonio. Detto questo, poiché lo scopo della pena è sempre rieducativo, andrebbero previste ad esempio strutture che conservino il rigore ideologico del carcere, ma funzionino come pre-comunità in grado di aiutare la persona a rinascere.»

In un passaggio del tuo intervento al recente convegno "Tra legalizzare e punire: il diritto a non drogarsi", sostenevi che «il vero problema oggi non sono i giovani ma gli adulti». Cosa intendi dire?

«Che gli adulti portano avanti una società nella quale non c'è posto per i giovani. Questa società toglie ai giovani la speranza perché li costringe ad essere consumatori di emozioni. In fondo la società attuale è il vero carcere dei giovani, perché non hanno altre possibilità. In questa società non c'è posto per i giovani perché i vecchi – non gli anziani, i vecchi – detengono il potere politico, economico e sindacale e non lo mollano neanche per sogno ai giovani, a meno che questi non diventino vecchi, cioè entrino nelle regole del gioco.»

Se tu dovessi suggerire al Governo delle linee guida per combattere la droga cosa proporresti?

«Anzitutto un'azione indiretta: ogni creatura che viene al mondo deve avere un posto di lavoro assicurato, deve avere inoltre la possibilità reale di accedere alla cultura creando nuove vie di accesso alla scuola per tutti. Occorre cioè realizzare una trasformazione della società affinché ogni giovane, ogni adolescente possa riappropriarsi della propria vita destinandola secondo amore, intelligenza e verità. Questo è generico, lo so bene, però lo fisserei in un punto solo: smettetela di fare tanti discorsi e date a tutti la possibilità di lavorare rendendo giustizia a tutti gli oppressi, agli emarginati.»

E per quanto riguarda l’azione diretta?

«Va perseguita una severità molto accentuata contro la droga: va colpito il consumo e soprattutto il possesso della droga, attraverso sanzioni educative.
Terzo punto: aumentare la pressione contro lo spaccio.
Quarto: permettere l'accesso diretto alle comunità da parte del tossicodipendente, naturalmente con la dovuta sorveglianza da parte del servizio pubblico, evitando il passaggio obbligatorio dai Ser.T come avviene attualmente.
Infine io chiamerei in causa la Chiesa, che è madre: non solo cooperi a questo sviluppo della vita insieme da parte dei giovani, ma abbia il coraggio di annunciare che la droga distrugge la vita del soggetto, che questo non è lecito, che è peccato mortale.
Ancora vorrei dire che soprattutto le comunità guidate dai preti svolgano una funzione educativa in cui si tiene conto del Cristo. Perché la stragrande maggioranza di coloro che vanno nelle comunità sono dei battezzati e noi dobbiamo tenere conto di questa realtà, sennò deridiamo e mistifichiamo il battesimo.»