Ci sono legami che stringono, che costringono, che restringono. Sono quelli dei comportamenti e delle sostanze che chiamiamo “droghe”. Ci sono uomini e donne che ci cascano dentro e sembrano non trovare una via d’uscita. E ci sono legami che liberano. Sono quelli con le persone che scelgono di affiancarsi a chi ha sviluppato delle condizioni di dipendenza e propongono un percorso di recupero, di rinascita.
Abbiamo fatto qualche domanda ad Ugo Ceron, autore del libro insieme ad Ivana Conterno.
«Possiamo parlare di dipendenza quando ci sono persone che incontrano sostanze o comportamenti che diventano ricorsivi. Sono forme per cercare gratificazione o sollievo a sofferenze e dolori. Da lì – come scriviamo ampiamente nel libro – si instaurano meccanismi neurobiochimici per ripetere esperienze gratificanti che rilasciano dopamina».
«No, sono i comportamenti che tendono ad irrigidirsi e quindi restringono il campo delle esperienze. La dipendenza diventa “patologica” perché è esclusiva e chiede di essere alimentata. Quando ad esempio nel gioco passo da spendere 10 euro – che potrebbe essere un comportamento accettabile – a spenderne 50 o 100 o mi gioco stipendio e mi indebito, ed entro in un circolo continuo».
«Dai dati che abbiamo l’eroina da sostanza diffusa è diventata meno incisiva, Mentre la cocaina e il crack si trovano a prezzi sempre più bassi,
E riguardo a quelli che definisci “comportamenti”?
«Sono nate come strutture alternative o meglio risposte che non esistevano nel contesto sociosanitario degli anni 70-80. Oggi sono strutture accreditate che svolgono un’azione terapeutica per conto dello Stato, in rete con i “servizi per le dipendenze” che ci contattano per realizzare percorsi di recupero, reinserimento e accompagnamento. Si va verso una complessità sempre maggiore delle persone con problemi di dipendenza: sono soggetti fragili psicologicamente».
«Entra inviato dal Serd e noi gli proponiamo un percorso terapeutico. È importante sottolineare come il trattamento non sia offerto come in una clinica, ma reso disponibile attraverso il pieno coinvolgimento dell’utente che viene responsabilizzato nella vita della comunità. Le responsabilità diventano l’ambito in cui si mette in gioco.
La comunità sta in piedi attraverso l’auto aiuto reciproco degli utenti, accompagnati dagli operatori»
«Quando è capace di rileggere la propria storia e capire la funzione delle sostanze o dei comportamenti, ma la consapevolezza non è sufficiente perché – come scriviamo nel libro – ci sono dei comportamenti automatici. Uno ne è fuori quando si accorge di avere dei richiami e per fronteggiarli mette in atto le strategie che ha acquisito in Comunità Terapeutica, ed trova un senso di vita stabile”